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Bce, Draghi conferma strategia e rassicura Italia: Qe fino a settembre

Come era nelle attese, il governatore della Banca centrale europea Mario Draghi ha confermato nelle conferenza stampa di ieri a seguito del Consiglio direttivo, il percorso di fine degli acquisti di titoli del Quantitative easing. Nel dettaglio la Bce ha deciso la riduzione degli acquisti mensili a 30 miliardi (dai 60 attuali) a partire dal gennaio 2018 ma continuando a mantenere invariato ai minimi storici il costo del denaro. Il programma di riduzione andrà avanti fino al settembre successivo, lasciando aperta la porta ad un’ulteriore prolungamento se il contesto economico lo richiederà.

bce mario draghiSODDISFATTI I MERCATI
Soddisfatti i mercati che non hanno avuto alcuna ripercussione dopo le parole di Draghi, il quale ha tranquillizzato la platea finanziaria ribadendo che il programma non finirà all’improvviso: “Non scenderà da trenta a zero” e “la grande maggioranza del Consiglio Direttivo” ha espresso una preferenza per una atteggiamento aperto circa la conclusione del Qe. E il motivo è semplice come spiega lo stesso governatore della Bce: se da un lato l’economia cresce e “potrebbe riservare sorprese”, l’inflazione è ancora debole, lontana dal target del due per cento. C’è il rischio di una caduta a “v”. Ecco perché i titoli già acquistati e in scadenza verranno reinvestiti “in modo massiccio” (secondo Hsbc ciò significa più o meno 15 miliardi di massa monetaria in più al mese) e il piano di acquisti di obbligazioni delle aziende proseguirà. E la reazione delle Borse ha premiato questa strategia: gli indici hanno chiuso in rialzo, l’euro è  sceso sotto quota 1,18 dollari, lo spread sui Btp italiani è rimasto pressoché invariato, scendendo da 154 a 152 punti sui Bund.

CASO ITALIA
Per adesso quindi le acque sembrano rimanere calme, anche se Mario Draghi deve tenere sempre sotto controllo le spinte dei falchi, in primis la Bundesbank, che preme per far cessare entro il 2019 ogni tipo di cuscinetto da parte della Bce. Una situazione che per i paesi come l’Italia andrebbe a creare non poche difficoltà. Nonostante gli aiuti di Draghi, dal 2014 al primo trimestre 2017 il debito pubblico è salito di 138 miliardi. Qui il problema, come ha ricordato di recente il commissario alla revisione della spesa, Yoram Gutgeld, non sta nella spesa pubblica che, al netto della spesa per le pensioni e del pagamento degli interessi sul debito, è tra le “più basse dell’Ue” ma in una crescita economica troppo lenta e debole legata a congiunture politiche. Per questo è stato lo stesso Draghi che ieri ha ricordato l’importanza di riforme strutturali, necessarie per “il rafforzamento del potenziale di crescita di lungo termine e la riduzione delle vulnerabilità”.  Tutto ora si gioca al dopo elezioni per capire se dal nuovo governo arriveranno risposte concrete in tal senso o se ci dovremmo preparare a scenari bui con lo spettro della recessione sulla testa.

(G.T.)

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