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Fisco: reddito prodotto in Italia da soggetto non residente

Interessante risposta dell’Agenzia delle Entrate (numero 521 del 2019) avente per oggetto il reddito di lavoro dipendente prodotto in Italia da soggetto non residente.

Con tale istanza di interpello è stato esposto il seguente quesito:

La Società istante è una stabile organizzazione della società di diritto tedesco ALFA, facente parte di un Gruppo societario multinazionale.

Al fine di assolvere correttamente gli obblighi di sostituto d’imposta, con l’istanza d’interpello in esame chiede di conoscere i criteri per la determinazione della base imponibile del reddito di lavoro dipendente rilevante fiscalmente nel nostro Paese, con particolare riferimento ad un lavoratore dipendente (in seguito, anche, il dipendente) che svolge l’attività lavorativa sia in Italia che in altri Paesi tra cui la Germania, ove si qualifica residente fiscalmente, sia in base alla normativa locale che sulla base della Convenzione contro le doppie imposizioni in vigore tra l’Italia e la Germania, ratificata con la legge 24 Novembre 1989, n. 459 (di seguito la Convenzione o il Trattato internazionale).

L’istante, in particolare, chiede se ai fini del computo dei giorni rilevanti per la determinazione del reddito di lavoro dipendente prodotto in Italia debbano essere considerati italiani i soli giorni di attività lavorativa effettivamente prestata sul totale dei giorni lavorativi, oppure le giornate di presenza fisica da individuare in un anno solare, con particolare riferimento al peso dei giorni festivi, dei permessi e delle ferie.

Inoltre, si chiede come debbano essere valutati i giorni ove presenza fisica ed attività lavorativa non coincidono, ovvero laddove si riscontrano giornate lavorativesvolte all’estero, con rientro in Italia e viceversa.

SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE

La Società istante ritiene che il confronto debba riguardare i seguenti parametri:

– giornate lavorative (223 giorni con riferimento al 2019) versus anno solare (365giorni con riferimento al 2019);

– nel computo dei giorni da considerare ai fini italiani debbano essere consideralii soli giorni effettivamente lavorati in Italia versus i giorni di presenza fisica;

– le festività, i riposi settimanali, le ferie e gli altri giorni non lavorativi, non rilevano ai fini del proporzionamento, salvo che non siano effettuati in Italia.

Conseguentemente, la Società istante procederebbe ad effettuare le ritenute fiscali in ottemperanza agli obblighi previsti dall’articolo 23 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 esclusivamente sul reddito prodotto nel territorio italiano determinato rapportando i giorni di attività lavorativa italiana col numero di giorni lavorativi complessivi nel periodo d’imposta di riferimento.

Dal punto di vista operativo la Società istante intende:

– operare le ritenute mensili ai sensi del citato articolo 23 sulla retribuzionecomplessiva, calcolate in relazione all’intero periodo d’imposta; tenere un registropuntuale dei giorni di attività lavorativa effettivamente svolti dai dipendenti nelterritorio dello Stato ed all’estero;

– effettuare il conguaglio di fine anno pro rata temporis sulla base dei giorni di effettiva attività lavorativa svolti in Italia sulla base dell’articolo 23, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973;

– rilasciare la Certificazione Unica, dalla quale risulti, per l’intero periodo di lavoro nell’anno di competenza (365 giorni), l’ammontare di reddito imponibile quantificato secondo i giorni di attività effettivamente svolta in Italia, le ritenute effettuate e l’importo di reddito dovutamente esentato da imposizione per mancanza del requisito di territorialità delle prestazioni lavorative.

PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE

Preliminarmente, si osserva che esulano dall’istituto dell’interpello, come disciplinato dalla legge 27 luglio 2000, n. 212, le valutazioni di elementi di fatto; conseguentemente, in questa sede, lo status di non residente del lavoratore dipendente della Società istante, nonché il luogo di svolgimento dell’attività lavorativa, non saranno oggetto di valutazione, ma saranno assunti così come rappresentati nell’istanza e nella documentazione integrativa successivamente prodotta.

Nel merito, si osserva che ai sensi dell’articolo 23 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, le società in accomandita semplice, forma giuridica della compagine sociale istante, che corrispondono somme e valori di cui all’articolo 51 del testo unico delle imposte sui redditi (in seguito, Tuir), approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, devono operare all’atto del pagamento una ritenuta a titolo di acconto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta dai percipienti, con obbligo di rivalsa

L’obbligo di effettuare la ritenuta sussiste in capo al soggetto erogante/sostituto d’imposta ogni qual volta la corresponsione riguardi somme e valori di cui all’articolo 51 del Tuir e, quindi, somme e valori in qualunque modo riconducibili al rapporto di lavoro, indipendentemente dallo status di residente o non residente del percipiente.

