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Caresana (Vercelli), l’agricoltura e la Corsa dei buoi

Notturna dall'altoL’antico nome di Caresana discenderebbe dal nome gentilizio Caresius e non da carix, (Caricetum o Carectum, luogo dove abbondano i carici) cioè il giunco che, peraltro, qui era diffusissimo. Questa credenza suggerì persino lo stemma del paese, che raffigura appunto un carice con la scritta “E CARICE BIS ANNO FRUGES”.
L’abitato di Caresana in tempi assai remoti si dice già esistesse più a Sud in regione Marcova e la tradizione è confermata da alcuni rinvenimenti di tombe ed oggetti in tale zona. Furono reperiti, in epoche passate, diversi oggetti di epoca romana: una tomba con due balsamari, una moneta del 41 d.C., una splendida tazza di vetro “firmata” in greco dall’artista Ennione.
Il Cusano nella sua “Istoria di Vercelli” dice che il paese fu ceduto alla Chiesa di Vercelli tra il ‘300 ed il ‘400 ma le prime notizie sicure e documentate della sua esistenza si hanno solo nell’anno 882. In quell’ anno infatti, l’Imperatore Carlo il Grosso, con decreto in data 16 marzo “restituì” il paese ed il suo territorio alla Chiesa di Vercelli, perciò è lecito pensare che Caresana fosse già compresa fra i beni che Aripeto II nell’anno 707 cedeva al Vescovo di Vercelli.
Il paese dal cieloNel 961 nel territorio di Caresana fecero la loro comparsa i Saraceni, i quali probabilmente distrussero l’antico borgo in regione San Cataldo o Marcova inducendo gli abitanti a stabilirsi a ridosso del Castello, per ragioni di sicurezza. Il Castello era di mole imponente e comprendeva un’area rettangolare racchiusa da muraglia e da fossato che pressappoco corrispondeva agli isolati compresi tra le attuali Vie Palestro, del Molino, 26 Aprile e Corso Libertà. Di tale costruzione che in caso di pericolo poteva accogliere tutta la popolazione del paese, rimangono poche vestigia, soffocate e coperte da costruzioni posteriori. Il fossato venne colmato nel 1832 ed a tale data ben poco già rimaneva del Castello.
Il violentissimo terremoto del 1117 modificò profondamente la fisionomia urbana; nessuna chiesa rimase in piedi e vent’anni dopo a ragione si parla di un “borgo nuovo”.
06Il dominio della Chiesa di Vercelli si estese per diversi secoli con frequenti conferme di investiture da parte dei vari imperatori. Nei primi anni del 1200 durante le aspre contese tra Guelfi e Ghibellini, Caresana si impoverì e di ciò ne approfittarono alcuni Signori di parte Ghibellina per toglierla dalla potestà del Capitolo di Vercelli, ma non cessarono le lotte finchè frappostisi i Savoia ed altri potenti, venne insediata nel Castello la famiglia Dionisi, che erano “neutrali et indeferenti”.
Nel 1254 Caresana venne eretta in Borgo Franco a patto di gravose contropartite che vennero solo abolite con la dominazione francese (1799) e l’affrancamento, per la sua pratica attuazione incontrò non poche difficoltà.
Dopo il 1500 Caresana venne data in feudo agli Avogadro di San Giorgio in Monferrato.
Successivamente, durante la guerra di successione del Monferrato, nel 1614, Caresana fu saccheggiata e data alle fiamme dai Tedeschi all’ordine del Governatore di Milano, per sfuggire a Carlo Emanuele. Dopo tale fatto il paese venne rapidamente ricostruito e notevolmente ampliato e a tale epoca risale l’attuale impianto urbanistico del vecchio nucleo.
palazzo municipale e Chiesa di San MatteoNel 1637 il paese venne occupato dagli Spagnoli che si predisponevano ad assediare Vercelli. Nel secolo XVIII Caresana cambiò spesso signoria e fu più volte teatro delle lotte fra Vercellesi e Casalesi; infine, durante la guerra d’indipendenza del 1859 Caresana fu occupata e vessata dagli Austriaci, poi dalle truppe Sarde e dalle truppe Francesi. I danni e le ruberie furono molto sentite dalla popolazione, già privata di gran parte dei raccolti da una violentissima grandinata.
Verso la fine del secolo, e finite le guerre, sorsero a Caresana diverse istituzioni a carattere sociale (Asilo, Palazzo Comunale, Soc.Mutuo Soccorso, ecc.) e negli anni seguenti, fino ad oggi, la storia di Caresana non è stata più sfiorata dai grandi eventi ed è fluita in sordina nella sua tranquillità di borgo agreste.

