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Smart working, prepararsi a tempo di record

La diffusione del coronavirus, sempre più rapida, sta spingendo molte aziende ad abbracciare la trasformazione digitale orientandosi verso lo smart working quale metodo di lavoro integrativo o abituale. Spesso, però, questo passaggio non è così semplice come potrebbe sembrare, specie per la ricerca degli strumenti e dei servizi più idonei.

Per approfondire la tematica, oggi divenuta quanto mai attuale, diamo spazio ad una serie di esperti.

Cominciamo da Elmec Informatica, provider di servizi IT per le aziende, con 700 dipendenti, un fatturato di 114 milioni di euro, 10 sedi in Italia e una in Svizzera. C’informa di aver riscontrato, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, un raddoppio della vendita dei laptop e degli apparati di rete e un aumento del 40 per cento sugli acquisti e sui noleggi di apparecchiature per lo smart working che includono portatili, desktop, tablet, server, storage, software e soluzioni per la connettività e la collaborazione.

“Come era prevedibile, nella giornata di lunedì 24 febbraio, siamo stati contattati da moltissimi clienti che avevano necessità di attivare il servizio di smart working in poco tempo – racconta Alessandro Ballerio, amministratore delegato di Elmec Informatica, “Molti di loro, grazie ai nostri servizi di managed workplace, managed infrastructure e service desk sono riusciti a essere operativi in poco tempo. Altri invece, seppur già precedentemente abilitati allo smart working, non avevano un’infrastruttura pronta all’uso: abbiamo dovuto configurare e dimensionare VPN, connettività e i server per erogare il servizio all’intera forza lavoro”.

Quali step può suggerire Elmec per attuare lo smart working a tempi di record?

“Gli strumenti tecnologici indispensabili per lo smart working sono un PC portatile, un set di cuffie, i software per lavorare in modo collaborativo con i propri colleghi e una connettività a internet opportunamente configurata e dimensionata – spiegano dalla società informatica. “Il primo passo che un’azienda deve compiere per permettere a un dipendente di lavorare in smart working è, quindi, la richiesta di PC portatili configurati per accedere a un’unica rete secondo gli standard aziendali (il cosiddetto smart-staging). Il notebook e i relativi accessori devono essere recapitati presso il domicilio del dipendente che può essere così abilitato ad avere accesso alle risorse IT necessarie alla produttività remota. Una volta poi che si hanno a disposizione a casa propria tutti gli strumenti correttamente configurati è altrettanto importante mantenere nel tempo una corretta gestione della postazione di lavoro”.

Passiamo a Copernico, rete di luoghi di lavoro, uffici flessibili e servizi che favoriscono lo smart working. Oltre 6.000 professionisti utilizzano quotidianamente gli spazi di Copernico come sede di lavoro e luogo preferenziale per meeting e organizzazione di eventi.

Quali sono i consigli di Copernico per il lavoro da casa?

“Lo smart working è una nuova opportunità di gestione del proprio lavoro. Si basa sui concetti di fiducia, flessibilità ed organizzazione; non è una nuova tipologia contrattuale, non scavalca il principio della subordinazione, e non è soggetto a vincoli di luogo. Il lavoro da remoto, o da casa, è una delle possibilità – spiegano da Copernico. “La diffusione del virus ha imposto alle aziende, soprattutto alle multinazionali, di far lavorare i propri dipendenti da remoto, per evitare il più possibile gli spostamenti. Il governo, per semplificare le procedure alle società, con il decreto legge attuativo il 23 febbraio 2020 n. 6 pubblicato subito nella Gazzetta Ufficiale, ha stabilito che tutte le aziende possono utilizzare questo metodo di lavoro senza dover ricorrere agli adempimenti previsti dalla legge. Quindi niente accordi individuali: si fa e basta”.

Ma siamo veramente pronti per lo smart working?