In relazione a tale ultima circostanza, per quanto riguarda l’applicazione della ritenuta nei confronti di soggetti non residenti, l’articolo 23, comma 1, lettera c), del Tuir prevede che si considerano prodotti nel territorio dello Stato i redditi di lavoro dipendente prestato nel territorio dello Stato.

Ai sensi dell’ordinamento domestico, pertanto, il criterio di collegamento ai fini dell’attrazione dei predetti emolumenti nella potestà impositiva nazionale è costituito dal luogo in cui è svolta la prestazione lavorativa, ovvero risulteranno imponibili nel nostro Paese i soli emolumenti che sono corrisposti per l’attività lavorativa svolta in Italia dai lavoratori dipendenti non residenti.

Ciò posto, per quel che concerne la vigente normativa interna italiana applicabile al caso di specie, si rileva, sul piano del diritto internazionale pattizio, che l’Italia ha stipulato con numerosi Paesi esteri Trattati bilaterali per evitare le doppie imposizioni sul reddito che stabiliscono come deve essere ripartito il potere impositivo fra i due Stati contraenti tra i quali rientra la Convenzione con la Germania menzionata dal contribuente nell’istanza di interpello in esame.

Al riguardo, relativamente alla fattispecie prospettata, si osserva che l’articolo 15, paragrafo 1, del citato Trattato internazionale, disciplinante la ripartizione della potestà impositiva del reddito derivante dall’attività di lavoro subordinato, statuisce, tra l’altro, che i salari, gli stipendi e le altre remunerazioni che un residente di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di un’attività dipendente sono imponibili soltanto indetto Stato, a meno che tale attività non venga svolta nell’altro Stato contraente. Se l’attività è quivi svolta, le remunerazioni percepite a tal titolo sono imponibili in questo altro Stato.

Il successivo paragrafo 2, precisa che “2. Nonostante le disposizioni de lparagrafo 1, le remunerazioni che un residente di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di un’attività dipendente svolta nell’altro Stato contraente sono imponibili soltanto nel primo Stato se: a) il beneficiario soggiorna nell’altro Stato per un periodo o periodi che non oltrepassano in totale i 183 giorni nel corso dell’anno fiscale considerato, e

b) le remunerazioni sono pagate da o per conto di un datore di lavoro che non è residente dell’altro Stato, e

c) l’onere delle remunerazioni non è sostenuto da una stabile organizzazione oda una base fissa che il datore di lavoro ha nell’altro Stato”.

Nella fattispecie prospettata non si rende applicabile il paragrafo 2 dell’articolo riportato, dal momento che l’istante, in sede di presentazione della documentazione integrativa, ha, tra l’altro, rappresentato che “la stabile organizzazione italiana della società tedesca si assume totalmente l’onere di erogare al lavoratore l’intera retribuzione annua su cui agisce da sostituto d’imposta”.

Conseguentemente, in ragione del disposto del paragrafo 1, anche ai fini convenzionali, per i lavoratori dipendenti non residenti, il criterio di collegamento ai fini dell’attrazione dei redditi di lavoro dipendente nella potestà impositiva di uno Stato è costituito dal luogo in cui è svolta la prestazione lavorativa.

In altre parole, ai sensi del citato articolo 15, paragrafo 1, uno Stato contraente ha potestà impositiva, oltreché sui redditi di lavoro dipendente ovunque prodotti dal soggetto residente, anche sui redditi di lavoro dipendente prodotti da un soggetto non residente sempre ché, però, la prestazione lavorativa sia svolta nel suo territorio.

In ragione, quindi, dell’articolo 23, comma 1, lettera c), del Tuir, nonché delle citate disposizioni convenzionali, nella fattispecie rappresentata, la società istante, previa presentazione, da parte del lavoratore, di apposita domanda corredata dalla certificazione di residenza fiscale – rilasciata dalla competente autorità fiscale estera – ed alla documentazione comprovante l’effettivo esercizio dell’attività lavorativa, può, sotto la propria responsabilità, applicare direttamente il regime convenzionale, non operando la ritenuta alla fonte, di cui all’articolo 23 del citato d.P.R. n. 600 del 1973,sul reddito di lavoro dipendente prodotto dal soggetto residente in Germania per l’attività lavorativa svolta al di fuori del nostro Paese.