Il territorio caresanese e la sua vocazione agricola

Il territorio caresanese ha subito intense modificazioni con l’opera dell’uomo e pertanto è impossibile riconoscere stazioni aventi una vegetazione prossima al clima ed il paesaggio vegetale attuale, anche nelle aree che sembrano meno disturbate, è comunque il risultato della azione antropica verificatesi sin dall’epoca romana.
Storica_corsa_1927Probabilmente il paesaggio pre-romano era costituito da immense foreste con prevalenza di querce, tigli ed olmi; ma già nel secondo secolo avanti Cristo, però, si hanno notizie di settori in pianura coltivati a danno delle foreste planiziali. Il risultato di quest’opera di antropizzazione è attualmente evidente al punto che le aree boscate nella zona di pianura sono relegate ai margini dei fiumi ed a pochi altri rari lembi, comunque intensamente modificati dall’opera dell’uomo. Appare evidente come la vegetazione presente sia per la maggior parte soggetta al controllo dell’uomo attraverso le pratiche agricole. Ad eccezione della fascia localizzata immediatamente a ridosso del fiume Sesia, infatti, tutta la pianura caresanese è caratterizzata da coltivazioni cerealicole con netta prevalenza del riso, che in zona presenta caratteristiche di monocoltura ed è l’elemento che maggiormente determina l’economia agraria locale.
I relitti forestali della pianura bassa sono quasi del tutto assenti, infatti la successione forestale, evidente in modo particolare lungo il corso del Sesia, è piuttosto semplice; la vegetazione riparia fluviale è caratterizzata, nella fascia più esterna, da consorzi di salici (Salix spp.), mentre nella fascia più interna da formazioni miste di salici e pioppi (Populus alba) spontanei. Lungo i corsi d’acqua secondari e le zone umide con acqua stagnante o con una velocità della corrente ridotta, le specie precedentemente citate sono accompagnate o sostituite dall’ontano nero (Alnus glutinosa).
Oltre alle risaie ed ai seminativi si ha una più marginale presenza di impianti di arboricoltura da legno, in particolare di pioppo. Tali colture arboree hanno notevole importanza ecologica in quanto costituiscono un elemento di diversificazione all’interno delle steppa cerealicola artificiale.

La fauna e gli ecosistemi del territorio caresanese

Il territorio caresanese è caratterizzato, come detto, dalla larga diffusione della monocoltura risicola e dalla presenza di una copiosa rete idrografica superficiale.
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L’ambiente di questa zona ha, quindi, acquistato la fisionomia di steppa cerealicola artificiale, con la particolarità derivante dalla presenza quasi uniforme della risaia che, almeno per un certo periodo dell’anno, tendenzialmente ospita ecosistemi di tipo palustre. Tale ambiente si manifesta adatto alla permanenza di consistenti colonie di aldeidi (la zona risicola padana ospita la maggiore popolazione europea di Nitticora e Garzetta) ed è altresì adatto alla riproduzione del Germano reale e della Gallinella d’acqua.
Nel periodo invernale le stoppie del riso, spesso acquitrinose, formano un tipo di ambiente utile alla permanenza della Pavoncella e Beccaccino, anche se la diminuzione della fertilizzazione naturale (letame) e la conseguente minor proliferazione di invertebrati eduli ha ridotto le possibilità trofiche e di conseguenza gli effettivi svernanti delle due specie.
Nei confronti delle principali specie di interesse venatorio, nel corso dell’anno, si susseguono momenti di diversa potenzialità.
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Per la lepre, durante tutto l’anno, è ambiente povero di pasture, necessarie sia alla nutrizione che come luogo di incontro per gli animali presenti sul territorio e, anche se nel periodo invernale, la completa percorribilità del terreno a riposo, supplendo in parte a questo inconveniente consentirebbe una densità potenziale accettabile, la fase critica che interviene ad aprile con la sommersione delle risaie, riduce in pochi giorni drasticamente la superficie utilizzabile dalla specie. Questo fatto, che coincide con l’inizio del periodo riproduttivo, funge da maggior fattore limitante per la lepre in questa zona.
I fattori negativi agiscono con dinamica analoga anche per il fagiano. L’ambiente risaia diviene, però, adatto alla sopravvivenza dei fagianotti, verso la tarda primavera, sia per i nati in libertà, sia per i soggetti immessi all’inizio dell’estate per ripopolamento. In questo periodo, e per tutta l’estate, infatti, vi è per la specie, ottima disponibilità di risorse trofiche per la consistente biomassa edule che si origina nella risaia e per lapossibilità di rifugio che la coltura, su un terreno sommerso ormai solo da pochi centimetri di acqua, offre anche al suo interno.
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Fra i Fringillidi si rinvengono, d’inverno e con diversa consistenza numerica a seconda degli anni, soprattutto fringuelli, peppole e pispole; fra i falconiformi il più presente è la Poiana, mentre tra i tipici rettili legati all’acqua è presente nell’area considerata solo la biscia comune, la Natrice tassellata.
Fra gli insetti, tipici della risaia e dei fontanili, occorre ricordare le cimici d’acqua (hidrometra ss.pp.), le libellule (Anax caleopterix, Libellula e Sympterum), coleotteri quali gli Idrofilidi, Girinidi ed i Cistidi nonché i Rincoti dei generi Notonecta e Nepa.
Sull’ecosistema della zona la pressione antropica è significativa, non tanto per la presenza di insediamenti abitativi o industriali, quanto piuttosto per il controllo che l’uomo esercita sulla componente vegetazionale, rappresentata quali esclusivamente da coltura agricola. E’ infatti innegabile che l’impiego di prodotti chimici, anche se di ultima generazione e, quindi, meno inquinanti, esercita una pressione sulla vegetazione, portando ad una composizione flogistica estremamente semplificata, che riflette sulle altre componenti ambientali (fauna, paesaggio, ambiente idrico, suolo, ecc.). Tale area pur manifestando condizioni di pressione antropica elevate, mostra situazioni favorevoli a offrire habitat idonei alla fauna, in quanto i terreni a coltura risicola, che nel periodo estivo assumono caratteristiche comuni alle zone umide naturali, costituiscono un forte richiamo per gli uccelli legati all’acqua, in particolare per palmipedi e trampolieri.
L’ecosistema fluviale del fiume Sesia e la fascia di territorio immediatamente a contatto di esso è un ecosistema a carattere più naturale rispetto il precedente, con la con la presenza di vegetazione prevalentemente arbustiva ed arborea, ma tuttavia non immune dall’aver subito anche esso modificazioni da parte dell’uomo. All’interno del sistema fluviale si può individuare una fascia comprendente l’alveo e le aree più prossime al corso d’acqua, che presenta una vegetazione naturale tipicamente igrofila e manifesta le caratteristiche di ecosistema fluviale in equilibrio.

