Un’Italia tra luci ed ombre è quella che emerge dall’Employment Outlook 2025, il rapporto dedicato alle dinamiche del mercato del lavoro e alle prospettive occupazionali, realizzato dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse). L’organismo internazionale con sede a Parigi, nato nel 1948 per favorire la cooperazione economica tra le nazioni, attualmente riunisce 38 Paesi, grazie ai recenti ingressi della Lituania (2018), della Colombia (2020) e del Costa Rica (2021).
Il corposo rapporto, presentato presso la sede del Cnel a Roma dal senior economist dell’Ocse Andrea Bassanini, offre un’approfondita panoramica sulla congiuntura internazionale, concentrandosi, in particolare, sull’impatto dell’invecchiamento della popolazione sui mercati del lavoro e sulla crescita a livello globale.
Per quanto riguarda il nostro Paese, il giudizio è positivo sulle politiche economiche, in particolare sui livelli record registrati dal mercato del lavoro, con i più alti livelli di occupazione degli ultimi vent’anni e una disoccupazione che si attesta ai minimi storici.
“In Italia la crescita occupazionale ha registrato un incremento dell’1,7 per cento su base annua a maggio 2025 – ha ricordato Bassanini. “Questa crescita è stata trainata, in particolare, dalle persone di oltre 55 anni d’età. Tuttavia, l’occupazione degli italiani di età tra 60 e 64 anni rimane notevolmente inferiore alla media Ocse. In questa fascia d’età il tasso di occupazione italiano era pari al 47% nel 2024, contro il 56% della media Ocse. E circa la metà dei paesi Ocse ha tassi che vanno oltre il 60 per cento”.
Di contro, però, le prospettive non sono così esaltanti. L’Italia è una delle nazioni che potrebbe subire il più grande contraccolpo demografico a livello mondiale. La diminuzione della popolazione in età lavorativa è stimata al 34 per cento tra il 2023 e 2060, a fronte di un calo medio dell’area Ocse dell’8 per cento. Senza interventi di politica economica e senza la crescita della produttività, l’Ocse prevede per il nostro Paese una flessione del Pil pro capite di quasi 0,5 punti percentuali all’anno, che arriverebbe al 22 per cento in meno nel 2060 rispetto a quello attuale. Insomma, un declino inarrestabile.
Per contrastare gli effetti dell’invecchiamento della popolazione sulla crescita pro capite, l’Ocse individua diversi ambiti di intervento: molto proficua sarebbe la riduzione del divario occupazionale tra uomini e donne, cioè il divario di genere, una zavorra che l’Italia si porta dietro da sempre; parallelamente occorrerebbe mobilitare le risorse lavorative inutilizzate, in particolare valorizzando i giovani (prevalentemente quel milione e 340mila ragazzi tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non sono inseriti in percorsi formativi – Neet – con un’incidenza nel Mezzogiorno più che doppia rispetto al Nord), quindi aumentare il tasso di occupazione degli anziani e infine aumentare il tasso di immigrazione netta, promuovendo canali di immigrazione regolare e facilitando l’integrazione dei migranti nel mercato del lavoro.
“Su ognuno di questi ambiti – ha ricordato il presidente del Cnel, Renato Brunetta – il Cnel sta lavorando da oltre due anni, con un programma organico, a cominciare dal divario occupazionale di genere, che supera i 17 punti percentuali, tra i più alti dell’Unione europea. Il tasso di permanenza nell’inattività delle donne è quattro punti superiore a quello degli uomini. Solo il 20 per cento delle ragazze immatricolate sceglie corsi Stem, rispetto al 40 per cento dei ragazzi”.
Secondo l’Ocse, ridurre il divario di genere, soprattutto tra i giovani, potrebbe aumentare la crescita annua del Pil pro capite nazionale di oltre 0,35 punti tra oggi e il 2060, il maggior contributo tra i Paesi comunitari.
Altro vulnus è la classica “fuga dei cervelli” collegati principalmente ai bassi salari. “In Italia c’è stato un aumento relativamente consistente nell’ultimo anno, ma ciò nonostante all’inizio del 2025 i salari reali italiani erano ancora inferiori del 7,5 per cento rispetto al 2021 – ha ricordato Bassanini, che ha anche diffuso l’amaro dato dei redditi da lavoro reali annuali, che in Italia sono scesi del 3,4 per cento tra il 1990 e il 2023 (nello stesso periodo sono cresciuti di circa il 50 per cento negli Stati Uniti e di circa il 30 per cento in Francia e Germania).
“Abbiamo presentato al Cnel i dati sui giovani che espatriano, elaborati dalla Fondazione Nord Est: tra il 2011 e il 2024, oltre 630mila giovani (18-34 anni) si sono trasferiti all’estero; al netto dei rientri, il saldo negativo sfiora le 440mila unità, in gran parte laureati. Il risultato è una perdita di capitale umano che indebolisce il potenziale di crescita e l’innovazione, con ricadute sulla produttività, sulla sostenibilità del nostro sistema di welfare, sui conti pubblici – ha aggiunto Brunetta.
Per quanto la riduzione dell’uscita anticipata dei lavoratori anziani, in particolare nel settore pubblico, interventi a sostegno della permanenza potrebbero aumentare la crescita annua del Pil pro capite di circa 0,45 punti percentuali tra oggi e il 2060. Pertanto s’intravede la necessità di politiche che incentivino una permanenza più lunga nel mercato del lavoro.
Strategici maggiori investimenti in istruzione e formazione, politiche attive allineate alle esigenze del mercato, formazione tecnico-scientifica continua e valorizzazione del merito. Un quarto del divario di produttività tra Paesi Ocse è direttamente legato al livello di competenze; il 12 per cento è dovuto al mismatch tra le competenze e le mansioni svolte.
Interessante il dato che nell’ultimo biennio le imprese italiane hanno mostrato una tendenza ad assumere lavoratori invece che investire in capitale, specialmente tecnologico. “Questo perché il capitale porta con sé un costo d’uso legato alla disponibilità di competenze sul mercato del lavoro che sono molto difficili da trovare. Soprattutto competenze tecniche, digitali e scientifiche e in particolare nel settore Ict e dei servizi ad alta intensità di conoscenza. Il risultato è stato un rallentamento della produttività e un faticoso recupero dei livelli salariali. Ecco perché dobbiamo puntare sulla formazione e sulle competenze. Solo così sarà possibile coniugare produttività, alti salari e occupazione, e assicurare una crescita sostenibile per il Paese – ha concluso Brunetta.
UNSIC – Unione Nazionale Sindacale Imprenditori e Coltivatori
