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“Scuola virus”: Dad, scuola in presenza, contesto scolastico e contagi

Cliccare QUI per leggere il capitolo “Scuolavirus” nel libro “Covid e dintorni” di Domenico Mamone e Giampiero Castellotti

Premessa d’obbligo: riteniamo deleteria la contrapposizione tra scuola in presenza e didattica a distanza (Dad). Si tratta, in realtà, di due modalità che in situazioni normali possono coesistere.

La scuola in presenza naturalmente rappresenta l’ordinarietà e il modello tradizionale. Il suo punto di forza è nell’aggregazione e nell’inclusione degli studenti, ma anche nella salvaguardia della “umanizzazione” della funzione scolastica.

La Dad, da parte sua, può costituire – se ben organizzata e sfruttata – un valore moderno e universalistico, capace di proporre una didattica multifunzionale e interattiva, arricchita di contenuti esterni (è stato il caso delle lezioni offerte dai docenti universitari di Pisa agli studenti liceali romani o di iniziative promosse da prestigiose istituzioni culturali a migliaia di studenti collegati in simultanea). Del resto la Dad non è una novità: in Argentina già agli inizi degli anni Novanta la prestigiosa università “Torcuato Di Tella” sperimentava con successo le lezioni a distanza.

Tutto ciò, ovviamente, in periodi non eccezionali.

Oggi, purtroppo, con la drammatica pandemia ancora in corso, è necessario qualche sacrificio per preservare la vita a migliaia di persone. Ogni giustificazione ideologica o i tentativi di chiamare fuori la scuola – e ciò che vi ruota attorno – dalla diffusione dei contagi per tenere aperti gli istituti superiori in presenza (gli unici in cui i ragazzi possono gestirsi autonomamente a casa) sono argomentazioni che non reggono ed è da incoscienti sostenerle rispetto alla possibilità di salvare anche una sola esistenza umana.

Se il distanziamento è la primaria prevenzione per i contagi, eliminare 6 milioni di contatti giornalieri (quanti nel procura la scuola superiore in presenza tra studenti, docenti, personale della scuola, genitori e familiari) è, obtorto collo, un importante provvedimento collegato alla didattica a distanza.

La strada dovrebbe essere quella di assicurare ai ragazzi una formazione analoga per quantità e qualità a quella degli anni scorsi attraverso la migliore organizzazione possibile della Dad, garantendo a tutti il diritto all’apprendimento attraverso la fornitura di supporti informatici (specie nel Mezzogiorno) e rafforzando reti e materiali e prevedendo, ad esempio, il recupero in presenza, anche parziale, dei periodi in Dad a giugno o, eccezionalmente, nei primi giorni di luglio (i giocatori hanno potuto concludere il campionato di calcio ad agosto e gli studenti non possono restare qualche settimana in più a scuola?).

NUMERI CON IL CONTAGOCCE

L’incidenza della scuola nel numero complessivo dei contagi è stato un rapporto poco indagato nella prima fase della pandemia, dovuto anche al fatto che già a marzo 2020 gli istituti scolastici di ogni ordine e grado siano stati immediatamente chiusi.

Nella seconda fase, che ha avuto inizio sostanzialmente con la riapertura delle scuole dal 14 settembre nella maggior parte delle regioni – ma non in tutte – c’è stata subito una colpevole mancanza da parte delle istituzioni: l’assenza di un contemporaneo monitoraggio epidemiologico della situazione nelle scuole, rilevando tutta una serie di dati che sarebbero stati utili per controllare l’evoluzione della pandemia nelle aule scolastiche.

Il ministero dell’Istruzione ha cominciato a farlo in ritardo (solo dal 25 settembre) e con una metodologia “fai da te” esposta a critiche: attraverso una circolare, sono stati delegati i dirigenti scolastici su tutto il territorio nazionale ad inserire ogni lunedì sul sito del ministero il numero di studenti, docenti e altro personale scolastico positivo al Covid e di coloro in quarantena. Quindi un monitoraggio “fatto in casa” che ha investito i presidi già oberati di lavoro e di emergenze: l’ipotesi che i numeri siano incompleti non è peregrina.

I primi dati, non si sa quanto affidabili, sono stati diffusi dal Miur il 5 ottobre, riferiti al periodo 14-26 settembre. Poi solo altri due aggiornamenti con i dati fino al 10 ottobre. Quindi niente più. Qualcosa, evidentemente non ha funzionato. Oppure, a pensare male, i numeri sono talmente cresciuti che – mettiamola così – “non si è riusciti a star loro dietro”. Di certo dai territori non sono arrivati tutti i numeri, considerato che nelle singole scuole non sempre il conteggio è stato corretto e che dopo poco tempo dalla riapertura delle scuole il tracciamento è saltato.

Anche il modo di diffondere i soli tre dati ministeriali ha generato non poche perplessità, accendendo il sospetto che i vertici scolastici volessero minimizzare il dato: è stata fornita la percentuale di studenti, personale docente e non docente contagiato rispetto al totale complessivo di studenti, docenti e non docenti. Così, per il primo periodo (dal 14 al 26 settembre) abbiamo avuto lo 0,021 per cento per gli studenti (1.492 casi), lo 0,047 per il personale docente (349 casi) e lo 0,059 per il personale non docente (116) casi. Ma sarebbe stato come dire che in Lombardia non c’è stato alcunché di grave essendo stato contagiato in quel periodo solo l’1 per cento della popolazione.