Al fine di individuare il reddito di lavoro dipendente non imponibile in Italia,preliminarmente, si fa presente che la società istante ha prodotto copia del contratto dilavoro attualmente in essere con il lavoratore residente in Germania.

Da tale documentazione si rileva, tra l’altro, che:

– datore di lavoro è la società istante che ha sede nel nostro Paese;

– dall’1.01.2012 il dipendente è assunto in qualità di dirigente con mansioni didirettore generale della sede secondaria italiana della Società;

– il dipendente dovrà svolgere le sue mansioni presso gli uffici dove ha sede ildatore di lavoro che, come detto, è attualmente in Italia. È comunque previsto che laSocietà ha il diritto di assegnare il dipendente ad altre attività produttive secondol’articolo 2103 del Codice Civile. Dietro richiesta del datore, il dipendente dovràviaggiare o dovrà temporaneamente o permanentemente svolgere i suoi doveri inqualsiasi altro luogo in Italia e all’estero.

Sulla base delle risultanze del contratto di lavoro, con particolare riferimento alla sede di lavoro che è stabilita nel nostro Paese, si è dell’avviso che ai fini della determinazione della base imponibile fiscalmente rilevante in Italia, occorrerà fare riferimento al rapporto tra il numero di giorni durante i quali la prestazione lavorativa è svolta nel nostro Paese e il periodo totale – espresso anch’esso in giorni – che da diritto ad ottenere la retribuzione. Affinché tale criterio sia applicato correttamente, il numero dei giorni indicati al numeratore e al denominatore del rapporto deve essere individuato con criteri omogenei (cfr. anche circolare 23 maggio 2017 n. 17/E).

In relazione a come debbano essere considerati i giorni che prevedono lapresenza fisica del soggetto sia in Italia che all’estero (di seguito le frazioni di giorno),si rappresenta, in primo luogo, che il Commentario al Modello OCSE il quale forniscei canoni interpretativi seguiti in tema di Convenzioni per evitare le doppie imposizioni,nulla dispone al riguardo.

Si rileva, difatti, che il paragrafo 5 del Commentario all’articolo 15, paragrafo 2, dello stesso Modello, pur fornendo indicazioni in merito al calcolo di tali frazioni di giorno, si riferisce testualmente alla determinazione del periodo o dei periodi, oltrepassanti o meno i 183 giorni, di soggiorno del beneficiario del reddito nel Paese di svolgimento dell’attività lavorativa, ai fini dell’applicazione delle disposizioni contenute nel citato paragrafo 2.

Ciò posto si è, nondimeno, dell’avviso che tali frazioni di giorno debbano essere conteggiate quali giorni rilevanti ai fini della determinazione del reddito imponibile in Italia, salva l’ipotesi in cui l’attività lavorativa è svolta esclusivamente all’estero. Tale conclusione è motivata in ragione della circostanza che il contratto di lavoro, come rappresentato, individua quale sede di lavoro, ovvero come svolgimento prevalente dell’attività lavorativa il nostro Paese, circostanza quest’ultima confermata dalla società istante che, nel produrre il calendario attestante il luogo di svolgimento della prestazione lavorativa da parte del dipendente nel periodo 1.01 – 30.08 del 2019, precisa che sui 169 giorni lavorativi complessivi, il lavoratore ne ha svolto 154 in Italia, 11 in Germania e 3 in Israele.

Per quanto concerne la compilazione della Certificazione Unica, si fa presente che le istruzioni al citato modello precisano che, nella sezione “Dati fiscali”, al punto 1 dovrà essere indicato il totale dei redditi di lavoro dipendente per i quali è possibile fruire della detrazione di cui all’articolo 13, comma 1, del Tuir ovvero, per quanto concerne la fattispecie in esame, il totale della retribuzione imponibile in Italia. Al punto 6, ove deve essere indicato il numero dei giorni per i quali spettano le detrazioni, conformemente a quanto chiarito con la circolare del Ministero delle Finanze 9 gennaio 1998, n. 3 e con la circolare 16 marzo 2007, n. 15/E, dovranno essere indicati i soli giorni di lavoro svolti in Italia che hanno dato diritto alla retribuzione.

Infine, le medesime istruzioni al modello di Certificazione Unica prevedono che nell’ipotesi di redditi solo parzialmente esentati da imposizioni in Italia, in quanto il percipiente risiede in uno Stato estero con cui è in vigore una convenzione per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte dirette, l’ammontare del reddito escluso dalla tassazione deve essere indicato nel punto 469, riportando altresì il codice 3 nel punto 468.

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