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L’analisi del Presidente Mamone al convegno “Questione Meridionale 3.0”.

Nel Mezzogiorno ben 21 lavoratori su 100 lavorano nel sommerso generando oltre 52,3 miliardi di euro pari al 10,3% del PIL del Sud. E’ il dato significativo emerso nel corso del convegno “Questione Meridionale 3.0” tenutosi nei giorni scorsi a Reggio nell’aula “Levato” al Consiglio regionale della Calabria. L’iniziativa, moderata dal giornalista Massimo Calabrò, è stata organizzata dal Dipartimento PAU dell’Università Mediterranea, diretto dal prof. Domenico Marino. Si è trattato di un momento di riflessione con esperti del settore sulle politiche meridionalistiche fatte fino ad oggi e sulle possibili policies da sperimentare per il futuro soprattutto in relazione alla creazione di occupazione. Tra i presenti anche il Presidente Domenico Mamone, forte sostenitore di sviluppo e politiche attive come baluardo di evoluzione e sviluppo del Paese e del Mezzogiorno. Dall’intervento del Presidente Mamone, per l’occasione promotore di Fondolavoro è venuta fuori la mission che è quella di  sostenere e finanziare piani formativi per le imprese, che favoriscano la competitività e l’occupabilità ed azioni di sistema funzionali alla corretta ed efficiente esecuzione delle attività formative medesime, perché crediamo che ogni individuo che si immette nel mondo del lavoro è la gemma che da albero “formato” eviterà frane nel welfare, tenendo insieme, con le sue radici, occupazione, produttività, legalità e regolarità del lavoro, dando così i suoi frutti a sostentamento di molti e soprattutto darà ossigeno ad un’intera Nazione. Il Presidente Mamone ha affermato: “il nostro è un Fondo Paritetico Interprofessionale nazionale per la formazione continua delle micro, piccole, medie e grandi imprese, è un ente associativo  che non persegue fini di lucro ed opera in favore ed a supporto delle imprese e relativi lavoratori di tutti i settori economici e produttivi che optano per l’iscrizione ad esso, si pone l’obiettivo di incrementare il livello di competitività delle imprese italiane e, nel contempo, migliorare la capacità di collocazione professionale dei lavoratori, in relazione alle specificità strutturali dell’economia nazionale. Mi sento di affermare con assoluta onestà che è proprio alle Imprese del Sud che serve un siffatto strumento di formazione continua per i lavoratori. Formare significa trasferire conoscenze e nuove competenze; avere lavoratori formati, significa, a sua volta, avere persone che, consapevoli dei propri diritti e doveri, sapranno meglio concorrere alla produttività aziendale e quindi alla affermazione della legalità e regolarità nel lavoro e nel ciclo produttivo”. Le condizioni necessarie per una espansione duratura dell’occupazione, soprattutto in un Area come quella Meridionale, potranno essere determinate innanzitutto da politiche di sviluppo per sostenere la crescita quantitativa e qualitativa del sistema Paese anche attraverso la promozione di una maggiore produttività e la riforma della contrattazione che valorizzi il secondo livello aziendale e territoriale, ponendo la formazione continua dei lavoratori come pilastro della stessa. E’ necessario, inoltre, misurarsi non ideologicamente con l’epoca delle flessibilità caratterizzata dalla tensione competitiva derivante dalla globalizzazione, da innovazioni tecnologiche, da cambiamenti organizzativi e dalla variabilità della domanda dei consumatori. I fondi Interprofessionali sostengono e finanziano interventi di informazione, formazione, addestramento e aggiornamento continuo dei lavoratori in tutti i settori: industria, commercio, servizi e agricoltura. Possono utilizzarli i dipendenti delle aziende che hanno aderito ai fondi e che sono in regola con i versamenti dei contributi integrativi per la disoccupazione involontaria, fonte di certezza, anche questo, di legalità e regolarità delle posizioni lavorative in azienda. Lo scopo dei Fondi interprofessionali è quello di promuovere e finanziare la qualificazione e la riqualificazione professionale continua dei lavoratori occupati per sostenere l’incremento occupazionale e incoraggiare la competitività delle imprese, attraverso il finanziamento di piani formativi, concordati