A supplire al ruolo istituzionale, in parte e solo all’inizio dell’anno scolastico, c’è stata una mappa interattiva dei contagi scolastici elaborata in modo spontaneo e indipendente da due ricercatori torinesi, Lorenzo Ruffino e Vittorio Nicoletta, con fonti però parziali (notizie sui giornali, bollettini di Ats locali, ordinanze dei sindaci, ecc.), che comunque ha già messo in guardia le istituzioni, da fine settembre 2020, circa l’apporto delle scuole sull’aumento dei contagi.

Il 22 ottobre il commissario straordinario Domenico Arcuri ha infine fornito un dato sull’incidenza del contagio tra studenti e docenti, ma senza corredarlo di numeri assoluti.

Ecco un riepilogo dei primi dati emersi nelle scuole, per quanto decisamente sottostimati (i focolai si riferiscono a due o più casi collegati tra loro nello stesso istituto scolastico):

LORENZO RUFFINO – VITTORIO NICOLETTA
datafocolaiscuole coinvolte/chiusepositivi
24 settembre3360350
3 ottobre901.0621.164
9 ottobre1501.5501.500
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE
datafocolaiscuole coinvolte/chiusepositivi
26 settembre1.957
10 ottobre7.096
MINISTERO DELLA SALUTE
datafocolaiscuole coinvolte/chiusepositivi
27 settembre14
4 ottobre44
11 ottobre110
18 ottobre155
26 ottobre291

Nonostante tutti questi dati presentino criticità – ad esempio, non sappiamo quante scuole abbiano comunicato il numero dei contagiati, quanti studenti abbiano fatto lezione in presenza ed è assente il numero dei tamponi eseguiti, quindi è impossibile calcolare il tasso di positività – è evidente la crescita dei contagi nelle scuole, che comunque oscilla tra il 15 e il 20 per cento rispetto ai contagi generali, quindi più dell’incidenza di studenti, docenti e personale scolastico sul totale della popolazione.

Occorre poi tenere presente che la maggior parte degli asintomatici – i più pericolosi per il contagio, anche perché fuori da ogni controllo – sono giovani studenti. Il loro numero, impossibile da quantificare, spinge ancora più su le poche cifre ufficiali.

Emblematica anche la rilevante presenza dei giovani nelle file per sottoporsi ai tamponi, in alcuni casi hanno sfiorato il 50 per cento.

Con il passare del tempo, il focus sull’incidenza delle scuole è stato meno sfocato, per quanto sempre deficitario.

Ad esempio, è consistente l’incidenza della popolazione scolastica, testimoniata dai dati dei bollettini di sorveglianza settimanali dell’Istituto superiore di sanità.

Se al 25 agosto 2020 risultavano 9.544 i contagiati nella fascia 0-19 anni, al 7 novembre 2020 erano diventati ben 102.419, con una crescita da due a cinque volte di più rispetto alle altre fasce di età.

Dopo la chiusura delle scuole superiori con il Dpcm del 6 novembre 2020, quando è stata applicata la didattica a distanza, la fascia scolastica che era in testa alla classifica è scesa al quinto posto.

Se in precedenza i contagi della fascia scolastica erano cresciuti di dieci volte, dalla chiusura in poi sono saliti solo del 45,69 per cento. “È stata la scuola il cuore della tragedia che stiamo di nuovo vivendo – ha scritto Franco Bechis, direttore del quotidiano Il Tempo, il 25 novembre 2020 nel suo editoriale.

(Cliccare QUI per il testo del quotidiano Il Tempo)

ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ
datafocolaiscuole coinvolte/chiusePositivi 0-19 anni
25 agosto9.544
7 novembre102.419

Una recente ricerca, sempre dell’Iss, diffusa ad inizio gennaio 2021 s’è soffermata unicamente sui contagi presumibilmente verificatisi all’interno delle scuole: il picco settimanale è stato del 3,7 per cento sui contagi complessivi (ad esempio, a fronte di 20mila contagi quotidiani nazionali, 740 sarebbero avvenuti all’interno di una scuola, tralasciando trasporti, assembramenti davanti scuola, ecc.).

Salvatore Lattanzio, dottorando dell’università di Cambridge ( “La scuola è un focolaio?”, Lavoce.info, 19 ottobre 2020), ha svolto un’analisi differenziata tra le regioni italiane: quelle che hanno riaperto prima gli istituti scolastici hanno visto incrementare maggiormente la curva dei contagi.

Antonella Viola ed Enrico Bucci, in un’analisi dei dati della settimana di metà ottobre 2020 nel Lazio, hanno evidenziato una leggera prevalenza dei positivi nella scuola rispetto al resto della società (23,5 ogni centomila residenti contro 19).

