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Imprese agricole e alimentari italiane, transizione ecologica ed energetica: è gap di competenze

Sono pilastri del progetto Next Generation Eu e componenti della missione 2 del Pnrr, “Rivoluzione verde e transizione ecologica”. Affrontano i grandi temi dell’agricoltura sostenibile, dell’economia circolare e della transizione energetica, ossia il passaggio del settore energetico globale da sistemi di produzione e consumo di energia basati su fonti fossili – tra cui petrolio, gas naturale e carbone – a fonti di energia rinnovabili come l’eolico e il solare.

La transizione ecologica ed energetica sono sfide che le imprese italiane sono chiamate ad affrontare e vincere perché, secondo l’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (Irena), lo spostamento graduale e costante della produzione energetica globale verso un sistema a zero emissioni di carbonio dovrebbe avvenire entro il 2050.

Obiettivi da perseguire che dovrebbero andare di pari passo con lo sviluppo dell’innovazione, in particolare digitale e che richiedono un continuo aggiornamento delle competenze e delle professionalità in grado di gestire il percorso di transizione.

Nomisma attraverso un’indagine originale sulle imprese agricole e alimentari italiane, con un focus specifico su quelle tabacchicole, ha approfondito questi aspetti presentando i risultati nel convegno “Le competenze per la transizione ecologica ed energetica nelle imprese agroalimentari italiane: stato dell’arte e fabbisogni” organizzato a Verona in collaborazione con Philip Morris Italia. Presenti importanti stakeholder del settore come Roberto Mancini, ceo Diagram, Angelo Frascarelli, professore UniPG e Cesar, Alberto Mantovanelli, presidente Opit, Cesare Trippella, head of leaf Eu Philip Morris Italia, nonché rappresentanti istituzionali del Parlamento europeo, tra i quali Sergio Berlato, Paolo Borchia, Herbert Dorfmann e Dario Nardella e Luca De Carlo, presidente commissione Agricoltura del Senato.

La scelta d’individuare le aziende del comparto agricolo e alimentare come oggetto privilegiato d’indagine è motivata dal fatto che proprio agricoltura e industria alimentare sono un settore trainante dell’economia nazionale, oltre che un’eccellenza che posiziona il nostro Paese a livello globale. Da sole valgono 77 miliardi di euro di valore aggiunto, con un export che nel 2023 ha superato i 64 miliardi di euro.

Quello che emerge dai dati dell’indagine è che se effettivamente il 71% delle imprese ha già investito nella transizione eco-energetica, molte devono ancora sviluppare competenze specifiche per sfruttare appieno le nuove tecnologie. Andando nel dettaglio, un’azienda su quattro lamenta la mancanza di competenze specifiche e la necessità di formazione come i principali vincoli a una maggior diffusione di tali innovazioni.

La gestione sostenibile delle risorse, l’ottimizzazione dei processi produttivi e l’uso di software per la sostenibilità sono tra le competenze più ricercate; mentre si rivela cruciale la difficoltà nel trovare personale qualificato, problema condiviso dalla quasi totalità delle imprese intervistate.

Rispetto agli obiettivi di produzione di energie rinnovabili e digitalizzazione dell’economia e della società l’Italia evidenzia valori sotto la media rispetto agli altri paesi Ue. In particolare, se si guarda al Digital Economy and Society Index (DESI), l’Italia sconta un ritardo soprattutto nella componente del “capitale umano”, in altre parole nelle competenze digitali delle persone. Ed è proprio il gap nelle competenze uno dei principali punti di miglioramento propedeutici alla diffusione in Italia delle innovazioni tecnologiche nelle imprese agricole ed alimentari.

Il gap da colmare emerge anche nella consapevolezza delle aziende sulla preparazione professionale dei propri addetti: dall’indagine emerge infatti che il 44% del campione intervistato ritiene molto importante la formazione, percentuale che sale al 59% nel caso delle aziende tabacchicole. E in effetti, già oggi un’impresa su due investe nella formazione dei propri addetti (oltre a quella obbligatoria prevista per legge), mentre un ulteriore 30% ha già pianificato attività in tal senso nei prossimi 2/3 anni, mentre per le aziende tabacchicole la percentuale sale al 44%, a testimonianza dell’efficacia dell’accordo di filiera nel comparto che abilita le aziende ad effettuare una programmazione strategica a medio termine anche sul tema delle competenze.

Andiamo a vedere nel dettaglio quali sono le competenze necessarie alla transizione eco-energetica più richieste dalle imprese. Per il 48% delle aziende intervistate, sono quelle legate alla gestione sostenibile delle risorse e all’ottimizzazione dei processi produttivi. Un altro 33% segnala la capacità di utilizzare software per la gestione sostenibile dell’azienda, mentre il 28% individua le competenze biologiche e chimiche legate alla produzione sostenibile.

La vera sfida quindi è riuscire a trovare risorse umane competenti.  Una problematica fortemente sentita: solo un’azienda su dieci non ritiene importante disporre di competenze nel percorso verso la transizione eco-energetica, una consapevolezza che tra le aziende tabacchicole trova conferma nel 100% delle imprese intervistate.

“Chi pensa che l’agricoltura sia ancora quella di cento anni fa commette un errore gravissimo: oggi l’innovazione è fondamentale – commenta il senatore Luca De Carlo, presidente della IX Commissione Senato Industria, commercio, turismo, agricoltura e produzione agroalimentare. “Per mantenere ad altissimi livelli la qualità della nostra agricoltura, la formazione degli addetti è indispensabile: la filiera diventa quindi lo strumento cardine che permette da un lato di lavorare su economie di scala e ottenere così prezzi migliori e, dall’altro, di aumentare le conoscenze delle imprese e dei lavoratori, attraverso lo studio e l’introduzione di innovazioni che permettano di produrre di più e meglio”.

Al di là dell’attuale dotazione di risorse umane in grado di sostenere la sfida della transizione eco-energetica (che soddisfa pienamente solo il 30% delle aziende intervistate), resta nel tessuto imprenditoriale agroalimentare italiano un gap di competenze da colmare.

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