“Con numeri diversi rispetto alla Cina, dove si è vissuto il più grande esperimento di smart working al mondo, l’Italia sta seguendo la stessa strada, sull’onda della stessa emergenza sanitaria che ha spinto governo e regioni a chiedere alle aziende questo tipo di provvedimento per limitare l’ulteriore diffusione del virus. Società come Unicredit, Generali, Vodafone, Heineken, Luxottica, Michelin, Assimoco, Henkel, Sky, Tim, Wind Tre, Condé Nast Italia, Giorgio Armani, Tod’s ma anche le redazioni di alcuni magazine hanno adottato il lavoro a distanza e stanno lavorando a pieno ritmo, nonostante gli uffici siano chiusi. Dal nostro osservatorio privilegiato sul mondo del lavoro – continuano da Copernico – possiamo tranquillamente dire che molte aziende erano pronte da tempo con accordi sullo smart working, altre ci stavano arrivando. E forse proprio questa situazione di emergenza ha accelerato i tempi e aiutato a diffondere anche in Italia quelle modalità di operatività agile sempre più richieste dai lavoratori. Nella difficoltà della situazione attuale, questo ricorso ‘forzato’ allo smart working può essere visto come un’occasione per sperimentare una strada possibile, efficace, per cui l’Italia – secondo noi – è pronta”.

Se per le aziende basta questo per tamponare una situazione di emergenza, per le persone il cambiamento di scenario lavorativo può non essere semplice da gestire. Come si lavora da casa? Come rimanere concentrati? O viceversa, come non eccedere con il lavoro (effetto burnout)? E chi si trova a casa con i figli?

“Idealmente la cosa migliore sarebbe poter lavorare da una postazione dedicata, cioè per esempio non sul tavolo della cucina dove si mangia, ma su un’altra scrivania (in casa o in un altro luogo) – continuano da Copernico. “Se questo non è possibile, si può sempre scegliere di sedersi in un punto diverso del tavolo rispetto a quello usato per i pasti. È importante cercare di preparare una postazione lavorativa gradevole, con sedia e luce adatte, ma anche senza troppe distrazioni intorno che potrebbero togliere la concentrazione. Infine, sembra banale, ma sarebbe meglio non lavorare mai in pigiama: non sono certo richieste giacca e cravatta, ma il corpo deve essere stimolato anche visivamente al lavoro e non al riposo.

Se in ufficio è più facile interrompere il lavoro per fare due chiacchiere con il collega, lavorando in casa questo è senz’altro più difficile. Come del resto grande è anche il rischio di restare seduti tutto il giorno. Per obbligarsi a fare delle pause, buone ‘scuse’ sono le piccole faccende domestiche, come caricare la lavatrice, andare a prendere la posta, riordinare la camera da letto, ritirare un pacco in portineria. Per sgranchire un po’ le gambe invece si può camminare durante le telefonate e, se si abita in un condominio, prendere le scale invece dell’ascensore ogni volta che si sale o scende”.

Però uno dei rischi più frequenti dello smart working è il burnout, cioè l’eccesso di lavoro dovuto all’incapacità di staccarsi dal PC e dalle e-mail, non essendoci attorno a noi i colleghi che si alzano dalle scrivanie o qualche altro tipo di cambiamento dell’ambiente che ci circonda.

“Quando si lavora da casa è più facile distrarsi, voler fare più cose contemporaneamente perché non c’è nessuno fisicamente che chiede di finire un lavoro in un determinato tempo. Occorre comunque darsi delle priorità. Una buona prassi è pensare, appena svegli, se non la sera prima di dormire, alle attività da svolgere durante la giornata e organizzare con quale ordine affrontarle, in base alle scadenze, all’impegno richiesto e all’esigenza di lavorare con altre persone”.

Il ricorso al lavoro agile, lo dicono in molti, è una grande opportunità. Ma si deve proseguire su questa strada anche quando l’emergenza sarà cessata, inserendo lo smart working in un progetto più ampio di rinnovamento del lavoro.

