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Pensioni, nel 2025 aumenti minimi

Andare in pensione diventa sempre più difficile e se da un lato le persone sono costrette a fare i conti con i rialzi dell’età pensionabile, dall’altra gli assegni, erosi dall’inflazione e dalla perdita di potere di acquisto, risultano sempre più esigui. Quest’anno, poi, le pensioni minime saliranno di appena 1,8 euro al mese, passando dagli attuali 614,77 euro a 616,57 euro.

Stando al decreto firmato il 15 novembre dal ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Marina Calderone, e dal ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, e pubblicato nei giorni scorsi in Gazzetta ufficiale, l’inflazione da recuperare nel 2025 sulle pensioni sarà pari allo 0,8%. Due punti percentuali in meno rispetto a quanto previsto dalla manovra quando è stata chiusa, in cui si auspicava un meno 1%.

Il governo ha aggiunto un’addizionale del 2,2% che, sommato, al 0,8%, arriva ad un totale del 3%. Nel 2025, infatti, scadeva l’addizionale del 2,7% in vigore quest’anno, senza la quale, di fatto, le pensioni sarebbero state tagliate. Senza questa le minime sarebbero scese a 598 euro, per cui anche considerando un’inflazione allo 0,8% le pensioni sarebbero state inferiori a quelle di quest’anno.

Rispetto alle altre pensioni, invece, dopo i pesanti tagli degli ultimi due anni – per cui vi sono ancora due ricorsi pendenti davanti alla Corte Costituzionale – verrà utilizzato il criterio di indicizzazione a scaglioni, noto come metodo Prodi/Draghi.

Come spiega la Repubblica, “tutti gli assegni fino a quattro volte il minimo (circa 2.400 euro) avranno il 100% di rivalutazione, quindi tutta l’inflazione dello 0,8%. La parte di assegno tra 2.400 e circa 3 mila euro sarà rivalutata al 90%, pari allo 0,72% di inflazione. La porzione di pensione sopra 3 mila euro recupererà il 75% dell’inflazione, pari allo 0,6%.

Per fare qualche esempio – continua la Repubblica – una pensione lorda da mille euro al mese aumenta di 8 euro. Un assegno da 1.500 prende altri 12 euro lordi. Che salgono a 20 euro per pensioni da 2.500. E 30 euro per assegni da 4 mila euro lordi”. Uno scarno aumento, soprattutto considerando che le pensioni medio-alte sono state tagliate in modo cumulato per 37 miliardi fino al 2032.

Per chi andrà in pensione nel 2025 la situazione è anche peggiore. Con la fine della pandemia e l’aumento dell’aspettativa di vita a partire da gennaio 2025 gli assegni potranno subire un calo fino al 2,18% rispetto a chi è andato in pensione negli ultimi due anni. Di fatto si tratta di diverse centinaia di euro in meno all’anno.

Con la riforma Dini del 1995, infatti, è stata introdotta una norma per quantificare la pensione, che è stata resa sempre più stringente dai governi successivi fino alla legge Fornero. A grandi linee l’assegno viene stabilito in base al “montante contributivo”, ovvero il totale dei contributi versati, cui viene applicato il “coefficiente di trasformazione”, percentuale utilizzata per il calcolo della pensione annua.

Uno dei criteri fondamentali per stabilire il coefficiente è la speranza di vita media, per cui più è alta l’aspettativa di vita, più sarà basso l’assegno mensile. L’ultima rivalutazione è stata fatta nel 2022, quando il Covid aveva abbassato la speranza di vita. Dal momento che la pensione sarebbe stata erogata per un numero minore di anni, l’importo mensile risultava più alto.

Ora che l’aspettativa di vita è tornata a crescere, invece, il coefficiente si è abbassato e con esso anche gli assegni di chi andrà in pensione nel 2025.

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