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Piemonte, tutto pronto per “Terra Madre”

Ci sarà anche un focus centrale sul rapporto tra le donne, la terra e il cibo a “Terra Madre – Salone del gusto”, che si rinnoverà a Torino dal 20 al 24 settembre 2018 con la regia di Slow Food, presso il cui sito (www.slowfood.it) è possibile acquisire tutte le informazioni sugli appuntamenti e le possibilità di prenotazione.

Un tema particolarmente importante in quanto in Italia l’agricoltura al femminile contribuisce per il 27 per cento alla forza lavoro del settore (rispetto ad una media europea del 21 per cento) e conta su circa 500 mila aziende, il 31 per cento del totale. Va rilevato, però, che quasi la metà delle imprenditrici agricole (il 49 per cento) ha superato i 60 anni, mentre appena il 9 per cento ha meno di 40 anni.

Dati che dimostrano come ci sia molto da lavorare per scommettere sulla presenza femminile anche nel futuro agricolo nel nostro Paese, benché un confronto tra gli ultimi tre censimenti (1990, 2000, 2010) evidenzia come le aziende a guida femminile abbiano sostanzialmente tenuto negli anni Novanta (calo dell’1 per cento) a differenza delle aziende condotte da uomini che nello stesso periodo hanno registrato una diminuzione del 9 per cento. Nel primo decennio del Duemila, per contro, mentre si registra un parallelo tracollo nel numero di imprese (meno 37 per cento), ad aumentare, in percentuale, è stato invece il peso delle conduttrici nel settore agricolo, dal 26 per cento del 1990 al 31 per cento del 2010.

Un altro trend in crescita è quello che negli ultimi anni ha visto un aumento costante della manodopera femminile nel lavoro bracciantile. Questa realtà nasconde, troppo spesso, lo sfruttamento di lavoratrici italiane e straniere, costrette dalle reti del caporalato a mansioni sottopagate, orari massacranti e gravi violenze anche di natura sessuale.

C’è allora da domandarsi come si può conciliare una visione moderna del ruolo della donna, che non la veda realizzarsi soprattutto nell’atto di nutrire e accudire, con la salvaguardia delle tradizioni, un rapporto più armonico con la natura, la riscoperta della cucina e della convivialità? Sarà questa la provocazione che lanceranno donne d’eccezione al pubblico di Terra Madre: la cuoca e vicepresidente di Slow Food Alice Waters, storica attivista del cibo e promotrice della rete degli orti scolastici negli Stati Uniti, la giornalista e scrittrice Maria Canabal, fondatrice e presidente del Parabere Forum dedicato alle donne del mondo gastronomico, l’attrice italiana Lella Costa e Roberta Mazzanti, consulente editoriale da sempre particolarmente attenta al rapporto fra letteratura femminile e cultura civile.

Ma tra le migliaia di delegati in arrivo per l’appuntamento di Torino ci sarà anche la giovanissima cilena Isabel Angelica Inayao Sepulveda, che insieme ad altre diciotto donne riunite nella Agrupación por la biodiversidad de Paillaco ha fondato il gruppo delle “mujeres rurales”, parte della rete locale di Slow Food, che producono ortaggi con metodi agroecologici, ma sono anche raccoglitrici di erbe e frutti selvatici che vendono ogni settimana direttamente in un mercato locale. La loro specialità sono le marmellate a base di murta, piccole bacche rosse di un arbusto originario del sud del Cile.

È giovane e indigena anche Akeisha Clarke, che partecipa per la prima volta alla più importante manifestazione agroalimentare del mondo in rappresentanza della comunità di pescatori della Piccola Martinica, a poca distanza dall’isola di Grenada, entrata da poco a far parte del progetto Slow Food Caribe. Akeisha opera in un settore, quello della piccola pesca artigianale, in cui gli addetti sono per la maggior parte uomini e il ruolo della donna non è riconosciuto.

