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Un libro che racconta il lavoro dei frati cappuccini in Ciad

Stefano Venditti, 51 anni, molisano di nascita e bolognese di adozione, giornalista e addetto stampa. Ha una passione per l’insegnamento che lo ha portato e tutt’ora lo porta a tenere lezioni di giornalismo nelle scuole di ogni ordine e grado e alla realizzazione di diversi giornali scolastici con il progetto “Newsparergame”.

È inoltre impegnato in programmi formativi presso alcune associazioni di volontariato. Sta girando l’Italia in lungo in largo per la presentazione del suo libro “La diversità è una risorsa”? pubblicato da © PubMe nella collana Policromia. Le 74 pagine del volume raccontano l’opera dei frati cappuccini missionari in Ciad e del faticoso lavoro che svolgono da 60 anni a sostegno dei bambini e delle persone con disabilità, ancora oggi vittime di emarginazione e di primordiali pregiudizi. Un libro in cui le parole chiave sono amicizia, differenza, benedizione e che non vuole solo narrare una storia vera e far conoscere meglio la realtà di questo Stato dell’Africa centrale, ma soprattutto “vuole raccogliere fondi da destinare alla formazione scolastica (e non) di tutti quei bambini e bambine che non per colpa loro sono stati emarginati dalla loro stessa comunità – si legge nel testo. E ancora: “Il libro vuole diventare, un mezzo di sostegno per la comunità del Ciad e della missione gestita dai frati cappuccini. Grazie ai proventi della vendita del libro, infatti, i frati potranno continuare a occuparsi sia del presente sia del futuro dei loro bambini”. Il Ciad è uno stato dell’Africa centrale che non ha sbocchi sul mare. Presenta un quadro socioeconomico abbastanza complicato: il 54 per cento della popolazione è di origine musulmana; il cristianesimo è abbastanza diffuso, praticato da circa il 34 per cento della popolazione, mentre il 7 per cento circa degli abitanti sono legati ai culti della tradizione locale. Il tasso di natalità è molto elevato ma altrettanto elevato è quello della mortalità infantile a causa della carenza di strutture sanitarie. C’è un alto rischio di contrarre malattie infettive e più del 50 per cento della popolazione vive in un contesto di analfabetismo totale. In questa situazione di degrado sociale e di povertà opera una comunità di missionari appartenente all’ordine dei frati minori cappuccini, uno dei tre ordini mendicanti maschili di diritto pontificio che costituiscono la famiglia francescana.

Lei afferma che la sua “vera passione è quella di scrivere soprattutto di notizie che spesso non trovano il meritato risalto sugli organi di stampa”. È questa inclinazione che l’ha ispirata nella stesura del libro “La diversità è una risorsa”?  

“Sin dai miei esordi nel giornalismo ho cercato di dare una voce a tutti quei fatti che non venivano diffusi dai mezzi di comunicazione. La storia che è al centro del mio ultimo libro si collega perfettamente a questa mia indole. Arriva da una parte del mondo purtroppo ancora ai margini, dall’Africa e nello specifico dal Ciad; racconta di bambini che vivono ai limiti di questa società. Mi ha colpito soprattutto a livello umano e non potevo non occuparmene. Si tratta di una realtà talmente forte che non sarebbe bastato un singolo articolo per descriverla nella sua completezza e complessità. Da questa considerazione è nata l’idea di scrivere un libro che potesse descrivere la situazione in cui versano i bambini nel Ciad e al tempo stesso rappresentasse un aiuto per loro. Ho raggiunto immediatamente un accordo con il mio editore e sia io che lui abbiamo convenuto di rinunciare completamente ai nostri compensi affinché i proventi derivanti dalla vendita del volume potessero essere devoluti esclusivamente ai frati missionari che operano in questo territorio.  Un modo per dare modo ai i bambini e alle bambine non vedenti o con qualsiasi tipo di malformazione fisica, la possibilità di crescere e maturare attraverso lo studio, di potersi avvicinare alla lettura, praticare uno sport e avere l’opportunità di divenire uomini e donne del futuro”.

