
Il nostro Mezzogiorno come “credenza dei ricordi” per i tantissimi meridionali che hanno impiantato radici altrove e conservano un legame sentimentale con i borghi d’origine con la loro “calda prossimità” di generazioni non alterate, ognuna con il suo ruolo. Ma non c’è un’idea nostalgica predominante nell’esercizio della memoria, bensì una facoltà dell’anima di recuperare tessere di quell’immenso mosaico di valori, a cominciare dalla generosità prevalente in quel lontano mondo povero.
L’intellettuale pugliese (di Bisceglie) Marcello Veneziani, nel suo ultimo “C’era una volta il sud”, edito da Rizzoli, ci offre un libro di grande formato, ibrido, perché condensa più linguaggi, da quello sinceramente fotografico del rigorosamente bianco e nero al prezioso apporto testuale di pensieri e di ricordi che accompagna il lettore in quel mondo comune per tutto il Sud, la cui autenticità – come già avvertiva profeticamente Pasolini – è stata scalzata da una modernizzazione a volte molto discutibile.
Ecco, allora, lo spettacolo dei riti, così ben indagati dall’antropologo Ernesto De Martino ed egregiamente raccontati dal poeta Rocco Scotellaro. Le nozze che mantengono una loro tradizione nella durata infinita. Il rapporto con il lutto in cui si salda la comunità, miscela di antico paganesimo in cui il dolore è rappresentato dalla teatralità con una funzione anche catartica e una spiritualità cristiana portata agli estremi (Veneziani ricorda l’antico ruolo degli orfanelli coscritti a seguire i morti o il contraddittorio rapporto con gli spiriti, sollecitati al ritorno attraverso il cibo ma allontanati come spettri cospargendo le scale di sapone). Le ineclassabili processioni. Lo struscio di paese.
Poi il ruolo della “controra”, la pennichella romana, la “siesta”, una stasi di un paio d’ore che incarna nel contempo lo splendore e il vizio del Sud dove il tempo si può anche “sperperare”, ma in un modo individualmente proficuo.
Tra i ricordi personali, il fascino e lo stupore del progresso attraverso la scoperta della Fiera del Levante, con il mondo intero ospitato negli stand a Bari, o con la costruzione dell’autostrada, utilizzata – prima dell’inaugurazione – come campo di calcio dai ragazzi per le immancabili partite a pallone.
Veneziani cita due eccellenze del Sud: la rivelazione dei Bronzi di Riace, sorta di Dei che vengono a trovarci dopo essere stati sepolti per duemila anni nei fondali marini. Una proposta del giornalista, pienamente condivisibile: tirarli fuori dal ghetto del museo e posizionarli sul porto di Reggio Calabria quale “ingresso del nostro Sud”; la seconda pregevolezza è Matera, che ha mantenuto una sua autenticità e un suo incanto, un esperimento positivo grazie a grandi restauri e all’esperienza come capitale europea della cultura.
L’autore, con un vero atto d’amore, sconfessa quel pregiudizio dominante che vuole un Sud asfittico e ne recupera, invece, l’aspetto corale e multisensoriale delle immense sfumature che esercitano costantemente i sensi: qui ci si rifugia un po’ nel rimpianto rispetto ad una modernità che condanna sempre più spesso alla virtualità, all’introversione, alle tante facce della solitudine. Nel Mezzogiorno “le case erano un via vai di famigliari, tanti figli, tanti cugini, le nonne e le zie ‘vacantine’ che vivevano nella stessa casa, e altrettanti amici, vicini di casa, persone che uscivano ed entravano di continuo dalle porte, parlavano dai balconi e dalle finestre” racconta Veneziani, descrivendo quell’insieme “aperto e all’aperto”. E rammenta la gratuità prevalente in quel mondo, dall’acqua ai “frutti appesi da cogliere per le strade”, ai giochi semplici e indimenticabili.
Certo, “quel mondo era anche duro, crudele, classista, affamato, malvestito, inclemente”, per cui è difficile rimpiangerlo. Non fu “l’età dell’oro” semmai “l’età del pane”, citando lo scrittore veneto Felice Chilanti. Ma raccontarlo fa bene, perché “suscita qualche sentimento, magari ci aiuta a non perdere la nostra sensibilità, a non diventare automi o umanoidi artificiali”. Insomma, un mondo non racchiuso nei pochi centimetri quadrati di un telefono cellulare.

UNSIC – Unione Nazionale Sindacale Imprenditori e Coltivatori
