Disturbi alimentari, depressione, ansia, incremento dell’autolesionismo e dei tentavi di suicidio, aumento dell’utilizzo di sostanze stupefacenti, violenze di genere, strutture per minori piene, risse tra adolescenti che sfociano in atti estremi, sono tutti sintomi di un problema e di una sofferenza sempre più diffusa tra i giovani.
Questo fenomeno ormai è evidente, le poche misure intraprese dalle istituzioni risultano spesso inefficaci mentre l’opinione pubblica continua ad incolpare questa “gioventù deviata” dai social network, incarnazione di ogni male. In realtà si tratta di questioni molto più complesse, delle quali va ricercata la causa profonda.
Proprio questi temi sono stati al centro dell’incontro con il dottor Tito Baldini, analista esperto di bambini e adolescenti della Società psicoanalitica italiana, di cui è membro ordinario. Co-direttore della rivista “AeP. Adolescenza e Psicoanalisi”, il dottor Baldini è autore di numerose pubblicazioni e saggi in tema di adolescenza.
Nel corso dell’incontro, tenutosi presso il liceo classico “Augusto” di Roma, ha messo in luce come la società dei consumi abbia generato forti cambiamenti, creando bisogni indotti e producendo oggetti che vengono utilizzati per colmare i reali bisogni dell’essere umano.
La psiche, invece, funziona per “rappresentazioni delle assenze”. Essa è fatta di oggetti, intese come persone e cose, “che prima c’erano e poi non ci sono più” e fintanto che “tolleriamo la frustrazione di queste assenze stiamo bene”. La società dei consumi colma queste assenze con oggetti fisici e il risultato è che le persone non sono più in grado di gestire le piccole frustrazioni, non hanno più “la materia psichica per gestire una vita normale”, fatta di cambiamenti, di vittorie, ma anche di sconfitte.
Allo stesso tempo non c’è più spazio per quest’ultime. Viviamo in un’epoca dove bisogna essere sempre più performanti, alla stregua delle macchine, e in cui si è creata una “perversione educativa”, dove i genitori devono provvedere ai bisogni materiali dei figli per mantenere la loro salute mentale. Dove “si trascurano i figli se non si lavora il più possibile per dar loro tutto”.
In un tale contesto spesso sono le famiglie stesse che inducono i giovani a credere che nella vita “o si è tutto o non si è niente”, o si è eccellenti altrimenti si è dei falliti, dove occorre andare bene a scuola per dimostrare il proprio valore. E mentre i giornali fanno a gara nello scovare il laureato con il massimo dei voti nel minor tempo possibile, nel frattempo c’è chi si toglie la vita perché la laurea non riesce a prenderla. “Come si può essere dei falliti da giovani? Questo pensiero uccide l’umano”, ha dichiarato provocatoriamente il dottor Baldini, e da lì il passo per la depressione è breve.
La pandemia, poi, ha intensificato questi aspetti, aggiungendo ai malesseri quotidiani la solitudine e creando un trauma dalle conseguenze enormi. Gli adolescenti sono più chiusi in sé stessi e tendono a preferire una realtà virtuale, dove tutto sembra più facile, ma che incrementa ancora di più il senso di solitudine.
Il risultato di questa società, che continua a dar loro addosso senza nemmeno cercare di comprenderli, sono giovani intelligenti e performanti, ma allo stesso tempo sempre più fragili, incompresi e soli, che sfogano la propria sofferenza con gli atti più estremi.
Gli antidepressivi non possono essere la soluzione al problema. “È importante parlare, la gente deve tornare a pensare”, mentre la scuola, prima che insegnare concetti da imparare a memoria, “deve rendere sana la mente” dei suoi alunni e mettere la socializzazione al centro.