LA CORSA DEI BUOI

E’ una “corsa” unica nel suo genere.

Corsa dei BuoiDiscusse sono le origini della Corsa dei Buoi. Alcuni sostengono che essa abbia origine da un voto fatto durante l’epidemia di peste del 1630, in piena occupazione spagnola; ciò spiegherebbe alcuni aspetti della manifestazione che ricorda gli encierros iberici. Un’ordinanza comunale del 1862 contiene la notizia che nel 1236 la Compagnia di San Giorgio sorse con l’intento di distribuire annualmente il pane per rispondere ad un voto fatto a San Giorgio a seguito di un’epidemia e di solennizzare la commemorazione dell’evento con la Corsa dei Buoi. È strano, però, che nel corso dei secoli, i documenti tacciano questa usanza. Probabilmente la corsa nacque in modo del tutto spontaneo, senza il bisogno dell’ufficialità: nella festa di San Giorgio si usava andare in processione con gli animali aggiogati ai carri fino al pilone, una specie di pietra miliare fuori dall’abitato; durante il rientro in paese ogni conducente voleva essere il primo a portare il pane benedetto e così cercava di sorpassare gli altri carri, aizzando la propria coppia di buoi. Doveva così nascere la corsa, che, per il suo carattere semplice e popolare, presto divenne un’abitudine, tinta anche da quel pizzico di rivalità tra i conducenti; essa trovò presto terreno fertile presso la popolazione, che inizio a parteggiare per l’una o per l’altra coppia di buoi. Col passare dei secoli la corsa iniziò ad istituzionalizzarsi e a regolamentare le sue forme con un cerimoniale codificato. Si sorteggiano le posizioni di partenza; si rivestono i buoi di ghirlande e gualdrappe e si addobbano i timoni dei carri; si svolge, poi, la processione delle reliquie del Santo portate dal prevosto, accompagnato dai Confratelli di San Giorgio. Viene celebrata la Santa Messa nella chiesa di San Giorgio; al momento dell’Evangelizzazione si fanno fare tre giri votivi e propiziatori ai buoi, che vengono poi posti di fronte alla corda di partenza. Alle dodici in punto il Sindaco, dopo aver recitato la formula “resti pitiquesti dareissá vechí pumín via” spara il colpo della partenza; si scatena così la corsa che culmina con l’arrivo al “cavetto”; il vincitore viene premiato con un piccolo palio e si dà l’avvio all’incanto della focaccia.

(Gi.Ca.)

Chiesa di S.Giorgio    Chiesa patronale di San Matteo

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