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Ministero della Salute contro Censis: non si può generalizzare il dato sulla povertà

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Numerosi organi di informazione hanno rilanciato i dati di uno studio Censis-Rbm Assicurazione Salute, già ampiamente diffusi a giugno, dove si afferma che 12,2 milioni di italiani avrebbero rinunciato a prestazioni sanitarie (almeno una volta l’anno) per motivi economici.

Il ministero della Salute sottolinea come il dato di 12,2 milioni sia una mera proiezione in valori assoluti dei risultati di un’indagine campionaria su 1.000 cittadini ai quali è stato chiesto se, nel corso dell’anno, avessero rinunciato o rinviato ad almeno una prestazione sanitaria senza però specificarne tipologia ed effettiva urgenza.

Insomma, secondo il ministero non si può generalizzare facendo rappresentare tutti gli oltre 60 milioni di italiani con un campione di mille persone.

“Per questo riteniamo improprio parlare genericamente di 12,2 milioni di italiani che rinunciano alle cure per motivi economici anche perché il dato è in evidente contrasto con due precedenti indagini Istat effettuate su vastissima scala- scrive il ministero in una nota.

“In primis il Rapporto annuale Istat 2017 (fonte Istat-Eu Silc che si basa su un campione di circa 29mila famiglie, per un totale di quasi 70mila individui) che riporta come la quota di persone che ha rinunciato a una visita specialistica negli ultimi 12 mesi perché troppo costosa è stata pari al 6,5% della popolazione (3,9 mln di persone) – continua la nota.  “Un’ulteriore discrepanza si rileva poi confrontando il dato Censis-Rbm con l’indagine europea (Fonte: Costa, Cislaghi, Rosano/ Indagine Istat-Eu Silc) secondo cui sono meno di cinque milioni, cioè meno della metà delle stime dichiarate dal Censis-Rbm, gli italiani che hanno rinunciato a una o più prestazioni sanitarie. Tra l’altro il confronto internazionale evidenzia che la percentuale italiana della popolazione che ha dichiarato di aver rinunciato a una prestazione sanitaria per motivi economici è in linea con la realtà europea: Italia 7,8%, Svezia 9,2%, Francia 6,3%, Danimarca 6,9%, Germania 5,4% (i valori sono riferiti al 2014 ed alla popolazione dai 16 anni in su aggiustata per età e genere sulla media europea)”.

Insomma, i sondaggi non rappresentano una scienza esatta.

(Gi.Ca.)

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