Tutto inizia con la storia di un’amicizia tra lei, Vittorio Venditti e frate Antonio Di Mauro, diventata un ponte tra voi tre e la comunità del Ciad. Si parte con il racconto dell’incontro durante il quale frate Antonio parla della sua esperienza e di come in genere sono trattati i bambini e le bambine non vedenti e con disabilità. Si legge nel libro: “Sembrava di esser tornati a mezzo secolo fa, quando anche in paese chi aveva questi o più gravi problemi veniva etichettato come figlio del peccato”. Ci può spiegare cosa accade a questi bambini?

“Sembra strano nel 2025 parlare ancora di questo argomento ma purtroppo è di estrema attualità non solo in Ciad, ma in gran parte dell’Africa centrale. In un tempo non troppo lontano, i bambini nati con un qualsiasi tipo di malformazione fisica venivano considerati figli del demonio. Nel migliore dei casi la famiglia li abbandonava nella foresta alla mercé delle fiere. Altrimenti era la stessa famiglia che a ucciderli. Questo succedeva, e a volte succede, perché le tribù locali si affidano ancora ai cosiddetti stregoni, figure esoteriche fortemente radicate nella cultura indigena. Nel Ciad la popolazione subisce l’influenza di superstizioni e di pregiudizi. Nel portatore di disabilità, gli africani vedono tuttora qualcosa di strano. Secondo loro è un’anomalia che proviene da un intervento esterno, più o meno spirituale. Io sono venuto a conoscenza di questa drammatica realtà attraverso il racconto di un collega giornalista non vedente, Vittorio Venditti, amico d’infanzia di frate Antonio Di Mauro, missionario in Africa, entrambi originari dello stesso paese, Gambatesa in provincia di Campobasso. Vittorio circa due anni fa ha inviato come dono per la missione la sua macchina da scrivere dattilobraille, con il fine di aiutare i bambini non vedenti a conoscere il braille e insegnare loro a leggere. Frate Antonio Di Mauro da anni presta la sua opera in Ciad insieme alla sua confraternita. I frati cappuccini hanno fondato un Istituto comprensivo che accoglie e segue bambini e bambine non vedenti dall’asilo fino al diploma. Con il loro lavoro cercano di dare a questi bambini un’alternativa di vita dignitosa. Possibilità che non avrebbero avuto perché considerati scarti della società, messi al margine senza possibilità di replica. Quest’anno i missionari hanno festeggiato il sessantesimo anno di attività, iniziata con la missione evangelizzatrice dei primi quattro frati della provincia religiosa di Sant’Angelo-Foggia e Padre Pio, a cui si sono aggiunti negli anni molti altri confratelli appartenenti all’ordine minore dei cappuccini”.

Con i primi proventi raccolti nel corso delle presentazioni del libro sono state già inviate le prime somme a sostegno della comunità del Ciad. A che punto siete e quale obiettivo vi siete prefissati.

