Un tempo, quando un redattore presentava un pezzo con subdoli riferimenti di natura pubblicitaria, un valido direttore girava il testo direttamente all’ufficio commerciale del giornale. La netta divisione tra informazione e promozione il più delle volte era garantita proprio dall’indubbia professionalità dei vertici.
Oggi, nell’era delle rivoluzione digitale e di una società sempre più liquida, la sovrapposizione tra i due mondi sta diventando quasi una regola. Ciò è dovuto principalmente a due fattori crescenti: sono state allargate all’inverosimile le maglie per l’accesso all’esame di Stato per giornalisti professionisti (un tempo i 18 mesi di praticantato costituivano una vera scuola formativa, oggi non esistono quasi più); internet ha creato figure professionali ibride di comunicatori, i più fuori dagli Ordini professionali, con il caso più eclatante della nuova figura professionale denominata influencer, che, numeri alla mano, arriva a contare più dell’editorialista di turno di un grande quotidiano. Si tratta, in sostanza, dell’evoluzione del fashion blogger che, attraverso un proprio seguitissimo blog, era in grado di influenzare opinioni e comportamenti. Oggi i veri moltiplicatori sono, come noto, i social network.
L’influencer in genere lavora per un’impresa o più imprese per sostenere la comunicazione di un prodotto o di una marca. A differenza di un ufficio stampa, però, il rapporto è molto più personalistico e non utilizza i media per divulgare un messaggio ma la sua stessa notorietà, costruita e alimentata sui social a furia di follower, anche diversi milioni di persone che costituiscono la sua vera “ricchezza”. Diventato un “personaggio” con un grande seguito e capacità di coinvolgimento del suo pubblico, riesce quindi a orientare o a determinare i comportamenti di acquisto dei lettori/consumatori.
Di fatto questa osmosi tra informazione e marketing rischia di rendere anacronistico il ruolo tradizionale di un giornalista professionista, oggi sempre più a rischio rottamazione anche per i numeri sempre più flebili delle copie vendute di un giornale, e di trasformare in carta straccia ogni codice deontologico della professione.
Il vero problema è che l’aspirazione a diventare influencer è molto più forte, specie tra nativi digitali, di quella tradizionale legata al “cronista di razza” o all’inviato romantico dei tempi addietro. Anche perché un influencer di successo ha guadagni economici e benefit infiniti. Addirittura sono già in atto corsi – anche molto qualificati – per formare questa nuova figura professionale, che pur richiamando l’etica e la responsabilità della comunicazione, in realtà produrranno veri e propri attori del marketing. E di questi tempi…
(Domenico Mamone)