
Dopo i cambiamenti apportati al Reddito di cittadinanza dalla Legge di bilancio, il 2023 sarà ufficialmente l’anno della formazione. Almeno sulla carta.
Nell’anno nuovo, infatti, va a regime il programma Garanzia di occupabilità dei lavoratori (Gol), previsto dal Pnrr per rilanciare i servizi di politica attiva del lavoro. Per l’iniziativa è previsto un investimento di risorse dal valore di 4,4 miliardi di euro entro il 2025. Coinvolgerà 3 milioni di beneficiari, di cui 800mila inseriti in attività formative, 300mila delle quali relative alle competenze digitali.
Monitorato dall’agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpal), l’obiettivo del programma è riqualificare i disoccupati italiani. Tra i principali destinatari vi sono lavoratori con ammortizzatori sociali o sostegni al reddito come Naspi e Reddito di cittadinanza, lavoratori fragili e working poor. Il rilancio dell’occupazione, infatti, diventa fondamentale, soprattutto ora che verranno a mancare i sostegni del Rdc, che dal 1° gennaio sarà riconosciuto per un limite massimo di sette mensilità. Ma investire tutto in formazione non sembra essere una soluzione al problema.
L’inefficienza dei Centri per l’impiego (Cpi), che dovrebbero favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, è un dibattito che va avanti da diversi anni. Ad oggi solo il 4 per cento delle persone che si rivolge a un Cpi trova un’occupazione. Consapevole delle difficoltà dei centri, spesso pochi e non in grado di coprire la platea di utenti, il governo ha stanziato 600 milioni per i Cpi e ha deciso di arruolare anche agenzie private per ricollocare i disoccupati. Le stesse agenzie, però, faticano a gestire un flusso così ampio come quello del programma Gol.
Anche i corsi di formazione lasciano a desiderare. Maurizio Del Conte, ex presidente Anpal, ordinario di Diritto del lavoro all’università Bocconi, ha dichiarato sconcertato: “Agli avvisi regionali stanno rispondendo centinaia di enti accreditati che propongono migliaia di corsi fondamentalmente inutili non progettati sulle reali esigenze del sistema produttivo e senza prevedere valutazioni successive in termini di occupazione aggiuntiva e di qualità dell’occupazione generata”, riporta Il Fatto Quotidiano.
Per attivare un corso, infatti, l’ente di formazione deve essere accreditato. Questo requisito tuttavia è puramente formale in quanto è necessario avere strutture e docenti, mentre non esiste alcun criterio che valuta la qualità della formazione impartita. È così che leggendo i portali regionali si trovano anche corsi per diventare “dog sitter”.
E mentre proliferano gli enti e i corsi più impensabili, la carenza di operatori socio sanitari rappresenta una vera e propria emergenza nazionale, cui solo alcune Regioni risponderanno con le nuove attività di formazione.