“Con i soldi ricavati durante le prime presentazioni del libro, abbiamo raccolto la somma iniziale di 500 euro che abbiamo già inviato in Africa per la realizzazione dei bagni all’interno dell’Istituto comprensivo, visto che ne era sprovvisto. Forse a noi che viviamo in un mondo provvisto di ogni comfort sembrerà impossibile, ma questa scuola in Ciad era priva di strutture igienico-sanitarie primarie. La costruzione dei bagni limiterà la trasmissione di malattie infettive e il conseguente aumento della mortalità infantile. I fondi successivi provenienti dalle vendite del libro, ad oggi sono stati spediti a frate Antonio e ai suoi confratelli altri 400 euro, verranno utilizzati per portare avanti questo progetto di solidarietà internazionale che collega l’Italia all’Africa e sostiene i bambini e le bambine del Ciad. Questo permetterà di porre solide basi su cui poter costruire e programmare un futuro migliore per loro, soprattutto diametralmente opposto all’attuale presente. Con i prossimi proventi mi piacerebbe iniziare a istituire delle borse di studio che possano sostenere il percorso formativo dei bambini per fornirgli un accesso universitario gratuito. Frate Antonio mi ha raccontato che, grazie al generoso contributo di tutte quelle persone vicine alla realtà francescana, sono riusciti ad aprire una biblioteca nella cittadina di Baibokoum. È un’opportunità formativa importante per tutti. Sono stati inoltre realizzati diversi campi sportivi (calcio e basket) e attivati dei corsi di musica e di karate. Questo perché, oltre all’aspetto didattico, anche quello extra didattico è importante. Consentire ai bambini e alle bambine non vedenti o affetti da qualsiasi tipo di malformazione fisica, di esprimersi e sviluppare le proprie potenzialità, è funzionale a contrastare in maniera efficace la percezione negativa diffusa sulla disabilità. I frati cappuccini si stanno occupando non solo della formazione ma anche della maturazione della personalità di questi ragazzi a 360 gradi. L’obiettivo è quello di ribaltare completamente la loro situazione. Vogliamo che questi bambini, visti dalla collettività come uno scarto della società, possano diventare una risorsa nel e per il loro villaggio. I missionari stanno lavorando affinché ricevano un’istruzione adeguata; magari dopo il diploma potranno anche iscriversi alle università presenti nei centri abitativi più grandi. Questo è un spetto importante perché non saranno costretti ad emigrare e potranno rimanere in Ciad, creare nuovi posti di lavoro, diventando magari loro stessi insegnanti, consentendo la crescita dell’intera comunità. Da qui il titolo del libro ‘La diversità è una risorsa’ perché mentre lo stavo scrivendo, mi sono tornate in mente le parole di Papa Francesco che ha sempre avuto a cuore gli esclusi, gli emarginati, gli scartati, i piccoli, gli indifesi”.

Il titolo del terzo capitolo è “Quanto è duro essere bambini in Ciad”. Ci può spiegare meglio a quali tipi di difficoltà vanno incontro i piccoli del Ciad?

“Tutto quello che per noi è normale e scontato, nella maggior parte dell’Africa non lo è. Bisogna comprendere che è molto diverso nascere in Italia o in un Paese occidentale, e nascere invece in Ciad dove non c’è welfare. Adulti e bambini non hanno facile accesso alle cure mediche, all’istruzione, alle attività sportive. È una ‘zona del mondo calda’ perché, anche se ne parla troppo poco, è teatro di diversi conflitti politici e militari, dilaniata da scontri fratricidi tra le diverse etnie presenti per il controllo dei territori più fertili. Non è raro il fenomeno del reclutamento dei bambini, a volte strappati alle famiglie, a volte addirittura rapiti nelle scuole per essere poi impiegati come soldati. Piccoli combattenti utilizzati in guerre sanguinarie che li portano a subire violenze di ogni genere, abusi, mutilazioni e nei casi può estremi li conducono fino alla morte”.

In questo contesto così complesso, se è vero che si stanno iniziando a raccogliere i frutti dell’operato dei primi missionari, è vero anche che ci sono ancora molte persone che si rivolgono ai marabù, gli stregoni dei villaggi. I frati cappuccini si trovano così davanti a una doppia sfida: combattere le radicate credenze popolari e tentare di dare un futuro ai bambini. Qual è la situazione?

“Anche se i frati missionari si trovano in Ciad da oltre 60 anni, è difficile scardinare certi aspetti culturali e religiosi appartenenti alla popolazione. Oltre all’ostacolo linguistico, si parla il francese e l’arabo, c’è tutto quell’apparato di credenze e tradizioni che si fatica a comprendere. Ovviamente un cambio culturale non è che avviene dall’oggi al domani, occorre tempo per vedere dei risultati. Inoltre a incidere profondamente sul futuro dei bambini è anche un’atavica carenza di un sistema complesso e diffuso di assistenza sociale, aspetto di cui si sono fatti carico frate Antonio e i suoi confratelli. Il grande lavoro che stanno facendo con dedizione e costanza dimostra quanto diceva Madre Teresa di Calcutta: ‘Quello che noi facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma se non lo facessimo l’oceano avrebbe una goccia in meno’. È una metafora potente ma che spiega bene come ogni azione compiuta con amore e benevolenza possa fare la differenza”.

Di seguito riportiamo il video con l’intervista integrale.

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