Roberto Battiston, analizzando i dati ufficiali della Protezione civile dal 24 febbraio 2020 in poi, ha puntato l’indice sui 30 milioni di contatti generati dalle scuole riaperte. Ha scritto sul quotidiano La Repubblica del 3 novembre 2020 (articolo: “Per le scuole riaperte 30 milioni di contatti L’ondata di ottobre spiegata dai numeri”): “Il tasso ha continuato a diminuire per tutto il mese di settembre, nonostante la ripartenza… Il primo ottobre inizia però una crescita rapidissima: in tre settimane il tasso di crescita si quintuplica… Cosa è successo una settimana prima del 1 ottobre? Il 24 settembre ha riaperto il sistema scolastico: in realtà doveva riaprire in parte il 14 ed in parte il 24 settembre, ma le votazioni del 20-21 settembre e la partenza lenta in molte regioni hanno di fatto annullato questa differenza. Otto milioni di studenti e quasi un milione di docenti ed addetti scolastici, si sono messi improvvisamente in moto: qualcosa di simile a ferragosto, ma con una scala e per una durata di tempo molto maggiori… Se contiamo anche i familiari, si superano abbondantemente i 30 milioni di persone che entrano in contatto in modo vario a causa della riapertura della scuola in presenza. I numeri della scuola rappresentano una grandissima parte della società, quello che accade attorno alla scuola accade alla società nel suo insieme. Il ‘resto della società’ di fatto non esiste, con buona pace di Arcuri e di Azzolina”.

La versione italiana della nota rivista statunitense Wired ha compiuto un’approfondita analisi sul tema dei contagi a scuola, reperendo – attraverso un’istanza di accesso generalizzato al Miur presentata lo scorso 30 ottobre (Foia) – i dati in possesso del ministero dell’Istruzione.

Al 31 ottobre 2020, fa sapere il sito di Wired, risultano 64.980 casi di Sars-Cov-2 nella popolazione scolastica di elementari, medie e superiori. Sono pochi, in linea con altri settori o tanti?

Wired ha fornito una risposta a questa domanda costruendo un indicatore che mette in rapporto l’incidenza all’interno delle scuole con quella che si verifica nella popolazione generale. Il risultato è indicativo: quasi tutte le regioni italiane hanno registrato molti più contagi a scuola rispetto agli altri ambienti. Il top in Molise (120 casi ogni 10mila studenti e docenti rispetto ai 37 generali), Abruzzo (97,9 contro 42,5), Umbria (202 contro 91,85), Lazio (105,2 contro 56,3), Piemonte (132 contro 84,5), Marche (76,5 contro 43), Sardegna (42,9 contro 32,9) e Liguria (119 contro 107,6), L’incidenza inferiore delle scuole è solo in Campania (dove però gli istituti scolastici sono stati chiusi già ad ottobre) e in Veneto.

(Cliccare QUI per il testo di Wired)

Lo statistico Livio Fenga, dell’Istat ha realizzato uno studio, a titolo personale, sugli effetti dell’apertura delle scuole nel settembre scorso: secondo lo studioso il ritorno a scuola a settembre avrebbe avuto un impatto sull’aumento delle infezioni quantizzabile in circa 225.815.

Per quanto riguarda le regioni, secondo Fenga l’impatto maggiore, in termini assoluti, si è verificato in Lombardia (45.178 casi imputabili a riapertura delle scuole) e Campania (38.789 casi), seguite da Lazio (23.507), Piemonte (17.675), Toscana (15.485), Veneto (15.264), Emilia Romagna (13.575) e Sicilia (12.900).

C’è di più. I numeri forniti dal ministero, quindi ufficiali, sono frutto del solito monitoraggio effettuato “in casa” attraverso i dirigenti scolastici, e riguardano solo 2.546 comuni sugli oltre 6.700 dove ha sede almeno una scuola (non è chiaro se nei comuni mancanti non ci siano stati casi o siano mancate le segnalazioni). Inoltre nel dataset fornito dal ministero non sono presenti i numeri di Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta.

Tutte le ultime rilevazioni ricalcano una stima diffusa precedentemente dall’Unsic, riferita ai casi fino al 10 novembre, quando i contagiati complessivi del mondo scolastico sono stati quantizzati in 105mila.

(Cliccare QUI per la ricerca dell’Unsic)

A pesare maggiormente nella diffusione dei contagi, rilevano tutte le indagini, sono le scuole medie superiori.

“Secondo l’indagine della Società italiana di epidemiologia i giovani tra 14 e 24 anni hanno sperimentato l’incidenza maggiore e più precoce contribuendo largamente alla crescita esponenziale della seconda metà di ottobre. Nei bambini sotto i 10 troviamo valori di incidenza più bassi – è quanto ha affermato l’epidemiologa Stefania Salmaso sul Corriere della Sera dell’8 dicembre 2020.

Giovanni Sebastiani, matematico del Cnr, insieme al neopresidente dell’Aifa, il virologo Giorgio Palù, ha pubblicato un articolo sul ruolo delle scuole nell’epidemia. “Tra la riapertura della scuola a settembre e l’inizio della fase esponenziale sono passate solo due settimane, tempo medio che intercorre tra l’infezione di un soggetto e la registrazione del caso”, si legge nel lavoro pubblicato su Viruses (QUI il collegamento allo studio in inglese). E ancora: “La riapertura delle scuole è stato l’unico nuovo evento che si è verificato in Italia in quel lasso di tempo”.