Hdc Cloud Services, provider italiano specializzato nel segmento delle piccole e medie imprese, ha registrato un incremento del 300 per cento per le richieste di servizi di audio conferenza e di oltre il 100 per cento per i servizi di video conferenza. Numeri che rivelano una vera e propria corsa alle tecnologie per il lavoro a distanza, come mai si era verificato prima.

“Le Pmi italiane non si avvicinano facilmente all’utilizzo dei servizi per i meeting a distanza. Prevale un approccio tradizionale che fa preferire le riunioni in presenza fisica e le trasferte di lavoro, anche quando si tratta di appuntamenti di poche ore. Lo confermano le domande poste dalle aziende al primo contatto: sono quesiti molto basilari, tipici di chi non ha mai utilizzato simili servizi e non ha idea di cosa serva per attivarli. Ovviamente, la questione si collega anche al tema dello smart working di cui si discute molto in questi giorni e che in Italia fatica a diventare parte della cultura aziendale – spiega Emo Maracchia, direttore marketing di Hdc Cloud Services.

“Sarà interessante capire se la crisi del coronavirus cambierà le strategie aziendali nel medio-lungo periodo o se, a emergenza terminata, prevarranno le vecchie abitudini. Il lavoro a distanza dovrebbe essere considerato sempre come una risorsa, non solo quando c’è la minaccia di un’epidemia. Grazie a servizi quali la videoconferenza è possibile non solo tagliare i costi delle trasferte, ma anche ridurre gli spazi necessari per gli uffici, risparmiare su servizi di welfare per i figli dei dipendenti e ridurre lo stress dei lunghi viaggi, migliorando la produttività – conclude Maracchia.

“La direttiva Dadone che incoraggia le pubbliche amministrazioni a potenziare il ricorso al lavoro agile è un provvedimento positivo non soltanto per arginare l’emergenza coronavirus, ma anche perché potrebbe accelerare la diffusione dello smart working e dello smart learning nel settore pubblico”. È l’opinione di Gianni Dominici, direttore generale di Fpa, la società del gruppo Digital360 che ogni anno organizza il Forum Pa, la manifestazione sull’innovazione e la sostenibilità nella pubblica amministrazione.

“Per essere davvero una svolta, però, non deve restare una misura di emergenza, ma diventare un modello da sperimentare e applicare anche in tempi ordinari e inserirsi in un progetto più ampio di rinnovamento della pubblica amministrazione, in cui l’utilizzo delle tecnologie smart è solo un elemento – continua Dominici. “Questo momento di crisi può essere un’occasione per comprendere tutte le potenzialità del lavoro e della formazione agile, ma tutti i benefici si potranno manifestare soltanto se si proseguirà su questa strada anche dopo che l’emergenza sarà passata”.

Secondo l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, lavorare in modalità smart migliorerebbe l’equilibrio fra vita professionale e privata dei dipendenti pubblici, porterebbe un maggior benessere organizzativo e aumenterebbe la produttività e la qualità de lavoro. Eppure soltanto il 16 per cento delle pubbliche amministrazioni ha avviato progetti strutturati di smart working, ben quattro amministrazioni su dieci non hanno attivato alcuna iniziativa, il 31 per cento è incerto e il 7 per cento addirittura disinteressato. Appena il 12 per cento dei lavoratori pubblici, inoltre, è coinvolto in queste iniziative.

“La spinta normativa è importante, ma deve essere accompagnata da un cambiamento culturale e di mentalità – conclude Dominici. “Oggi le tecnologie digitali consentono di lavorare e formarsi in qualunque luogo e in qualunque momento della giornata, aumentando la produttività e la possibilità di gestire in autonomia il proprio lavoro e il proprio percorso di apprendimento continuo. I vantaggi sono numerosi – dalla responsabilizzazione e motivazione dei dipendenti alla riorganizzazione degli spazi, passando per una maggiore flessibilità – ma ancora non del tutto conosciuti e compresi. Affinché la pubblica amministrazione sia smart non soltanto nei momenti straordinari, bisogna lavorare sulla consapevolezza e sulla formazione di lavoratori e manager pubblici”.

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