sabato , Dicembre 6 2025
Home / Comunicazione / Primo piano / Coronavirus, consigli economici e strutturali alle aziende

Coronavirus, consigli economici e strutturali alle aziende

Le conseguenze economiche del coronavirus iniziano a farsi sentire in modo prepotente. L’Italia si trova a vivere una situazione emergenziale mai vista prima, con la proclamazione di tutto il territorio nazionale “zona rossa” (DPCM del 9 marzo 2020) e, pertanto, soggetto a limitazione negli spostamenti delle persone ma anche della gestione di moltissime attività commerciali.

Le aziende del settore turistico e culturale devono restare chiuse almeno fino al 3 aprile, con possibilità di proroga, ma restano chiuse anche molte altre attività. Misure che si sono rese necessarie per il contenimento del numero dei contagi, ma che, di fatto, si traducono in una totale mancanza di incassi per decine di migliaia di imprenditori e liberi professionisti, a fronte di spese fisse che continuano ad esserci.

Gianmario Bertollo, fondatore di Legge3.it, si occupa di aiutare gli imprenditori ad uscire da situazioni di sovraindebitamento. Spiega: “Immaginiamo un’azienda che produce stand fieristici e proprio in concomitanza della stagione delle fiere più importanti si vede disdetti ordinativi ingenti di materiali che, magari, sono già stati realizzati. Immaginiamo tutti gli operatori turistici, della ristorazione, dello spettacolo che devono stare completamente chiusi, o un imprenditore medio italiano (che rappresentano circa il 95% del totale) che non ha un’azienda capitalizzata e che vive ogni mese con le ricevute bancarie da scontare. È tutto fermo e la domanda da farci è quanto possiamo stare senza incassare prima di fallire?”.

Guide turistiche, lavoratori stagionali, a chiamata, con contratti a termine o a partita Iva. Sono molte le categorie che in queste settimane stanno rimanendo senza lavoro e, se le aziende non riusciranno a rialzarsi in piedi e ad evitare la chiusura totale, potrebbero non riuscire a trovarne uno nuovo neanche al termine dell’emergenza. Come venirne fuori, dunque?

“Può sembrare una cosa banale, ma la prima cosa da fare è quella di restare quanto più possibile lontano dai debiti – Continua Bertollo. “Un piccolo prestito chiesto in queste circostanze così difficili potrebbe diventare qualcosa di insostenibile in pochissimo tempo”.

Quali sono, dunque, i consigli di Gianmario Bertollo alle aziende in tempo di crisi economica da coronavirus (ma non solo)? Innanzitutto capitalizzare l’azienda, utilizzare i risparmi per investire nell’azienda prima che in beni personali. Quindi finanziare l’azienda per comprare asset produttivi di reddito. Ancora: non ricorrere a finanziamenti se si è un privato. Fare sempre e unicamente il passo secondo la gamba, come dice un vecchio detto. Il finanziamento deve portare reddito e non produrre spese.

Altri consigli giungono da Enrico Noseda, Chief Innovation Advisor di Cariplo Factory. Spiega: “Le crisi stimolano la creatività e il cambiamento, questo perché le aziende, per fronteggiare l’emergenza, sono costrette a ragionare sulle priorità. Una condizione tipica delle start-up, organizzazioni che hanno l’efficienza e la velocità nel loro dna: dispongono di risorse limitate, dunque sono abituate a ottimizzare per lavorare massimizzando i risultati. L’emergenza che stiamo vivendo in Italia a causa del Covid-19 ha sicuramente obbligato tutte le aziende a ragionare come se fossero start-up. Ed è questa la soluzione che può permettere loro di uscire dalla crisi: il cambiamento. Forse questa digital transformation ‘obbligata’ ci può aiutare ad apprezzare gli effetti positivi di nuovi assetti tecnologici e un nuovo approccio culturale, soprattutto nel lavoro”.

Noseda entra nello specifico. “Videoconferenze, selezione del personale, video in streaming, ma anche percorsi di apprendimento a distanza. In questa circostanza tutti stiamo apprezzando la tecnologia che ci permette di affrontare un’emergenza grave senza stravolgere eccessivamente le nostre vite. Almeno sotto l’aspetto professionale. Se da un lato a tutti sono stati richiesti sacrifici, come la rinuncia a molti contatti sociali, per rallentare quanto possibile la diffusione di una malattia con la quale probabilmente dovremo imparare a convivere per un po’, dall’altro abbiamo la possibilità di cogliere una nuova sfida per cambiare e migliorare il nostro approccio al lavoro”.