Un altro studio pubblicato su Eurosurveillance, che conferma la forte incidenza della scuola, è stato condotto in provincia di Reggio Emilia (QUI il collegamento allo studio in inglese).

Un altro studio, basato sui dati della prima ondata dell’epidemia di Covid, è stato condotto dai ricercatori della Fondazione Bruno Kessler (Fbk), Istituto superiore di sanità (Iss) e Inail, e pubblicato sulla rivista Proceedings of the national Academy of science of the United states (Pnas). Riguardo alla scuola sostiene che asili, elementari e medie abbiano avuto un impatto limitato sulla trasmissibilità del virus mentre il discorso è diverso per i ragazzi sopra i 14 anni: l’impatto delle scuole può produrre un’onda epidemica non contenibile senza severe misure restrittive.

(lo studio è consultabile QUI)

Emblematici i dati della Ulss 1 Dolomiti (Belluno) del Dipartimento di Prevenzione. Le classi in carico al Dipartimento (quindi con almeno un positivo), dal 14 settembre 2020 a metà gennaio 2021 sono state ben 565.

Insomma, pur non esistendo dati inconfutabili, si può affermare che la scuola abbia un ruolo rilevante nell’alimentare i contagi, causa anche l’enorme mole di numeri che muove.

Non a caso, mentre per tutto il mese di settembre il numero dei contagi è stato tra il migliaio e i duemila, dal primo ottobre (2.548 contagi) – con l’effetto dell’apertura delle scuole dopo il 14 settembre – la crescita è stata esponenziale con il superamento dei cinquemila il 13 ottobre, dei diecimila il 16 ottobre, dei quindicimila il 21 ottobre, dei ventimila il 25 ottobre, dei trentamila il 30 ottobre. Con la chiusura delle scuole superiori la curva s’è raffreddata.

Del resto sempre più esperti, specie quelli più qualificati e “attendibili” (da Roberto Battiston ad Andrea Crisanti a Massimo Galli a Giovanni Sebastiani), confermano il ruolo importante della scuola nell’alimentare i contagi.

Lo studioso Pierluigi Lopalco, assessore alla Salute della Regione Puglia, ha detto: “A seguito dell’apertura delle scuole si era assistito ad un incremento dei casi nelle fasce di età scolare fortemente sproporzionato rispetto all’incremento nelle altre fasce di età”.

NUMERI INTERNAZIONALI

Anche sul fronte internazionale non esistono ricerche univoche. Indubbiamente, però, l’organizzazione scolastica e dei trasporti pubblici sono certamente migliori nella maggior parte dei Paesi europei nel confronto con l’Italia. Nonostante ciò, se nell’autunno 2020 la maggior parte delle nazioni europee ha fatto di tutto per tenere aperte le scuole, dopo la “seconda ondata” i maggiori Stati hanno chiuso gli istituti scolastici, compresi quelli di grado inferiore (dal Regno Uniti alla Francia fino alla Germania).

Esistono ricerche internazionali che mettono sul banco degli imputati la scuola per l’aumento dei contagi.

In Francia, dove le scuole sono state aperte appena ad inizio settembre 2020, la Santé Publique ha reso noto che l’apporto, in rapida crescita, degli istituti scolastici sul totale dei cluster è stato del 32 per cento, con 285 focolai sugli 899 totali (più dei 195 dal mondo del lavoro). Forse non è un caso, con l’apertura delle scuole due settimane prima di noi, che la curva dei contagi nel Paese transalpino abbia anticipato proprio di 15 giorni quella del nostro Paese.

In Spagna, secondo i dati dell’Efe, tra settembre e ottobre 2020 sono state chiuse 9.750 classi per contagi e si contano 1.578 docenti colpiti dal virus dalla ripresa delle lezioni, come attesta un servizio sul sito di TgCom24 del 31 ottobre 2020 (“Scuola, in Spagna chiuse fino ad ora quasi 10mila classi causa Covid”)

Una ricerca internazionale condotta in 131 Paesi da studiosi dell’università di Edimburgo e pubblicata sulla prestigiosa rivista Lancet attesta che la riapertura delle scuole potrebbe aumentare la trasmissione dei contagi del 24 per cento dopo 28 giorni, mentre la chiusura da sola potrebbe ridurre la trasmissione del 15 per cento dopo 28 giorni. Una ricerca cinese va nella stessa direzione (“Covid, con scuole chiuse -15% contagi dopo 28 giorni”, agenzia AdnKronos, 31 ottobre 2020, ore 16,28).

Per avere conferma di ciò, del resto, sono stati indicativi due fattori: l’inizio della curva diventata di colpo esponenziale dopo due-tre settimane dall’apertura delle scuole in Italia, appunto, ma anche all’estero, e la presenza maggioritaria di studenti nelle file per i tamponi: non a caso l’età media dei contagiati è scesa sensibilmente dalla primavera, con le scuole chiuse, all’autunno, con le scuole aperte.

