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Restoration economy per uno sviluppo sostenibile

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Il tasso d’uso delle risorse naturali ha ormai superato quello di rigenerazione. Entro il 2050 il 90% degli ecosistemi sarebbe alterato in maniera significativa e un milione di specie rischia l’estinzione entro la fine del secolo.

Secondo le stime mantenere l’attuale traiettoria di degrado comporterebbe per l’Italia una perdita di 2,2 miliardi di euro all’anno e di 57 miliardi di euro per l’Unione europea, con un valore cumulato al 2050 di circa 60 miliardi per l’Italia e di 1.700 miliardi per l’Ue.

È quanto emerso nel corso del convegno “Restoration economy: le imprese protagoniste della riqualificazione dei territori”, tenutosi a Roma il 17 settembre. L’evento, culmine di un anno di lavoro del Nature Positive Network –  rete promossa dall’Autorità di Bacino Distrettuale del Fiume Po e dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile – ha messo in luce l’importanza della tutela e del ripristino degli ecosistemi per la stabilità economica e la transizione verso un’economia “nature positive”.

“La transizione verso l’obiettivo nature positive è molto impegnativa e necessita di un significativo cambiamento di approccio e di forti investimenti. Ma è economicamente fattibile, con benefici superiori ai costi”, ha dichiarato Edo Ronchi, presidente della Fondazione Sviluppo Sostenibile.

Investire nella nature restoration, infatti, in Italia avrebbe un costo di 261 milioni di euro, con un ritorno stimato di 2,4 milioni di euro. Tuttavia, in senso più ampio, gli investimenti nel ripristino della natura possono generare da 4 a 38 euro di valore aggiunto per ogni euro speso.

“Non muoversi rapidamente verso un modello produttivo in equilibrio con le capacità rigenerative del Capitale naturale rischia di compromettere irreversibilmente le prospettive di sicurezza economica e di benessere sociale – ha sottolineato Ronchi. – “Rigenerare la natura è un fattore imprescindibile per contrastare la crisi climatica ed ecologica che minaccia la stabilità della nostra economia”.

In Italia la situazione è piuttosto critica. 58 degli 85 ecosistemi sono in uno stato di conservazione sfavorevole, e quasi la metà (46,3%) della superficie occupata da ecosistemi naturali è considerata a rischio. La situazione più critica si registra nell’Ecoregione Padana, dove il consumo di suolo è inarrestabile, coprendo il 7,16% del territorio nazionale. Anche la qualità delle acque superficiali è preoccupante, con solo il 47% dei corpi idrici che ha raggiunto uno stato ecologico “buono” o “elevato”. Eppure, ecosistemi sani sono fondamentali per l’adattamento ai cambiamenti climatici, svolgendo funzioni vitali come il sequestro del carbonio, la laminazione delle piene e la stabilizzazione dei suoli.

In questo contesto il ruolo delle imprese è cruciale. I modelli di business tradizionali basati su risorse naturali percepite come gratuite e inesauribili, stanno lasciando il posto a una nuova consapevolezza: circa la metà del Pil mondiale dipende dalla natura, e il suo degrado rappresenta un rischio concreto per le aziende. Al contrario, avviare una strategia “nature-positive” offre molteplici vantaggi: può ampliare l’accesso al credito (quasi il 75% dei prestiti bancari nell’eurozona sono concessi ad aziende con elevata dipendenza da servizi ecosistemici), aprire nuovi mercati, favorire l’innovazione, creare un legame con il territorio e contribuire al raggiungimento degli obiettivi climatici, dimostrando che “prevenire costa meno che riparare”.

Rigenerare la natura è un fattore imprescindibile per contrastare la crisi climatica ed ecologica che minaccia la stabilità della nostra economia. Per le imprese, investire nella natura significa garantirsi resilienza e competitività nell’immediato futuro, passando da progetti isolati a interventi scientificamente rigorosi che assicurino risultati ecologici misurabili e significativi.

Nel bilancio Ue 2021-2027, oltre a fondi dedicati, sono previsti 115 miliardi di euro per la biodiversità, ma per realizzare un cambio di paradigma, sarà essenziale affiancare a queste risorse quelle nazionali, regionali e private, coinvolgendo attivamente il mondo produttivo e le comunità locali. La collaborazione tra istituzioni, imprese e società civile è fondamentale per superare le criticità e creare nuove opportunità per uno sviluppo sostenibile.

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