tra le parti sociali. Le finalità sono pertanto sia di tipo economico, per accrescere la competitività delle imprese, che sociale, per incrementare l’occupabilità e le competenze dei lavoratori. Nelle intenzioni del legislatore, vi è la rilevanza attribuita a tali importanti strumenti che costituiscono, se correttamente interpretati e gestiti, un autentico asset aziendale, in grado di catalizzare lo sviluppo d’impresa nel medio/lungo periodo e contestualmente accrescere e aggiornare le competenze dei lavoratori. Tuttavia, non vanno trascurate alcune importanti questioni aperte in relazione alla qualità del capitale umano in Italia, puntualmente rilevate da qualificate fonti nazionali ed internazionali, che evidenziano, nel tempo, alcune costanti negative del quadro di riferimento nazionale: una percentuale ridotta, pari al 41% rispetto alla media europea, della popolazione in età compresa tra 25 e 64 anni ha conseguito almeno  un titolo di scuola secondaria superiore, a fronte di una media europea pari al 48%; solo il 15% degli italiani nella fascia di età 25/64 anni ha raggiunto un livello d’istruzione universitario rispetto ad una media OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) del 32%; un quinto della popolazione nella fascia di età  15/19 anni ha abbandonato la scuola senza assolvere all’obbligo d’istruzione e formazione; in Italia, più di 1/5 dei giovani tra 15 e 29 anni è senza lavoro, non studia e non segue una formazione professionale; la quota percentuale di popolazione nella fascia di età 25/64 anni che ha partecipato a iniziative d’istruzione e formazione è al  6,6% nel 2012, ben al di sotto della media europea (9,3% nel 2012). È evidente come, a fronte di questi indicatori, non sia oggettivamente possibile conciliare un livello alto di sviluppo con un livello comparativamente basso di istruzione e formazione, a maggior ragione in un mondo/mercato del lavoro e della produzione sempre più vasto, globale e interdipendente. La formazione continua ovvero l’apprendimento permanente, che costituisce l’oggetto sociale esclusivo ope legis dei fondi paritetici interprofessionali, nella visione politica nazionale e comunitaria, detiene la duplice funzione di contribuire all’occupabilità e alla crescita economica, da un lato e di rispondere a più ampie sfide sociali, in particolare quella della coesione sociale, dall’altro. In tale complesso ecosistema, le politiche dei fondi paritetici interprofessionali, qualificati di recente come enti strumentali di diritto privato che gestiscono risorse finanziarie di natura pubblicistica, devono rispondere, in buona sostanza, a sfide cruciali non differibili oltre misura: incentivare l’investimento delle imprese nella formazione ed educazione degli adulti, favorire l’accesso alle opportunità formative ed educative, promuovere l’implementazione di processi formativi finalizzati allo sviluppo (competitività delle imprese, inclusione sociale dei cittadini/lavoratori) e all’ottemperanza (legalità sostanziale e di contrasto, buone prassi della corporate governance). Nel difficile contesto ambientale del nostro mezzogiorno, in cui a tutt’oggi si presenta in gran parte irrisolta la questione meridionale di ottocentesca memoria, l’offerta formativa veicolata dai fondi paritetici interprofessionali appare, dunque, irrinunciabile nella sua duplice accezione di stimolatore dello sviluppo e promotore della legalità, che esplica i suoi effetti su vasti strati del tessuto economico e sociale.  Dunque, la formazione continua in quanto fattore di crescita economica, inclusione sociale e incoraggiamento alla legalità, che rappresentano le architravi semantiche in cui è declinato il tema della cittadinanza attiva, nel meridione che è ed in quello che sarà. Va da sé, che, per dare un senso compiuto alla mission dei fondi paritetici interprofessionali, occorre la collaborazione ed il contributo fattivo degli stakeholder che operano nel nostro mezzogiorno, ovvero amministrazioni pubbliche, rappresentanze organizzate delle imprese e dei cittadini/lavoratori, referenti del mondo della scuola, università e ricerca, ecc.. Operando in modalità complementare, per evitare duplicazioni dispendiose degli interventi, sarà realistico perseguire i seguenti obiettivi