Interessante anche una ricerca dell’Università del New Mexico che raccomanda di tenere gli studenti a scuola distanti oltre 2,4 metri (al di sotto avverrebbero comunque contagi) e di tenere le finestre sempre aperte per disperdere il 70 per cento del virus (“Coronavirus a scuola, contagi anche a 2,4 m. Ma tenere le finestre aperte disperde il 70% del virus”, Qui Finanza, 2 novembre 2020).

Tutti questi fattori, comprensivi di mancanze e di errori, hanno gettato, da subito, la scuola nel caos.

MANCANZE & ERRORI

Rientrando nel diffuso lassismo estivo sul problema Covid, anche per la riapertura delle scuole s’è fatto poco e male, con interventi insufficienti non solo per organizzare la prevenzione e la protezione negli edifici scolastici, ma soprattutto per il percorso casa-scuola-casa degli studenti (ogni giorno si muovono con i mezzi pubblici quasi quattro milioni di studenti, dati Inail) e per limitare gli assembramenti davanti agli istituti scolastici in entrata e in uscita.

Non a caso l’Istituto superiore di sanità, in un rapporto presentato al Comitato tecnico-scientifico sulla “Gestione del rischio di contagio da SarsCoV-2 nelle attività correlate all’ambito scolastico con particolare riferimento al trasporto pubblico locale” evidenzia come il Tpl resti “un contesto a rischio di aggregazione medio-alto, con possibilità di rischio alto nelle ore di punta”. E, ovviamente, per ammissione della stessa ministra dei Trasporti, Paola De Micheli, non si possono fare miracoli in poche settimane.

Il primo errore del governo è stato quello di puntare all’esoso acquisto dei famosi (e famigerati) “banchetti”, con rotelle e senza, una scelta risultata poi quasi inutile sia perché in molti casi i nuovi banchetti singoli non hanno sostituito ma solo affiancato i banchi a doppia seduta tradizionali, sia perché un’enorme quantità è arrivata ad anno scolastico già ampiamente iniziato e con molte scuole già chiuse. La ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, ha annunciato l’arrivo di tutti i banchi soltanto il 5 dicembre 2020, appunto con le scuole superiori chiuse.

Banchetti, tra l’altro, scomodi, con poco spazio per il materiale scolastico (ad esempio per un vocabolario) e per strumenti didattici (ad esempio nelle scuole per geometri).

Molti banchetti sono finiti su YouTube, utilizzati come go kart nelle gare di classe. Tra l’altro un patrimonio di banchi precedenti (anche nuovi) e materiale scolastico è finito in discarica: a Roma enormi quantità di materiali scolastici sono stati accatastati dentro container parcheggiati nel Centro Carni in via Palmiro Togliatti. Non sarebbe stato più proficuo investire in nuove tecnologie per supportare la didattica a distanza (burocraticamente ribattezzata “didattica digitale integrata”), opzione che già alla prima campanella è risultata imminente?

Infatti molti dispositivi tecnologici sono stati previsti in netto ritardo. Non a caso solo con l’autunnale “decreto Ristori” si sono stanziati 85 milioni di euro per acquistare dispositivi portatili e strumenti per le connessioni, decisione che sarebbe potuta avvenire prima. Ma il problema centrale è rimasto quello della connessione, con una banda larga poco potenziata. Insomma, la didattica a distanza di per sé potrebbe costituire anche un’opportunità interessante per la sua continuità, per la multimedialità e per l’universalità, specie per attivata per qualche mese; il problema vero è nell’arretratezza tecnologica del Paese, per cui tanti studenti, specie al Sud, sono privi di un device.

Ha scritto Francesco Specchia sul quotidiano Libero il 12 novembre 2020: “In ‘Quarto potere’ di Orson Welles lo snodo della trama, la chiave di tutto, era uno slittino con sovrimpressa la scritta usurata ‘Rosebud’, abbandonato in un vasto e polveroso magazzino. Rappresentava l’infanzia perduta del protagonista. Ecco. L’immagine finale dello slittino di Welles – con tanto di metafora infantile appiccicata – è quella che ora ci evoca la fotografia delle decine di banchi arancioni, nuovi di pacca, abbandonati in una scuola di Molfetta, in Puglia, che rappresentano l’efficienza perduta del governo (se mai ci fosse stata)”.

Banchetti, tra l’altro, scomodi. Che hanno fatto andare su tutte le furie studenti di liceo artistici o di scuole di geometri, armati di squadre, compassi e fogli. O quelli di altri licei, pieni di vocabolari.

Un secondo errore è stato l’esoso investimento – tra i pochi in Europa – per l’acquisto di centinaia di milioni di mascherine da far trovare agli studenti in classe, la cui distribuzione nelle stesse scuole, tra l’altro, ha spesso creato problemi logistici. Per non parlare delle inchieste che hanno preso il via.

