Si è concluso a Palazzo De’ Toschi di Bologna il settimo Focus Pmi, osservatorio sulle piccole e medie imprese ideato e promosso da LS Lexjus Sinacta in collaborazione con l’Istituto Tagliacarne.
L’oggetto della ricerca compiuta quest’anno dal Tagliacarne aveva come interessante tema l’efficienza della giustizia come valore economico per la piccola e media imprenditoria italiana. Ad introdurre lo studio, alla presenza del sindaco Virginio Merola e di numerosi relatori illustri, sono stati i partners LS Gianluigi Serafini e Vincenzo Urbini: dai primi dati emersi si evince che a ritardare, se non a frenare del tutto lo sviluppo economico delle imprese sono principalmente i fattori lentezza, corruzione e iperlegislazione, con molte leggi in materia imprenditoriale che risultano ancora poco chiare.
Nel primo caso emerge una maggiore illegalità nelle relazioni economiche derivata da un sistema giudiziario lento che oltretutto causa ulteriori rallentamenti nel circuito economico, frenando nuovi investimenti e migliore occupazione. Ci vogliono, secondo i due terzi delle imprese intervistate, almeno quattro anni per risolvere contenziosi o insoluti, tempo nel quale il volume di affari di un’azienda potrebbe altresì, in regime di efficienza del sistema giudiziario, subire un’accelerazione ed aumento significativo del volume di affari. Tra le soluzioni proposte dal 64,3 per cento delle imprese occorrerebbe abbreviare i tempi dei processi, innalzare il livello di professionalità del personale preposto e prevedere benefici fiscali per le spese processuali.
Il secondo e il terzo fattore, la corruzione e l’eccesso di leggi (di cui alcune vengono stilate per spiegare altre leggi), tende a generare da un lato illegalità, i cui costi sono a conti fatti superiori rispetto quelli della legalità, dall’altro produce un senso di sfiducia e insicurezza in molte aziende italiane che cercano di investire all’estero, come anche in imprese straniere alla ricerca di un approdo sul suolo italiano, provocando spesso una esternalizzazione del tribunale di competenza nei contenziosi, che viene preferito in suolo estero.
A risentire di questa pesante macchina burocratica sono soprattutto le piccole medie imprese che deficitano, nel proprio organico, di validi strumenti per affrontare delicate e complesse questioni legali, avviandosi nella maggior parte dei casi verso il fallimento.
E’ stato tuttavia perfezionato il ruolo di un giudice specializzato che – come hanno spiegato nei rispettivi interventi Magda Bianco (titolare del Servizio Tutela dei clienti e antiriciclaggio, Banca d’ Italia), Fabio Florini (presidente Sezione specializzata in materia di Impresa, Tribunale di Bologna) e Francesco Vella (Ordinario di diritto commerciale, Università di Bologna), può adeguatamente e da vicino seguire le specifiche realtà imprenditoriali coinvolte in controversie, incrementando la qualità e rapidità nelle decisioni atte alla risoluzione delle stesse.
Significativo il discorso del ministro della Giustizia Andrea Orlando che ha presentato un rapporto incentrato sul lavoro di recupero dei tribunali di ogni regione attraverso una supervisione costante ed una classifica stilata su parametri di merito e di efficienza: un vero e proprio stimolo alla competitività tra le imprese. Secondo Orlando l’efficienza di un tribunale rappresenta un elemento determinante per la crescita del territorio nonché un rilevante stimolo alla crescita del valore economico delle piccole e medie imprese: ne sono modelli già alcuni tribunali del Nord Italia che, secondo il rapporto, si equivalgono come livello al Nord Europa.
La ricerca completa del Tagliacarne sul “sentiment” delle piccole e medie italiane sulla “efficienza della giustizia” è stata condotta su un campione di mille intervistati.
Il lavoro mette in evidenza, tra l’altro, il confronto internazionale circa la variabilità nella durata dei procedimenti: a fronte di una durata media stimata di un procedimento civile in primo grado di circa 240 giorni nei Paesi Ocse, si contano 107 giorni in Giappone e 564 in Italia (il Paese con la durata maggiore). Il tempo medio stimato per la conclusione di un procedimento in tre gradi di giudizio risulta pari a 788 giorni (368 giorni in Svizzera) con un massimo di quasi otto anni in Italia.
