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“Un progetto per l’Appennino”: la proposta della Fondazione Argentina Altobelli per il rilancio delle aree interne

Un progetto per valorizzare le aree interne, tra prospettive critiche e occasioni per il settore, per rilanciare servizi, infrastrutture e programmazione strategica. L’iniziativa è promossa dalla Fondazione Argentina Altobelli Ets ed è stata presentata nel corso del convegno di mercoledì 4 dicembre presso L’Acquario Romano in piazza Manfredo Fanti a Roma.

“Un progetto per l’Appennino”, è la proposta della Fondazione Argentina Altobelli Ets al ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste per assumere il piano come asse centrale della politica delle aree montane del Paese.

“La nostra intenzione è quella di porre all’attenzione delle istituzioni, oltre che ovviamente delle popolazioni interessate, tutte le risorse che l’Appennino ha e che potrebbe mettere a disposizione del Paese, sia per combattere il cambiamento climatico, sia per avviare un nuovo modello di sviluppo che sia imperniato su un nuovo rapporto tra città e campagna e che quindi arresti lo spopolamento delle zone interne e ne faccia una risorsa nell’interesse del Paese – ha dichiarato Pasquale Papiccio, presidente della Fondazione. E motiva anche la scelta geografica. “Perché l’Appennino – spiega Papiccio – è una catena montuosa lunga quasi 1.500 chilometri, attraversa tutto lo stivale. E allora attraverso investimenti per l’adattamento al cambiamento climatico, per una forestazione moderna che sviluppi la filiera del legno, la filiera della carta e così via, può dare nuova occupazione e occupazione di qualità, in particolare per i giovani e quindi in questo modo agevolare anche lo sviluppo di imprenditorialità giovanile nelle aree interne. Perché è sempre più diffusa la volontà da parte dei giovani di avere un nuovo tipo di lavoro e un nuovo modello di vita, lontano dal caos delle grandi città”.

L’invito è stato accolto positivamente dal sottosegretario all’Agricoltura Luigi D’Eramo, presente al convegno, che ha sottolineato come quanto espresso dalla Fondazione sia “assolutamente in linea con l’attività che stiamo portando avanti come ministero insieme ad Unioncamere, e che fa proprio riferimento ad un potenziamento del settore primario all’interno del mondo delle aree interne e dell’area di montagna, ma partendo proprio dall’agricoltura. Una pianificazione che vada a toccare anche altri pilastri che possono garantire il rallentamento dello spopolamento e un rilancio complessivo del nostro prodotto tipico, della nostra zootecnia, ma anche del turismo di queste aree e che passa attraverso il potenziamento delle infrastrutture e dei servizi. E tutto questo lo stiamo facendo attraverso un tavolo la cui prima riunione avverrà a metà del mese di gennaio, nel quale andremo a definire i confini di quella che sarà una strategia complessiva che dovrà chiaramente avere una forza di programmazione per i prossimi 30/40 anni. Poi questo lavoro, questa individuazione di soluzioni, questa sommatoria di iniziative che porteremo avanti, sarà tradotto tecnicamente da Unioncamere. Quindi ho anche chiaramente, ed in in maniera assolutamente convinta, chiesto al presidente della Fondazione di entrare a far parte del nostro tavolo politico, perché credo assolutamente che attraverso il confronto e la concertazione tra tutti gli attori che fanno approfondimento, che studiano, che portano avanti delle proposte per un potenziamento e un rilancio delle nostre aree interne di montagna si riesca ad avere una sintesi perfetta di un progetto che abbia forze e gambe e soprattutto capacità di dare risposte”.

Interessante l’intervento di uno dei relatori del convegno, Angelo Frascarelli, docente di Politica agroalimentare all’Università di Perugia che esamina i problemi delle aree di montagna ponendo l’accento sull’aspetto anche sociale della desertificazione abitativa. “Il tema è cruciale. Devo dire che in Europa siamo messi meglio di altre parti del mondo. In Europa c’è una politica di sviluppo rurale. Quello che sta succedendo in Brasile, in Africa, in America Latina è molto più drammatico di quello che succede in Europa e ciononostante, nelle nostre aree rurali interne l’Appennino ha un problema fondamentale. Lo spopolamento però non è solo un problema economico, è un problema sociologico: i giovani trovano anche lavoro in Appennino, anche nelle aree interne, il vero problema è che la qualità della vita che un giovane si aspetta è diverso da quello che si vive nelle aree interne, seppure siano aree di qualità dal punto di vista ambientale, positive, ci sono valori. Ma i giovani preferiscono chiaramente relazioni che si vivono nelle città urbane. Quindi il problema è difficile da risolvere, perché l’aspetto economico si risolve, l’aspetto sociologico è molto più difficile. Diciamo che nelle aree rurali il lavoro c’è, il vero problema è che noi dobbiamo renderle attrattive e vitali. Qualcosa sta avvenendo di nuovo, per esempio c’è una urbanizzazione, ma la urbanizzazione riguarda persone che hanno dai 50 anni in su, cioè che hanno già avuto una carriera lavorativa professionale, che ritornano nelle aree rurali dove c’è più qualità della vita, dove magari lavorano in smart working. E quindi c’è questo fenomeno iniziale interessante, soprattutto dopo il Covid. Poi bisogna imitare le aree rurali che hanno successo: pensiamo alla Langhe, pensiamo al Trentino, pensiamo a Norcia, pensiamo alla Garfagnana. Ecco, dobbiamo copiare le aree rurali di successo”.

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