Terzo sbaglio è stata la data di apertura. Nonostante qualche dirigente scolastico abbia preventivamente messo in guardia del pericolo, far iniziare tutte le scuole il 14 settembre s’è rivelata una scommessa molto azzardata. Sarebbe stato più sensato, almeno per le superiori, spingere oltre quella data, recuperando i giorni a giugno-luglio 2021, cioè con maggiori progressi su cure e vaccino. Del resto la serie A ha potuto chiudere il campionato a luglio e agosto 2020 e gli studenti non avrebbero potuto concludere un anno “straordinario” a luglio? Non a caso, numeri alla mano, il maggiore incremento nelle curve dei contagi è avvenuto una ventina di giorni dopo l’apertura delle scuole, cioè ad inizio ottobre.

Parallelamente non è stato adottato lo scaglionamento degli orari, che avrebbe attenuato l’impatto sui mezzi pubblici.

Altro errore: la mancata attivazione di un presidio medico negli istituti scolastici. Ciò avrebbe non solo assicurato l’individuazione immediata di casi Covid, ma anche facilitato gli iter burocratici, specie quelli legati alle Asl, che hanno spesso mandato in tilt il sistema, provocando gravi ritardi nella registrazione dei casi e nelle quarantene. Insomma, il tracciamento è completamente saltato.

Certo, la scuola in presenza dovrebbe costituire la regola, soprattutto per il suo valore pedagogico e per il suo apporto in termini di aggregazione e inclusione. Ma che l’anno scolastico sarebbe stato emergenziale s’è capito da subito, dal momento che i casi di Covid sono repentinamente cresciuti già prima del 14 settembre. Evidentemente qualcuno, di fronte all’evenienza, diciamo con un eufemismo che “si sia distratto”. Ha puntato a normalizzare la situazione. Arrivando a parlare di “modello Italia”. E la scuola in presenza s’è risolta da subito in un caos generalizzato.

I PROBLEMI (REALI) DELLA SCUOLA IN PRESENZA

A settembre e soprattutto ad ottobre, le scuole in presenza si sono trasformate in una sorta di incubo per molte famiglie.

Il primo fenomeno è stata la discontinuità didattica. Ai crescenti contagi tra studenti, docenti e personale ausiliario, con intere classi e professori finiti in quarantena per due settimane, determinando un’assenza sempre più estesa di docenti e studenti, si sono aggiunti i “falsi allarmi” determinati sia da malesseri non collegati al Covid (con conseguenze assenze cautelative di intere classi) sia contagi indiretti (genitori, fratelli, ecc.), che ugualmente hanno inficiato per prudenza la didattica. A ciò si sono aggiunti i continui cambi di orario, le chiusure per le sanificazioni, ma anche le assenze dei professori. I casi di contagio cresciuti all’inverosimile hanno determinato ansie nelle famiglie (dove spesso, specie al Sud, gli studenti vivono anche con i nonni), problemi e soprattutto, in molti casi, una “non scuola”.

Altri disservizi sono stati determinati dai materiali didattici da sanificare di continuo (ad esempio i tablet utilizzati da professori diversi), ma anche dalla programmazione delle interrogazioni e dei compiti in classe, decisamente insostenibili al rientro da una quarantena.

Complessi e sempre più difficili i rapporti tra istituti scolastici e Asl, situazioni che hanno messo in sofferenza tante direzioni scolastiche, partite con buone intenzioni e presto pronte a gettare la spugna.

A fronte di contagi ormai fuori controllo e delle apprensioni delle famiglie, alcuni governatori hanno cominciato a chiudere le scuole in presenza dopo appena un mese dalla riapertura. Il primo è stato Vincenzo De Luca, presidente della Regione Campania: citando i dati scientifici e l’Unità di crisi, rispondendo ad una polemica, ha fatto sapere che dal 24 settembre al 30 ottobre 2020, nella sola Municipalità 5 di Napoli (Vomero-Arenella) si sono registrati ben 191 studenti positivi, 50 docenti e 11 tra il personale non docente, cui si sono aggiunti 92 contatti positivi collegati in famiglia.

Già a fine settembre, molti amministratori locali hanno iniziato a rendersi conto dell’apporto della scuola sul numero dei contagi. E’ stato il caso, ad esempio, di Luca Coletto, assessore alla Salute e Politiche sociali della Regione Umbria, finché la presidente della Regione ha disposto la chiusura delle scuole a fine ottobre. Idem nel Lazio, con chiusura da inizio novembre dopo riunioni-fiume dove un po’ tutti hanno gettato la spugna di fronte al caos didattico ad appena un mese dall’apertura e ai numeri dei focolai (138), dei positivi (3.700) e degli isolamenti (oltre 40mila).

LE CRITICHE ALLA AZZOLINA

La ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, resterà associata, nel tempo, soprattutto alla sua ostinata intenzione di tenere aperte le scuole in presenza durante la pandemia.

La Azzolina, siracusana, classe 1982, s’è ritrovata proprio alla vigilia della pandemia quasi casualmente alla guida del ministero di viale Trastevere per le impreviste dimissioni dell’ex ministro Fioramonti a fine dicembre 2019, in polemica con il governo per l’approvazione della manovra 2020 fortemente penalizzante per l’istruzione.