“La tecnologia che già oggi abbiamo a disposizione – continua Noseda – ci permette di lavorare riducendo al minimo gli incontri fisici: infatti l’efficienza e l’efficacia di quello che facciamo non è diminuita, anzi in molti casi è addirittura aumentata. Gli strumenti per cambiare il modo di lavorare li abbiamo e, oltre alle tante piattaforme più note, ci sono anche soluzioni di matrice italiana. Basti pensare a Bandyer, la soluzione di comunicazione e collaborazione integrata che permette di vivere l’ufficio da casa, o a Yobstech, il portale che semplifica i colloqui di lavoro utilizzando l’analisi delle videocomunicazioni per trarre tutte le informazioni necessarie sui candidati. Ma anche House264 che con streaming e produzioni video interattive ci sta aiutando a realizzare eventi digitali, che non richiedono la presenza delle persone in un unico luogo. Così come Fattureincloud, che permette alle aziende di gestire da remoto tutta la propria contabilità, o Fluida, che digitalizza i processi per la gestione del personale e dei collaboratori esterni, gratuita fino a 10 dipendenti. Non è una soluzione per le aziende ma di questi tempi non si può non citare Redooc, la piattaforma di formazione a distanza dedicata alla matematica per studenti dalla scuola Primaria all’Università, o anche Uniwhere, l’efficace soluzione che aiuta gli studenti universitari a ottimizzare il proprio percorso accademico. Per finire c’è ForTune, startup di Reggio Emilia che propone una piattaforma di podcast con mini-storie di qualità in base all’argomento scelto dall’utente”.

“Insomma, gli strumenti ci sono, ma quello che serve veramente è un cambio di paradigma che parte da un nuovo rapporto di fiducia tra impresa e dipendente, che non valuti più la qualità del lavoro in base alle ore passata alla scrivania, bensì sui risultati raggiunti. D’altra parte, in un ecosistema sempre più competitivo chi non sa cambiare è destinato a soccombere. La crisi di un virus che cresce in maniera esponenziale diventa quindi un’opportunità per stimolare la creatività e il cambiamento. Sebbene le preoccupazioni siano grandi, dobbiamo cogliere il lato positivo della situazione: oggi siamo costretti a metterci in gioco, a sperimentare soluzioni nuove. Fare resistenza è controproducente, meglio provare, in un certo senso anche a rischiare, con la consapevolezza che anche gli errori ci aiuteranno a crescere. E fare notevoli passi avanti in termini di innovazione. È inutile girarci intorno, accelerare l’approccio al digitale è l’unico modo per garantire la sopravvivenza di molte aziende. Chi riuscirà a farlo, seppure forzato da agenti esterni, uscirà dalla crisi più forte di prima e pronto ad affrontare e superare nuove sfide”.

“È innegabile che il modo di fare impresa stia cambiando radicalmente: una rivoluzione che disegna con chiarezza due traiettorie. La prima mostra le aziende proiettate verso il futuro (la vera natura di una start-up), la seconda quelle che scelgono di restare ferme. Quando avremo superato questo delicato momento, chi avrà avuto il coraggio di portarsi avanti sfruttando la tecnologia e cambiando la cultura aziendale avrà un consistente vantaggio competitivo rispetto a chi ha semplicemente cercato di limitare i danni. Le aziende che avranno la forza di restare concentrare sulle loro priorità senza tagliare gli investimenti in innovazione riusciranno a ribaltare il paradigma e fare di questa crisi una grande opportunità. Ma senza un cambiamento culturale radicale nessuna modalità innovativa potrà avere successo: fino a quando l’innovazione sarà percepita come un rimedio tattico resteremo ancorati a modelli di management superati e sorpassati”.

“Senza errore non c’è cambiamento, innovazione, progresso – conclude l’esponente di Cariplo Factory. “Abbiamo bisogno di una cultura dell’errore. Quella che ha fatto diventare grandi tante start-up, da Google a Facebook a Tesla. Prendere decisioni in fretta per cogliere un’opportunità può indurre in errore: non può e non deve essere un problema, ma un’altra occasione di apprendimento. Se mi muovo veloce non posso che fare errori, questo però mi insegnerà qualcosa che mi permetterà di continuare a muovermi velocemente, facendo un po’ meno errori. E così via, avviando un circolo virtuoso che permette di operare a una velocità superiore agli altri. “Se tutto è sotto controllo, stai andando troppo piano”: lo diceva il pilota di Formula 1, Mario Andretti. Uno che di successi e di velocità se ne intendeva. È un modo efficace per rappresentare la cultura da start-up che tanto farebbe bene alle aziende italiane. Più di tutto, in questo momento, serve la visione e il coraggio per andare avanti. Indietro, ci siamo già stati”.

Check Also

pnrr

Pnrr, ok dalla Commissione Ue all’ottava rata da 12,8 miliardi

La Commissione europea ha comunicato la valutazione positiva per il pagamento dell’ottava rata del Pnrr …