Con l’evolversi della qualità della vita è aumentata di conseguenza la longevità degli italiani: oggi l’aspettativa di vita di chi ha 65 anni, arriva a 20,7 anni per il totale dei residenti, crescendo di cinque mesi rispetto a quella registrata nel 2013.
A dare conto dei numeri è l‘Istat nella pubblicazione sulla mortalità della popolazione residente in Italia. Concorre a dare rilevanza al dato la correlazione con la contribuzione pensionistica: secondo le regole normative vigenti, in attuazione ormai da un decennio stabilite per la prima volta in una manovra estiva del 2009, poi rivista negli anni, passando per il “Salva-Italia” di Monti-Fornero, l’uscita dal lavoro va di pari passo con l’allungamento dell’aspettativa di vita.
Da oggi, quindi, l’età per le pensioni di vecchiaia dovrebbe arrivare a 67 anni nel 2019, cinque mesi in più rispetto ad ora. Nello specifico, per andare in pensione in anticipo rispetto all’età di vecchiaia dal 2019 saranno necessari 43 anni e tre mesi di contributi per gli uomini e 42 anni e 3 mesi per le donne. Al momento per l’uscita anticipata ci vogliono 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 e 10 mesi per le donne. Una correlazione questa che ciclicamente solleva un vespaio di polemiche, soprattutto dalle parti sociali. Per capire bene di cosa stiamo parlando, Unisc ha sentito l’opinione del noto economista Giulio Sapelli.
Facendo un’analisi della norma vigente, quanto è giusto legare l’uscita dal lavoro con la longevità dei lavoratori?
“C’è tutto di sbagliato. Quello che conta per una contribuzione pensionistica non dovrebbe essere l’aspettativa di vita, ma i contributivi che una persona versa nel suo ciclo lavorativo. Aver fatto una norma giuridica che lega una corrispondenza, non di un diritto ma di una controprestazione, è scorretto perché un conto è quello che lo Stato dà tramite le pensioni e un conto è quello che il cittadino versa tramite una serie di calcoli affariali. Legarlo all’aspettativa di vita è una cosa secondo me completamente sbagliata. Io devo legare la pensione al fatto che in una società civile, che ha conquistato dei diritti di cittadinanza sociali soprattutto per i lavoratori, non si debba lavorare tutta la vita fino a morire”.
Occorre quindi riformare le regole in gioco? Quale sarebbe il primo passo da seguire?
“Il problema è: quanto pensiamo si debba vivere giustamente nel nostro ciclo vitale anche senza lavorare? Il fatto di aver collegato le aspettative di vita alla contribuzione pensionistica è una sorta di controllo delle funzioni di vitali di una persona che sa di Stato totalitario. Questo vuol dire negare la persona umana. Poi chi è che fissa le aspettative di vita? Gli istituti statistici? Che un algoritmo determina quanto si possa vivere o meno è una cosa vergognosa. Mi stupiscono che le organizzazioni sindacali che ormai sono totalmente prive di autonomia ideologica, su questa cosa non abbiano fatto degli scioperi generali che sarebbero stati appoggiati da tutti. Avevamo la riforma Dini sulle pensioni che andava benissimo, fatta da un grande tecnico come Lamberto Dini che godeva di un prestigio internazionale non indifferente. Ma chi è Tito Boeri (presidente Inps ndr) rispetto a Dini?
di Giuseppe Tetto