L’improvvisa chiusura delle scuole in presenza a marzo 2020 per il lockdown generalizzato, con l’estemporanea attivazione della didattica a distanza per la prima volta nella storia dell’istruzione, ha di fatto posto in ombra il ruolo dell’ambiziosa ministra, impotente di fronte alle non poche difficoltà di assicurare la presenza e l’efficienza tecnologica a tutto il Paese, specie nel Mezzogiorno, nonché di rafforzare le nozioni informatiche a molti docenti.

Ma i malumori generati dalla sua salita ai piani alti del palazzo d’inizio Novecento di viale Trastevere hanno avuto anche altre motivazioni. Ad esempio, uno dei più fieri oppositori è stato il professor Massimo Arcangeli, stimato linguista e docente universitario dell’Università di Cagliari, nonché presidente della trentesima Commissione del concorso per dirigenti scolastici dove la ministra pentastellata è stata promossa con la non esaltante votazione 75/100. Arcangeli, ai cui preziosi lavori i maggiori quotidiani dedicano intere pagine1, ha cominciato a svolgere, come lo definisce su Twitter, “un doppio lavoro d’inchiesta giornalistica sulla ministra” facendole le pulci, ad iniziare dal suo curriculum e dalle tesine dell’allora esaminanda evidenziando, a suo dire, errori e strafalcioni dettagliatamente annotati2.

Ma la ministra ci ha messo anche del suo. Il 16 maggio, nel corso di una videoconferenza stampa, ha usato per due volte l’espressione “colloquio orale”, come se un colloquio possa essere scritto. E ha aggiunto un’altra “perla”: “Lo studente non è un imbuto da riempire di conoscenze”, dimenticando che gli imbuti non si riempiono, ma si usano per riempire. Tutto ciò ha scatenato l’ironia dei social. Certo, peccati veniali, ma che non ti aspetteresti dal ruolo di vertice del ministero dell’Istruzione, che è stato di personalità del calibro di Antonio Segni, Gaetano Martino, Aldo Moro, Oscar Luigi Scalfaro, Giovanni Spadolini, Salvatore Valitutti, Franca Falcucci, Sergio Mattarella, Gerardo Bianco, Luigi Berlinguer, Tullio De Mauro, solo per citarne qualcuno.

Qualche mese dopo la ministra, nel corso di un’intervista al programma “Otto e mezzo” di Lilli Gruber, ha fatto una totale confusione tra test antigenici e sierologici, puntualmente ripresa dall’immunologa Antonella Viola, presente in studio.

Alla ministra Azzolina è appunto attribuita principalmente una colpa: avere insistentemente puntato sulle scuole in presenza, non prevedendo gli enormi problemi che tale scelta avrebbe generato. Ma le altre responsabilità non mancano: è sembrata più una “Bertolaso in gonnella”, elencando i miliardi investiti per banchetti, manutenzioni e concorsi, che non un ministro orientato ai contenuti.

IL LOGO “NO-DAD”

Nell’Italia dei Guelfi e dei Ghibellini, l’argomento della scuola in presenza o della didattica a distanza è oggetto anche di contrapposizioni, di spettacolarizzazione, di sermoni moralistici, di manifestazioni in strada.

Non mancano sit-in davanti agli istituti scolastici da parte di pochi studenti intenzionati a rientrare fisicamente nelle classi e a caccia di visibilità mediatica (puntualmente ottenuta), spesso supportati da insegnanti e genitori.

Ci chiediamo: sono davvero loro gli “eroi” del sapere o piuttosto sono quella stragrande maggioranza di compagni, assenti in questi assembramenti, che con la scelta della didattica a distanza stanno salvando migliaia di vite, soprattutto delle persone più anziane?

In tale drammatica fase per l’intero pianeta, non dovrebbero essere giudicati gli strumenti, i più ovviamente d’emergenza, ma i comportamenti. E andrebbero additati quale esempio quelli responsabili, come appunto quelli di starsene a casa, come consiglia un noto spot tedesco.

Va aggiunto, come ha scritto Ilvo Diamanti sul quotidiano La Repubblica il 6 dicembre 2020 riguardo alla scuola, “Studenti più soli ma la scuola a distanza piace agli italiani”.

A questo punto la domanda finale: è davvero opportuno tenere aperte ora le scuole rischiando di alimentare una terza ondata che sarebbe probabilmente più deleteria delle precedenti, vista anche la concomitanza con i virus influenzali e la stanchezza che ormai caratterizzata la maggior parte degli italiani?

Per la cronaca, un sondaggio della rivista Tecnica della scuola tra i propri lettori sul rientro nelle scuole dopo il 7 gennaio 2021 ha attestato che ben otto lettori su dieci preferirebbero la didattica a distanza.

Nel dettaglio, il 57 per cento dei 5 mila lettori che hanno partecipato al sondaggio ha detto sì alla Dad: non solo per le superiori, ma per qualsiasi grado di scuola. Un dato che, sommato con il 16,5 per cento di lettori che dicono sì al prolungamento solo per la scuola superiore, fa raggiungere un totale di oltre il 75 per cento di pareri favorevoli alle vacanze lunghe. Insomma, i no al rientro in classe sono ben più dei sì.

