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Dopo la maturità il futuro è un rebus

Ora che ho il diploma, che ci faccio? Un quesito che proprio in queste settimane si sta ponendo un maturato su tre, ovvero quanti non hanno ancora la minima idea di quali strade poter intraprendere da qui ai prossimi mesi. A evidenziarlo è la seconda edizione dell’osservatorio “Giovani e Orientamento”, un’indagine condotta da Skuola.net in collaborazione con Gi Group – prima agenzia per il lavoro a capitale italiano – su un campione di 3.000 ragazze e ragazzi delle scuole secondarie superiori, tra cui 1.000 maturandi intercettati nel corso degli esami di Stato.

Uno scenario, quello appena descritto, che appare ancora meno rassicurante se si considera anche che solo un maturato su cinque sostiene di sapere perfettamente quale “porta” aprire. Mentre la restante metà del campione (46 per cento), pur avendo in mente delle opzioni di scelta, ha ancora qualche incertezza su come muoversi. Confermando come il problema dell’orientamento e dell’efficacia delle attività deputate a farlo sia purtroppo diventato strutturale: una ricerca simile svolta lo scorso anno proponeva un quadro praticamente identico.

In un contesto del genere, non è escluso che si finisca per sbagliare strada e, talvolta, di andare a ingrossare la già troppo corposa schiera dei NEET. I neodiplomati sono perfettamente consapevoli di ciò e lo mettono in preventivo: quasi sei su dieci già oggi temono di entrare a far parte di quei “giovani che non studiano né lavorano”. Circa la metà di questi, addirittura, ne è quasi certa. Un numero, il loro, che in soli dodici mesi è ulteriormente cresciuto: nel 2022 gli “spaventati” erano poco più del cinquanta per cento del totale.

Quanto basta per intervenire. Per gli studenti in uscita dal sistema scolastico si può fare poco – ad aiutarli ci dovranno pensare i professionisti che si occupano di formazione terziaria e inserimento nel mondo del lavoro – ma per quelli che ancora sono tra i banchi qualcosa ci si può inventare. Lavorando soprattutto sull’orientamento che, a quanto pare, sembra essere il vero anello debole della catena. Basti pensare che, secondo l’indagine sui maturandi, oltre un quarto (26 per cento) pare non abbia svolto attività di rilievo lungo l’intero quinquennio delle superiori. E circa un terzo (33 per cento) ha iniziato solamente durante l’ultimo anno. Appena uno su dieci ha preso i primi contatti con il domani perlomeno dal terzo anno in poi, ovvero quando sarebbe più indicato, avendo davanti un tempo ragionevole per pensare, interrogarsi, informarsi e sperimentare.

Ma non è solo questo il problema. Perché le attività di orientamento, oltre che scarse quantitativamente, sono giudicate anche qualitativamente poco efficaci. Tra chi ha avuto la fortuna di svolgerle, ben oltre la metà (59 per cento) si sente di bocciarle: il 42 per cento le ha trovate poco utili, mentre il 17 per cento le stronca senza appello. Il motivo? Un approccio eccessivamente teorico all’argomento che le rende noiose (così per il 57 per cento degli scontenti) e un tendenziale distacco dalla realtà (per il 32 per cento).

E poi c’è il tema della focalizzazione da parte degli orientatori solo e soltanto su un tema: l’università. Oltre tre studenti su quattro (76 per cento) hanno ascoltato soprattutto “televendite” di atenei e corsi di laurea. Al contrario, di percorsi formativo-professionali post-diploma ne ha sentito parlare solo il 28 per cento. Meno di uno su quattro ha ricevuto una panoramica sugli ITS, gli Istituti Tecnologici Superiori (24 per cento), su concorsi e selezioni nel settore pubblico o privato (23 per cento) o sui passaggi principali per “fare impresa” (20 per cento). Una sparuta minoranza (14 per cento) ha sentito parlare dei percorsi IFTS, che in meno di un anno preparano ad alcune tra le professioni più richieste e ricercate dal mondo del lavoro.

Forse per questo, almeno sulla carta, i neodiplomati sembrano essere intenzionati ad aspirare in massa al titolo accademico. Almeno fra le ragazze questa pare essere una scelta quasi obbligata: il 74 per cento delle maturate, nel campione intervistato, punta alla laurea; tra i maturandi ci si ferma al 46 per cento. Ciò significa che, se le statistiche non mentono, molti di loro rischiano seriamente di rimanere delusi, visto che in Italia la quota di giovani laureati stenta a superare il 30 per cento della popolazione di riferimento.

Diversamente, i maschi si dimostrano più aperti verso le alternative all’università: le percentuali di coloro che sono intenzionati a entrare subito nel mondo del lavoro oppure a provare la via del pubblico impiego (Forze armate e di Polizia incluse) o a frequentare un corso tipo ITS/IFTS sono doppie rispetto a quanto registrato tra le coetanee. Non mancano però quelli – sono uno su cinque tra i ragazzi e uno su dieci tra le ragazze – che probabilmente si fermeranno per un anno oppure tenteranno la fortuna all’estero.

Che, dunque, serva – e ci sarà il prossimo anno – una profonda riforma delle attività di orientamento, a cui tutti possono avere accesso, sembra cosa ovvia. Sperando che, all’atto pratico, le nuove figure dei docenti orientatori facciano tesoro dei suggerimenti degli stessi ragazzi. Perché questi ultimi qualche idea per cambiare le cose ce l’hanno già. Loro, infatti, vorrebbero “sporcarsi le mani”, entrare di più nel vivo del mondo del lavoro già negli anni della scuola: stage e tirocini formativi, più concreti dei PCTO che si svolgono oggi, sono la priorità per un terzo degli alunni delle superiori (31 per cento).

Tanti altri, consapevoli delle difficoltà di dialogo tra il mondo della scuola e le imprese, si accontenterebbero di visite in contesti lavorativi o di incontri con personaggi provenienti dalle aziende: così per il 23 per cento. Una fetta importante (12 per cento) spingerebbe sui colloqui individuali, per dare a ognuno dei consigli quanto più personalizzati: attualmente, solo uno su cinque viene orientato in questo modo. Molto utili, infine, vengono considerate le testimonianze di giovani lavoratori, che sino a pochi anni prima si trovavano nelle stesse condizioni di quanti ora vivono nel più totale (o quasi) disorientamento: le introdurrebbe stabilmente l’11 per cento. Solo una minoranza (4 per cento) continuerebbe a puntare sulle “spiegazioni” di gruppo.

In Italia – sostiene Zoltan Daghero, amministratore delegato di Gi Group – c’è un grosso tema di NEET, di giovani inattivi e di mismatch tra domanda e offerta, che inizia proprio dalle nuove generazioni. Nel passaggio scuola-lavoro sono fondamentali l’orientamento, l’attivazione di percorsi formativi mirati e il coinvolgimento anche delle famiglie e dei docenti. In questo sta il nostro ruolo: fare da ponte tra questi mondi e permettere alle ragazze e ai ragazzi di conoscere tutte le strade e le opportunità che hanno davanti per esprimere il proprio talento e costruire il proprio futuro. Da un lato valorizzando la formazione duale, a partire da ITS e IFTS, dall’altro facendo conoscere l’evoluzione del mercato del lavoro e delle professionalità, superando stereotipi di genere ancora troppo radicati nella nostra cultura. Per noi questi sono temi cruciali e proprio per questo motivo siamo impegnati nell’avvicinarci ai luoghi reali e virtuali più frequentati dai giovani e a formulare iniziative e proposte che parlano i linguaggi delle nuove generazioni”.

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