specifici, ad utilità e vantaggio della collettività tutta: elevare il tasso  partecipazione degli adulti alle attività di formazione permanente; ridurre la diversità di sviluppo delle reti e dei servizi per la formazione permanente tra nord e sud del Paese; coinvolgere maggiormente imprese e cittadini/lavoratori in condizioni di svantaggio; promuovere indirettamente la diffusione della legalità e lo sviluppo economico  e sociale. Nella fattispecie, a titolo esemplificativo e non esaustivo, i fondi paritetici interprofessionali possono efficacemente finanziare attività di apprendimento permanente che afferiscono ai campi della formazione per ottemperanza ovvero finalizzata, di fatto, alla legalità e regolarità (sicurezza nei luoghi di lavoro, igiene e sicurezza alimentare, apprendistato, ecc.) come anche ai campi della formazione per sviluppo ovvero finalizzata alla competitività (ottimizzazione delle risorse aziendali, commercializzazione delle produzioni aziendali, implementazione dell’innovazione tecnologica di prodotto/processo, internazionalizzazione, aggregazione, concentrazione e integrazione economica orizzontale/verticale, ecc.).  L’adesione ai Fondi Paritetici Interprofessionali è del tutto volontaria, come stabilisce una specifica circolare dell’INPS. Essendo, il pagamento dello 0,30% già vigente ed obbligatorio per ogni Azienda che ha in carico lavoratori, attraverso l’UNIEMENS, destinandolo ad un Fondo, l’azienda avrà la garanzia che quello 0,30% versato le “ritornerà” in azioni formative volte a qualificare, in sintonia con le proprie strategie aziendali, i lavoratori occupati, migliorandone le competenze e il suo stesso ciclo produttivo.  Ogni impresa può aderire solamente a un Fondo, anche di settore diverso da quello di appartenenza. La novità principale disposta dalla norma riguarda la mobilità tra Fondi, ossia la possibilità per l’azienda di trasferire al nuovo Fondo il 70% del totale delle somme confluite nel triennio antecedente a quello in precedenza scelto. Il Fondo è anche un importante strumento di contrasto al lavoro nero che, nel Sud, è un’emergenza collettiva drammatica: la lotta ed un concreto contrasto all’economia sommersa, irregolare o illegale deve essere un tema prioritario per tutti gli attori dello sviluppo locale, sia per il contrasto alle dinamiche di sfruttamento dei lavoratori, sia per quanto riguarda le imprese sane che vengono messe fuori mercato dalle imprese illegali,  che per le gravi conseguenze che si riscontrano, a causa di questo fenomeno, sulla fiscalità generale: per ogni persona occupata in nero ogni lavoratore paga molte tasse in più, perché vengono sottratte risorse alla fiscalità generale, alla previdenza ed alle stesse regioni e comuni, per effetto del mancato introito di addizionali Irpef. “Il lavoro nero” ha concluso Mamone “come già ribadito da Benedetto Di Iacovo, Presidente della specifica Commissione Regionale di contrasto, così come il Presidente del Comitato per il Mezzogiorno ed Isole, Giovan Battista Perciaccante, per le ripercussioni sul settore delle Costruzioni, è certamente la forma più grave di precarietà poiché assomma la precarietà del lavoro ad un aggravamento complessivo del livello di precarietà sociale oltre a creare gravi distorsioni nella regolare competizione fra le imprese, generando quindi illegalità diffusa”. Soprattutto nella Aree meridionali, sono certamente importanti l’investimento in risorse e persone nei servizi ispettivi a cui vanno affiancate, con un adeguato supporto finanziario, politiche realmente efficaci di agevolazione dei processi di emersione e di supporto ed estensione di quelle esperienze bilaterali che, come nel settore dell’edilizia, attraverso l’istituzione del DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva), hanno prodotto un importante processo di responsabilizzazione delle parti sociali fino a ottenere risultati rilevanti in uno dei settori considerati più a rischio. Il quadro va completato definendo anche gli indici di congruità. Tutte queste politiche devono interagire con il sistema delle imprese, mettendo al centro l’acquisizione delle competenze, quindi la formazione continua ed i processi di internazionalizzazione dell’impresa.

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