Pur in una visione estremamente semplificata, la durata dei procedimenti può essere vista come risultante dell’interazione tra domanda e offerta di giustizia. Dal lato dell’offerta, i fattori maggiormente rilevanti sono: la quantità e la qualità delle risorse finanziarie e umane disponibili, gli assetti organizzativi e di governance degli uffici giudiziari e la struttura degli incentivi dei soggetti coinvolti (giudici e personale paragiudiziale e amministrativo), il grado di efficienza nell’impiego delle risorse.
Fattori in grado di influenzare la domanda di giustizia sono: i costi di accesso al sistema e le regole di ripartizione delle spese tra le parti, gli incentivi dei professionisti, la diffusione di meccanismi alternativi di risoluzione delle controversie, la qualità della legislazione e il grado di certezza del diritto.
Dall’indagine Focus Pmi che si presenta emergono importanti risultati in tal senso; secondo le imprese italiane, infatti, le inefficienze della Giustizia si riverberano principalmente nella difficoltà di recupero di liquidità (55 per cento dei casi), nell’accesso al credito (41,7 per cento) e nella gestione del personale (19,5 per cento). I settori di committenza pubblica ove si scontano le principali inefficienze sono, per le imprese intervistate, la sanità (60,8 per cento) e l’istruzione (30,8 per cento), evidentemente in ragione dell’entità della spesa che origina da tali comparti. Per contro, i settori di mercato presso cui le imprese scontano le principali inefficienze sono il commercio (27,9 per cento), il manifatturiero (26,1 per cento), l’artigianato (25,8 per cento) e l’edilizia privata (23,1 per cento).
Le imprese che più scontano le inefficienze sono le ditte individuali (61 per cento), evidentemente in ragione della mancanza al proprio interno di figure professionali utili (il che si traduce direttamente in oneri aggiuntivi e ritardo dei tempi di produzione), seguite dalle società di persone (31,5 per cento) che, con ogni probabilità, scontano i medesimi problemi.
A livello territoriale, le aree più critiche in tal senso sono la Campania (19,1 per cento), la Sicilia (16,5 per cento) e la Calabria (16,1 per cento), ovvero aree (le prime due con consistente presenza demografica) ad elevato tasso di litigiosità e presenza di organizzazioni mafiose radicate storicamente che operano anche attraverso meccanismi corruttivi.
Tra le fattispecie riguardanti l’amministrazione della Giustizia che ritardano l’attività economica, le imprese italiane affermano, nel 56,9 per cento dei casi, che i tempi dei procedimenti costituiscono il vulnus principale, per lo più per le imprese del Veneto (62 per cento) e della Campania (61,4 per cento), per quelle di maggior dimensione (50 addetti ed oltre: 64,5 per cento), per quelle internazionalizzate (59,1 per cento) e per quelle che investono (61,4 per cento).
Oltre ai tempi della giustizia, la corruzione (35,7 per cento) ed una legislazione poco chiara (29,5 per cento) sono le fattispecie che impattano maggiormente sull’attività di impresa in tale contesto. La prima viene citata, soprattutto, dalle imprese che hanno bisogno di investire per essere competitive (38 per cento), nonché dalle aziende ubicate nel Mezzogiorno (41,1 per cento); l’opacità legislativa invece viene segnalata in particolare dalle imprese delle costruzioni (38 per cento), da quelle con prevalente mercato di prossimità (30,5 per cento), e da quelle ubicate nelle regioni del Nord (33,6 per cento).
A tali elementi va poi aggiunto quello degli oneri del sistema giudiziario (17 per cento), fattore di non poco conto se si tiene in considerazione l’ingessamento di liquidità derivante dai tempi lungi dei procedimenti. Industria e costruzioni sono i settori ove tale fattispecie viene sentita maggiormente (entrambe 21 per cento).
(Gi.Ca.)