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L’eterno Berlusconi che ritorna al Senato

Umberto Bossi dopo trentacinque anni lascia il Parlamento. Esce di scena anche Emma Bonino, che si aggrappa al riconteggio. Addio a Vittorio Sgarbi con la divisa di parlamentare. È fuori dalla Camera anche Luigi Di Maio, insieme alla sua pattuglia di ex grillini, tra cui Lucia Azzolina, Manlio Di Stefano e Vincenzo Spadafora. Non è più senatore Gianluigi Paragone, così come il collega leghista ultracattolico Simone Pillon. Tra i big del Pd, perdono il posto in Parlamento Stefano Ceccanti, Monica Cirinnà, Emanuele Fiano, Andrea Marcucci e Filippo Sensi. Fuori anche l’ex ministra di Iv, Teresa Bellanova.

A fronte di questa diaspora, rientra in Parlamento l’eterno cavaliere Silvio Berlusconi, che ottiene il seggio Lombardia U06, quello di Monza, conquistando ben oltre il 50 per cento dei voti espressi nell’intero collegio. L’ennesimo trionfo alla vigilia degli 86 anni che compirà domani.

Non solo. Nonostante le previsioni catastrofiche, il suo partito, Forza Italia, conquista un dignitoso 8,1 per cento, che corrisponde a 45 deputati e 18 senatori. Decisivi per un governo di centrodestra e per le scelte del prossimo esecutivo.

Non soltanto Berlusconi non può essere annoverato tra gli sconfitti, ma è riuscito persino a lasciare dietro il Terzo Polo guidato da Carlo Calenda (che si ferma al 7,8 per cento), che era sicuro di dominare l’area dei moderati togliendo voti soprattutto agli azzurri del Cavaliere.

“Se pensassi davvero che esistesse il rischio di derive populiste, il governo non partirebbe neppure, anzi non saremmo nemmeno alleati con gli altri due partiti della nostra coalizione – ha detto Berlusconi in un’intervista al Corriere della Sera, sottolineando come lacollocazione internazionale del Paese, per Forza Italia sia una questione “di fondamentale importanza”.

Persino a sinistra, quindi, il ruolo del neosenatore e della sua pattuglia è ora visto positivamente in quanto costituisce il migliore argine verso eventuali pulsioni antieuropeiste e populiste della destra di Matteo Salvini e Giorgia Meloni.

Dopo che l’imprenditore edile che ha realizzato “Milano 2”, “Milano 3” e il centro commerciale “Il Girasole”, nonché proprietario di Mediaset con Canale 5, Italia Uno, Retequattro e altri numerosi canali è stato per anni demonizzato dagli osservatori di area progressista, oggi appare quasi riabilitato. E non è soltanto questione di benevolenza verso l’età, visto che appare un eterno redivivo, capace persino di sfruttare con successo il social Tik Tok in questa breve e anomala campagna elettorale.

Berlusconi, dopo la fondazione del partito di Forza Italia nel 1994 e la discesa nel campo della politica che lo porterà a essere presidente del consiglio nel 1994, dal 2001 al 2006 e dal 2008 al 2011, continua insomma a far parlare di sé e potrà essere ancora decisivo nei prossimi anni. L’elezione del fedelissimo Renato Schifani a presidente della Regione Sicilia, dopo aver piazzato il forzista Roberto Occhiuto alla guida della Calabria meno di un anno fa, dimostra come Forza Italia sia un partito ancora protagonista della scena italiana.

A Berlusconi, da destra, gli si rimprovera di non essere riuscito a compiere quella rivoluzione liberale a lungo sbandierata, anche come programma di queste elezioni. Si legge in un suo appello datato ma attualissimo: “Siamo precipitati in una crisi economica senza precedenti, in una depressione che uccide le aziende, che toglie lavoro ai giovani, che angoscia i genitori, che minaccia il nostro benessere e il nostro futuro. Il peso dello Stato, delle tasse, della spesa pubblica è eccessivo: occorre imboccare la strada maestra del liberalismo che, quando è stata percorsa, ha sempre prodotto risultati positivi in tutti i Paesi dell’Occidente: qual è questa strada? Meno Stato, meno spesa pubblica, meno tasse”.

Riuscirà il probabile governo di Giorgia Meloni ad imboccare questa strada, pur nelle enormi difficoltà congiunturali?

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