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Giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne: attesa per il reato di femminicidio

È violenza contro le donne “ogni atto di violenza fondata sul genere che abbia come risultato, o che possa probabilmente avere come risultato, un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o privata”. Recita così l’articolo 1 della Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne, emanata dall’Assemblea generale dell’Onu nel 1993.

E ancora dal ministero dell’Interno: “Con l’espressione violenza di genere si indicano tutte quelle forme di violenza da quella psicologica e fisica a quella sessuale, dagli atti persecutori del cosiddetto stalking allo stupro, fino al femminicidio, che riguardano un vasto numero di persone discriminate in base al sesso”.

Ricorre oggi, martedì 25 novembre la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, celebrata ogni anno per ricordare il brutale assassinio avvenuto nel 1960, nella Repubblica Dominicana, dove le tre sorelle Mirabal, considerate rivoluzionarie, vennero torturate e uccise.

Secondo le stime Istat 2025, sono quasi 6,4 milioni di donne in Italia (il 31,9%) che hanno subito almeno una violenza fisica o sessuale a partire dai 16 anni di età. In particolare, il 18,8% ha subito violenze fisiche e il 23,4% violenze sessuali; tra le più gravi, gli stupri e i tentativi di stupro riguardano circa 705.500 donne, ovvero il 3,5%. Spesso, queste violenze avvengono all’interno delle relazioni affettive – sono soprattutto gli ex partner a commettere abusi, responsabili dell’84,1% delle violenze subite durante la relazione. Invece, nel 2024, sono state 62 le donne uccise da un partner o un ex partner, quasi tutti (61) sono uomini.

Ma la violenza può manifestarsi in modi diversi, no è solo fisica, può essere anche psicologica.

I dati della ricerca di Save the children in collaborazione con Ipsos pubblicati nel rapporto “Le ragazze stanno bene?” mostrano che la cultura della violenza può attecchire già in adolescenza: uno su cinque adolescenti tra i 14 e i 18 anni ha subito atteggiamenti violenti in una relazione. Persistono stereotipi e credenze errate, come la convinzione che il modo di vestire possa “provocare” la violenza, o che non sia sempre necessario il consenso esplicito al rapporto. Per invertire questa tendenza è fondamentale promuovere in modo sistematico e continuativo percorsi di educazione all’affettività, alla parità di genere e al rispetto delle differenze nelle scuole. Questi interventi sono essenziali per costruire una cultura del rispetto, prevenire la “normalizzazione” della violenza e favorire un cambiamento strutturale capace di permeare istituzioni e società civile.

Serve un cambiamento condiviso che parta dalle istituzioni e coinvolga l’intera collettività. Un sistema organico di raccolta dati, formazione degli insegnanti ed esperti sul territorio, leggi più incisive e una scuola capace di formare cittadini consapevoli sono gli strumenti chiave per abbattere la violenza di genere. Solo così sarà possibile costruire, tra nuove generazioni e adulti, una cultura realmente fondata sul rispetto e sulla parità.

Intanto si attende per oggi dalla Camera dei deputati l’approvazione definitiva del disegno di legge che introduce il reato di femminicidio, già licenziato dal Senato nell’estate 2025. Il nuovo reato punisce chiunque cagioni la morte di una donna con atti di discriminazione, odio, prevaricazione, controllo o possesso in quanto donna, prevedendo la pena dell’ergastolo. Il testo, oltre a rafforzare la protezione delle vittime, estende le tutele anche agli orfani di femminicidio e ai minori che restano senza cure materne a causa della violenza.

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