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Rapporto Onu: investire nella salute del pianeta può far crescere il Pil globale

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Puntare su un clima stabile, su ecosistemi sani e su un pianeta libero dall’inquinamento non è soltanto una scelta etica, ma anche una strategia economica vincente. Questi investimenti potrebbero generare ogni anno migliaia di miliardi di dollari di Pil globale aggiuntivo, salvare milioni di vite e liberare centinaia di milioni di persone dalla fame e dalla povertà nei prossimi decenni.

È quanto emerge dal Global Environment Outlook (Geo-7), “Il futuro che scegliamo” presentato all’Assemblea Onu sull’ambiente a Nairobi. Giunto alla sua settima edizione, è la valutazione più completa mai condotta sullo stato dell’ambiente globale e sui suoi impatti economici e sociali.  Il rapporto, elaborato da 287 scienziati di 82 Paesi per il Programma delle Nazioni unite per l’ambiente (Unep), dimostra che cambiamento climatico, perdita di biodiversità, degrado del suolo, desertificazione, inquinamento e rifiuti costano già migliaia di miliardi di dollari l’anno all’economia mondiale. Il documento sottolinea come la transizione verso un modello di sviluppo sostenibile non sia più un’opzione, bensì una necessità. Continuare lungo gli attuali percorsi di crescita, infatti, significherebbe spalancare la porta a cambiamenti climatici catastrofici, alla devastazione della natura e della biodiversità, alla debilitazione dei territori e alla desertificazione, alla perdita di vite umane, al collasso di interi settori produttivi e un impoverimento diffuso. Al contrario, la scelta di investire nella resilienza climatica e nella tutela ambientale può trasformarsi in un motore di crescita inclusiva, capace di coniugare prosperità economica e giustizia sociale.

Secondo il Geo-7, l’attuale modello di sviluppo “business as usual” non solo aggrava questi impatti, ma minaccia direttamente la prosperità nazionale e la stabilità macroeconomica.  Le emissioni di gas serra sono aumentate dell’1,5% l’anno dal 1990, raggiungendo un nuovo massimo nel 2024, mentre gli eventi meteorologici estremi attribuiti al cambiamento climatico hanno generato un conto economico stimato in 143 miliardi di dollari l’anno negli ultimi vent’anni.

Il rapporto quantifica con chiarezza il dividendo economico di una transizione verde: trasformare cinque sistemi chiave – economia e finanza, materiali e rifiuti, energia, sistemi alimentari e ambiente – può generare benefici macroeconomici globali fino ad almeno 20 trilioni di dollari l’anno entro il 2070, con un potenziale che potrebbe salire a 100.000 miliardi negli scenari di lungo periodo.  Già dal 2050, i benefici inizierebbero a manifestarsi, invertendo la traiettoria di rischio che vede il cambiamento climatico capace di erodere fino al 4% del Pil globale entro metà secolo e il 20% entro il 2100.

Gli investimenti in un pianeta sano si tradurrebbero anche in impatti sociali di vasta portata: entro il 2050 potrebbero essere evitate fino a nove milioni di morti premature, in gran parte grazie alla riduzione dell’inquinamento atmosferico, mentre circa 200 milioni di persone potrebbero uscire dalla denutrizione e oltre 100 milioni dalla povertà estrema.  Il costo dell’azione è significativo – circa 8.000 miliardi di dollari di investimenti annui necessari entro il 2050 per raggiungere emissioni nette zero e finanziare la conservazione della biodiversità – ma il rapporto sottolinea che il costo dell’inazione è molto più elevato.

Una delle raccomandazioni centrali del Geo-7 è superare la centralità esclusiva del Pil come misura di benessere economico.  Il rapporto invita i governi a introdurre indicatori che includano esplicitamente capitale umano e naturale, così da rendere visibili nei conti economici i costi del degrado e i benefici della tutela degli ecosistemi.

In quest’ottica, la finanza pubblica e privata diventa un catalizzatore di trasformazione, orientando investimenti verso energie rinnovabili, infrastrutture resilienti, agricoltura sostenibile e ripristino degli ecosistemi.

Il rapporto individua cinque aree strategiche in cui sono necessarie trasformazioni radicali e coordinate:

economia e finanza con l’adozione di parametri di ricchezza inclusivi, pricing delle esternalità ambientali, graduale eliminazione e riallocazione dei sussidi che danneggiano la natura;

materiali e rifiuti grazie alla progettazione circolare dei prodotti, trasparenza e tracciabilità delle catene del valore, spostamento degli investimenti verso modelli circolari e rigenerativi e promozione di modelli di consumo meno materiali-intensivi;

energia attraverso la decarbonizzazione delle forniture, aumento dell’efficienza energetica, gestione sostenibile dei minerali critici e lotta alla povertà energetica;

sistemi alimentari con la transizione verso diete sane e sostenibili, maggiore efficienza e circolarità nella produzione, forte riduzione di perdite e sprechi alimentari lungo la filiera;

ambiente attraverso accelerazione della conservazione e del ripristino di biodiversità ed ecosistemi, rafforzamento di adattamento e resilienza climatica tramite soluzioni basate sulla natura, implementazione di strategie efficaci di mitigazione.

Il Geo-7 sottolinea la necessità di sviluppare e implementare queste soluzioni in parallelo, valorizzando anche i saperi locali e delle comunità indigene per garantire transizioni giuste, attente sia alla sostenibilità ambientale sia al benessere umano.

Il quadro prospettato in caso di mancato intervento è preoccupante. Tra il 20% e il 40% della superficie terrestre è già degradata, con impatti su oltre tre miliardi di persone, mentre circa un milione di specie su otto milioni rischia l’estinzione.  Ogni anno nove milioni di decessi sono attribuiti a qualche forma di inquinamento, e solo il danno sanitario dovuto all’inquinamento atmosferico è stato valutato in 8,1 trilioni di dollari nel 2019, pari al 6,1% del Pil globale.

Senza un cambio di rotta, la temperatura media globale potrebbe superare 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali già all’inizio degli anni Trenta, oltrepassare i 2 gradi entro il 2040 e continuare a crescere, aggravando ulteriormente il degrado del territorio e riducendo del 3,4% la disponibilità di cibo pro capite entro il 2050.  Intanto, gli 8 miliardi di tonnellate di rifiuti di plastica già presenti nel pianeta continueranno ad accumularsi, con perdite economiche annue stimate in 1,5 trilioni di dollari dovute all’esposizione a sostanze chimiche tossiche contenute nella plastica.

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