Ed ancora, Helen Nguya porterà con sé oltre 35 anni di esperienza nella realizzazione di progetti di sviluppo per le comunità della Tanzania a partire dal cibo e dall’agricoltura sostenibile. È stata artefice dell’organizzazione locale Trmega (Training, Research, Monitoring and Evaluation on Gender and Aids), un punto di riferimento per persone vulnerabili come vedove, bambini, donne molto povere e malati di Hiv e Aids, che si fanno forza lavorando insieme. Nel 2004 è entrata in contatto con Slow Food e oggi è tra i più convinti promotori del progetto Orti in Africa che contribuisce a portare avanti insieme al Presidio del miele di ape melipona di Arusha e altre iniziative di Slow Food in Tanzania.

A rappresentare il nostro Paese ci sarà la giovanissima Ilaria Minichiello, della Comunità del cibo dei Coltivatori dell’oliva ravece delle colline dell’Ufita e del Calore. Nata ad Ariano Irpino, in provincia di Avellino, ha 24 anni, e vive a Grottaminarda dove ha appena rilevato l’azienda olearia della madre: 700 piante di uliveti secolari e impianti giovani di cultivar locali. Il suo sogno è aprire un piccolo agriturismo “fatto come si deve”, cioè in cui coltivare e cucinare i prodotti dell’azienda, far partecipare gli ospiti alle fasi della produzione e trasformazione in cucina. Altre due italiane ospiti della manifestazione saranno Annalisa e Jessica Celant, che nella friulana malga Costa Cervera producono il formadi o çuç di mont del Presidio Slow Food. Le due sorelle sono l’ultima generazione della famiglia di malgari del Friuli di cui si abbia attestazione più antica: possiamo andare indietro fino al padre del bisnonno nell’Ottocento, il più anziano patriarca dei malgari della regione.

Tra le presenze confermate, nel calendario di Terra Madre ci sono anche l’ambientalista e attivista indiana Sunita Narain, indicata nel 2016 dal Time come una tra le 100 persone più influenti al mondo e intervistata da Leonardo Di Caprio per il documentario Before the Flood, e la chef Ana Roš, incoronata nel 2017 miglior cuoca del mondo secondo The World’s 50 Best Restaurants, che ci porta alla scoperta di una cucina personale e graffiante, quella proposta nel suo ristorante Hiša Franko di Caporetto, nell’alto Isonzo al confine con il Friuli-Venezia Giulia.

Secondo la Fao, se le donne avessero pari accesso alle risorse – terra, credito, istruzione, servizi di estensione agricola – potrebbero aumentare tra il 20 e il 30 per cento la loro produzione agricola, e portare 150 degli 815 milioni di persone che oggi soffrono la fame fuori dall’insicurezza alimentare. Il contributo femminile al settore primario vale all’incirca il 43 per cento della forza lavoro totale, ma i dati complessivi ci dicono poco sull’impatto che ha sulle diverse aree del mondo. Dal 20 per cento circa del continente americano si passa infatti a quasi il 50 per cento in Africa, dove le donne sono responsabili anche dell’80 per cento del lavoro associato alle attività domestiche rurali, come la raccolta di acqua e legna da ardere, la preparazione e la cottura dei pasti, la lavorazione e la conservazione degli alimenti e gli acquisti.

In una larga parte del Sud Est asiatico e dell’Africa subsahariana, l’agricoltura resta in assoluto la più importante fonte di occupazione per le donne, che lavorano in media fino a 13 ore in più a settimana rispetto agli uomini. Donne e ragazze nelle aree rurali dei Paesi in via di sviluppo trascorrono quasi un’ora al giorno nella ricerca di acqua e dei mezzi necessari per preparare i pasti, ma in alcune comunità si può arrivare fino a quattro ore giornaliere.

Uno studio della Fao relativo all’Africa (Women, agriculture and food security) mostra come, nel corso di un anno, una donna arrivi a trasportare oltre 80 tonnellate di carburante, acqua e prodotti agricoli, contro una media maschile che si attesta sulle 10 tonnellate. Non stupisce, quindi, che ogni cambiamento nelle condizioni sociosanitarie della famiglia (come la presenza di congiunti che necessitano di assistenza medica) o nello stato dell’ambiente circostante si ripercuota in modo differente sul lavoro maschile e femminile: la deforestazione, ad esempio, costringe le donne a coprire distanze più ampie per assicurare alla famiglia i mezzi di sostentamento.

(Gia.Cas.)

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