
Ricchezza e consumi, affari e lavoro, ambiente e servizi demografia, società e salute, giustizia e sicurezza, cultura e tempo libero sono le sei macrocategorie tematiche che compongono l’indagine Qualità della vita de Il Sole 24 Ore, il report che dal 1990 misura e racconta il benessere dei territori italiani.
Nell’edizione 2025, Trento conquista il primo posto confermandosi uno dei territori con i più alti livelli di benessere misurati su 90 indicatori statistici certificati. La provincia autonoma migliora di una posizione rispetto all’anno precedente, rafforzando un palmarès che dal 1990 al 2024 conta due primi posti, tre secondi e nove terzi, sostenuto da performance elevate in longevità, salute e percezione della sicurezza.
Nelle province di Trento e Bolzano l’ultima rilevazione Istat sugli aspetti della vita quotidiana registra qui il livello più alto di soddisfazione, pari al 61,9% dei cittadini. Trento beneficia inoltre dei risultati già ottenuti negli indici tematici sulla sportività e sull’ecosistema urbano, che anticipano la solidità complessiva della sua posizione in classifica.
Il podio 2025 vede al secondo posto Bolzano e al terzo Udine, confermando il ruolo trainante dell’arco alpino in termini di benessere territoriale. Bolzano sale grazie alle buone performance in “Affari e lavoro” e a un tasso di natalità superiore alla media nazionale, mentre Udine brilla per ambiente, servizi e densità di impianti fotovoltaici.
La top 10 è interamente occupata da province settentrionali, con la presenza di centri di medie dimensioni come Bergamo, Treviso, Padova e Parma, oltre alle grandi metropoli Bologna e Milano. Bologna guida per “Demografia, società e salute”, mentre Milano si distingue per “Ricchezza e consumi” e “Affari e lavoro”, segnando il ritorno delle città maggiori nelle posizioni di vertice.
Nel complesso, le città metropolitane migliorano la propria posizione rispetto all’edizione 2024, con solo Bari e Catania in arretramento e Firenze e Messina stabili. La maggiore competitività in affari e lavoro, insieme all’attrattività sul piano degli studi e dell’offerta culturale, contribuisce a bilanciare disuguaglianze interne che restano comunque marcate.
Roma guida la rimonta con un balzo di 13 posizioni fino al 46° posto, mentre Genova sale di 11 gradini fino al 43°. Anche Bologna e Milano migliorano ulteriormente il loro piazzamento, rispettivamente di cinque e quattro posizioni, e Torino avanza seppur di un solo gradino, consolidando il quadro di una rete metropolitana in ripresa selettiva.
Per trovare la prima area metropolitana del Mezzogiorno bisogna scendere al 39° posto, occupato da Cagliari, in miglioramento di cinque posizioni. Seguono a distanza Bari, Messina, Catania, Palermo, Napoli e Reggio Calabria, con quest’ultima che chiude la classifica per il secondo anno consecutivo.
La coda della graduatoria è composta dalle ultime 22 province, tutte meridionali, a conferma di una frattura geografica che resiste da 36 edizioni nonostante i punti di forza del Sud in termini di demografia, clima e costo della vita. Anche i fondi pubblici, inclusi quelli del Pnrr, pur avendo sostenuto imprese e Pil locali, non sono ancora riusciti a colmare i gap strutturali che penalizzano il Mezzogiorno.
La fotografia economica nazionale mostra segnali di miglioramento: le retribuzioni medie dei lavoratori dipendenti aumentano di 703 euro in un anno, passando da 20.328 a 21.032 euro, con picchi vicini ai 2.000 euro di incremento a Milano. Non mancano tuttavia criticità, come il calo delle retribuzioni a Vibo Valentia, ultima per variazione, che riflette un divario retributivo ancora molto marcato tra i territori.
Parallelamente diminuisce del 7,5% il numero di famiglie più povere, anche per effetto dell’assegno unico introdotto nel 2022 e rilevato dagli Isee del 2024, ma crescono le denunce ogni 100mila abitanti del 51,6%, segnalando tensioni sociali irrisolte. Il valore aggiunto pro capite sale da 33.500 a 34.400 euro, con Milano ancora in testa, ma l’export in rapporto al Pil cala del 4,9% e la vitalità imprenditoriale resta sostanzialmente ferma, con dinamiche di iscrizioni e cessazioni delle imprese prossime allo zero.
L’Italia resta un “paese per vecchi”, con natalità in ulteriore calo di 0,2 nuovi nati ogni mille abitanti e una crescita del rapporto tra anziani e giovani che mette sotto pressione la sostenibilità del modello economico e sociale. L’invecchiamento si somma a un contesto globale complesso per le esportazioni, elemento chiave del made in Italy, e a una scarsa fiducia nel futuro che frena le scelte familiari.
Sul fronte della sostenibilità emergono però segnali incoraggianti: cresce dell’1,8% l’impiego di energia da fonti rinnovabili e la densità degli impianti fotovoltaici aumenta di 42,2 unità ogni dieci chilometri quadrati. Restano invece criticità nella cultura, dove l’offerta si riduce nonostante una maggiore spesa dei Comuni, e nella giustizia civile, con procedimenti che si allungano di oltre otto giorni e superano i mille giorni in realtà come Vibo Valentia, pur a fronte di un forte calo della litigiosità con un decremento delle cause civili.
UNSIC – Unione Nazionale Sindacale Imprenditori e Coltivatori
