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Giornata della salute sul lavoro: per la scienza lo stakanovismo fa male

Stakanovisti avvisati, lavorare troppo fa male alla salute. Esempio lampante ne è Aleksej Stachanov, lavoratore-modello nell’URSS degli anni Trenta: dopo essere diventato un simbolo politico per le sue performance lavorative nelle miniere sovietiche e aver dato il nome all’omonimo movimento morì, probabilmente anche a causa della fatica accumulata e proprio per un infarto.

Ma il benessere del cuore non è l’unico fattore a logorarsi con una dose eccessiva di lavoro. Insonnia, depressione, problemi fisici gravi o cronici: tutti sintomi dell’eccesso di fatica e stress che la vita lavorativa comporta e che rischia di risucchiare il dipendente in una spirale da cui è difficile tirarsene fuori.

Ma quali sono le cause che provocano tutto questo malessere?

In un mondo lavorativo volatile che segue regole obsolete tutto è non determinabile ma frenetico: i ritmi di lavoro sono prolungati, l’ansia di sovrastare i colleghi prende il sopravvento e l’incapacità di superare feedback negativi agisce sull’idea di carriera che si frantuma insieme alle elevate aspettative. E a risentirne è la salute: lo conferma anche la scienza che con una ricerca pubblicata sulla rivista Lancet e ripresa dalla CBS, stabilisce che lavorare più di 55 ore alla settimana accresce il rischio di ictus del 27% e di sviluppare una malattia cronica del 13%. Questa instabilità porta l’organismo e la salute mentale a situazioni di stress e per cercare di “non perdere la testa” l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) ha istituito la Giornata Mondiale per la Salute e Sicurezza sul Lavoro, utile a ricordare di ridimensionare gli impegni e a salvaguardare se stessi.

La realtà del lavoro è cambiata: oggi il modo di giudicare una buona performance infatti non è uguale a ieri – spiega Marina Osnaghi, prima Master Certified Coach in Italia. Perché si lavora per obbiettivi con azioni fulminee, decisioni veloci veicolate con poche informazioni che però devono essere efficaci e ponderate. Anche le aspettative elevate e la paura delle intelligenze artificiali che sostituiscono l’operato dell’uomo, rendendolo fragile e spaventato, sono due fattori da non sottovalutare perché il lavoratore si sente improvvisamente obsoleto. I contesti “centrifuga” fanno parte ormai della nostra realtà quotidiana e provocano pressione continua di cui è difficile liberarsi”.

Lavorare troppo fa male non solo al fisico ma anche alla mente, tesi supportata dalla ricerca della Melbourne University e pubblicato sul The Guardian, in cui è evidenziato come dopo i 40 anni è bene lavorare solo 25 ore alla settimana. La ricerca, frutto di un sondaggio effettuato su un campione di 6.500 lavoratori australiani, si è basata su tre parametri: memoria, abilità percettive e capacità di comprensione di un testo scritto. E’ emerso che, indistintamente uomini e donne, hanno difficoltà a concentrarsi e il calo della produttività è più che evidente. E se in Svezia la giornata tipica è di 6 ore giornaliere, secondo lo studio condotto dalla University College London il lavoro extra può in casi estremi, uccidere. Come riportato infatti dal The Telegraph, nelle persone che lavorano per troppe ore si può sviluppare un battito cardiaco irregolare che può aumentare la possibilità di ictus, insufficienza cardiaca e demenza. I ricercatori hanno riscontrato, esaminando oltre 85mila uomini e donne seguiti per 10 anni in cui venivano registrati orario di lavoro e situazione cardiaca, che chi lavora più di 55 ore settimanali ha il 40% in più di probabilità di sviluppare fibrillazione atriale con vertigini e mancanza di respiro. Pericoli concreti dunque, non solo da un punto di vista fisico ma anche psicologico: il risultato è quello di sentire che la vita si stia letteralmente consumando, sconfinando in uno stress senza fine. Quante sono dunque le ore che il lavoratore può sopportare senza pagarne le conseguenze? Secondo lo studio dell’Australian National University Research School of Population Health pubblicato sul Time, emerge che la soglia massima è di 39 ore settimanali, oltre la quale potrebbero sorgere i primi problemi. Ma come affrontare al meglio i ritmi frenetici senza farsi travolgere?

Il nostro migliore amico? Siamo noi: possiamo diventare flessibili, cambiare idee e il nostro modo di vivere per diventare bravi a orientarci nella confusione – prosegue la master coach Marina Osnaghi – in un’epoca in cui si parla di Great Place to Work e di welfare aziendale,  il lavoratore si trova spesso inserito in contesti tutt’altro che ottimali con ritmi di lavoro prolungati; a volte indifferenziati tra giorno, sera e weekend, permeati dall’ansia di primeggiare e dover tenere a bada la frustrazione di conflitti e giudizi negativi, caratteristici di una cultura che non conosce le regole di base dei feedback. Dunque cosa fare per ritrovare la normalità? La soluzione è trovare spazi di decompressione, iniziando dalle piccole cose come smettere di mangiare di fronte al pc o non pranzare affatto, per arrivare alle grandi e complesse come cambiare prospettiva mentale e imparare a convivere con la pressione dei nostri tempi con cui tutti ci dobbiamo misurare ed essere in grado di commutare la velocità e il caos da anomalia a normalità”.

ECCO INFINE IL DECALOGO DELLA MASTER COACH MARINA OSNAGHI PER ALLEGGERIRE LO STRESS LAVORATIVO:

  1. SOSPENDERE LE ATTIVITÃ. Non lavorare al pc nei 90 minuti precedenti al momento di andare a dormire perché lo schermo, la luce e la pressione di terminare “svegliano” il cervello;
  2. LIBERARE LA MENTE. Ci sono momenti in cui non bisogna lavorare ma lasciar spazio a nuove idee: illustri personaggi del passato hanno prodotto le loro invenzioni nell’inattività;
  3. VIVERE LA CREATIVITÃ. In essa risiede la più grande fonte di soddisfazione personale perché ci prendiamo del tempo per fare ciò che ci piace;
  4. FERMARSI ogni volta che si sente arrivare stress, paura, preoccupazione o panico iniziare a respirare profondamente. Mandare il respiro in ogni parte del corpo, specialmente dove si sente tensione;
  5. DECOMPRIMERE e pianificare la personale cura Detox: gestire lavoro e riposo in maniera differenziata e pianificare anche tempi di inattività;
  6. UTILIZZARE IL FEEDBACK di riconoscimento, che obbliga a concentrarsi sul positivo ed utilizzare il problema per migliorare senza accanirsi sulla mancanza di soluzione;
  7. METTERE IL FOCUS SULLA SOLUZIONE. Se si vive evitando fallimento e guai ci si concentra sulla cosa sbagliata: bisogna concentrarsi sulla cosa migliore da fare;
  8. SEMPLIFICARE. Quando le cose si complicano, fermarsi e cercare una modalità più semplice: nelle cose complicate si nasconde parte del problema;
  9. CONSAPEVOLIZZARE la “realtà sostenibile”. Se c’è un’aspettativa c’è anche il rischio di disattenderla quindi successo e fallimento vanno accettati come parte dell’esistenza;
  10. TRASFORMARE LA PROSPETTIVA DEL PROBLEMA in gestione del limite, tuo e degli altri. La realtà è fatta di limiti come di opportunità: vanno gestite entrambe contemporaneamente e senza perdere di vista la possibilità di soluzione.

    (Gi.Ca.)

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