Un’indagine dell’Inapp, istituto pubblico legato al ministero del Lavoro, attesta che per il 70,4 per cento dei docenti le scuole e le università si dovrebbero tenere chiuse fino a emergenza sanitaria rientrata. All’indagine denominata «La scuola in transizione la prospettiva del corpo docente in tempo di Covid-19» e presentata a gennaio 2021, hanno partecipato oltre 800 docenti delle scuole di ogni ordine e grado (asili nido, scuole dell’infanzia, scuola primaria, scuola secondaria di I e II grado) e Università e corsi Afam, pubbliche, private e paritarie.

A gennaio 2021 altri tre sondaggi con risultati analoghi.

Al primo, promosso dal sito “Tecnica della scuola” nei giorni 12 e 13 gennaio 2021 tra i propri utenti, hanno partecipato 11.047 persone, Esattamente l’84,6 per cento degli 11.047 rispondenti ha detto “no” alla riapertura delle scuole nell’attuale complesso contesto epidemiologico.

A rispondere sono stati studenti (41,2 per cento del campione), genitori (circa il 25 per cento di risposte) e insegnanti (circa il 21 per cento), più un 10 per cento scarso che ricopre entrambi i ruoli.

Il tema coinvolge soprattutto le scuole superiori. Non a caso le risposte provengono principalmente da chi frequenta o da chi insegna o da chi ha figli che frequentano le scuole superiori (oltre il 90 per cento dei rispondenti). Del resto, nella maggioranza del Paese i bambini delle scuole del primo ciclo e dell’infanzia sono già rientrati in classe, dunque per loro il problema è sentito con minore partecipazione.

Dal punto di vista della distribuzione regionale delle risposte, si evince una grande equità.

Nei giorni precedenti anche “Orizzonte Scuola” aveva condotto un analogo sondaggio tra 15.433 utenti con risultato altrettanto netto: 14.109 utenti, ovvero il 91,42 per cento, hanno detto “No” alla riapertura della scuola, ritenendo che allo stato attuale non esistono le condizioni di sicurezza.

Specifico sugli studenti il sondaggio effettuato da Skuola.net su 5mila alunni di licei, istituti tecnici e professionali. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare guardando la tv o leggendo i giornali, la stragrande maggioranza non ha accolto negativamente la notizia del prolungamento delle chiusure dopo il 7 gennaio 2021: a dirsi a favore è addirittura il 78 per cento degli studenti. Ben sei ragazzi su dieci ritengono addirittura ingiustificate le proteste messe in scena dai propri coetanei nelle ultime ore. A partecipare alle manifestazioni di dissenso, secondo Skuola.net, è stato solo uno studente su dieci.

Insomma, è lampante la discrasia tra i diktat governativi, con il supporto dei tanti media filogovernativi, e la gente comune. Come al solito.

1 Come “Stringersi la mano, dagli Assiri a noi” a firma di Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera del 5 ottobre 2020 su un saggio in uscita per Castelvecchi o “Dante, le donne, lo stile non è dolce” sul Messaggero del 27 settembre 2020, su uno spettacolo teatrale da lui scritto.

2 Sul Post del 23 maggio 2020 (www.ilpost.it/massimoarcangeli/2020/05/23/la-ministra-azzolina-e-gli-imbuti-da-riempire) riporta numerosi esempi tratti dalla tesi magistrale (“Rousseau e Voltaire: il terremoto di Lisbona”) discussa dalla ministra Azzolina, nell’anno 2007-2008 a Catania: “Pensiero di Pope felicemente riassuntato” (p. 69); “Nessuno deve ingerire nella libertà di coscienza di amare Dio in ciascun uomo” (p. 187); “Studiare la natura dei terremoti significava saper rispondere ai terremoti, nel momento in cui, si sarebbero presentati all’uomo” (p. 204); “La Guerra del Peloponneso sfociò tra Atene e Sparta” (p. 18, nota 14); “Tantissimi eventi tragici hanno afflitto l’umanità, l’hanno sterminata fisicamente e moralmente” (p. 16); “Voltaire all’età di 83 anni volle morire nella sua città a Parigi, e quando vi ritornò ancora da vivo, fu accolto come un re» (p. 202); “L’uomo non è stato posto in una bella dimora per essere protetto, ma è stato invitato sulla terra, molto spesso per essere tribolato” (p. 157); “L’uomo ha eretto dimore, costruzioni inadeguate che di fronte ad un terremoto sono troppe pericolose per la vita degli esseri umani, moltiplicano le morti laddove l’uomo non può scappare affiancato da chili e chili di cemento” (p. 213), ecc.

L’Unsic ha lanciato una petizione per proseguire con la DAD-Didattica a distanza nelle scuole superiori fino alla fine dell’emergenza, onde prevenire l’accentuarsi di una terza ondata di pandemia. Si chiede, per attenuare l’emergenza, la vaccinazione dei docenti e degli studenti (dai 16 anni in su, età prevista dai vaccini)

Per firmare: http://chng.it/tPQJq5j62J

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