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Istat: con Covid-19 quattro aziende su cinque chiedono finanziamenti esterni

Abbandono dell’attivo come fonte di finanziamento principale e maggiore ricorso al finanziamento esterno, sono i cambiamenti principali intervenuti nelle aziende italiane durante l’emergenza sanitaria Covid-19 delineati nella nuova “Indagine sulla situazione e prospettive delle imprese nell’emergenza sanitaria” a cura dell’Istat, una misurazione di come il coronavirus abbia investito il sistema delle imprese nel breve periodo.

La rilevazione, condotta dall’Istat nel mese di maggio, è stata rivolta alle aziende con almeno tre addetti che, nel complesso, rappresentano quasi il 90 per cento del valore aggiunto e circa tre quarti dell’occupazione complessiva.

L’integrazione di tali informazioni con quelle contenute nell’indagine multiscopo nell’ambito del Censimento permanente delle imprese (2019) ha consentito di approfondire gli aspetti strategico-operativi attuati dalle aziende in conseguenza dell’emergenza da Covid-19 soprattutto per ciò che riguarda le strategie di finanziamento delle imprese.

Lo studio dell’Istat ha evidenziato come l’impatto delle misure di contenimento dell’epidemia, unite al calo della domanda nazionale ed estera, abbia avuto severi effetti sul sistema produttivo: tra tutti, il deficit di liquidità indotta dal calo del fatturato, che ha colpito oltre la metà delle imprese (soprattutto quelle coinvolte nel lockdown e di dimensione minore), ha indotto strategie di finanziamento in parte diverse rispetto a quelle messe in atto prima dello scoppio della pandemia.

Per circa quattro imprese su cinque l’emergenza Covid ha comportato infatti una modifica delle abituali fonti di finanziamento per fronteggiare la crisi di liquidità, che si è tradotta, da un lato, nell’abbandono dell’attivo come fonte di finanziamento principale, interrompendo almeno nel breve periodo una tendenza in progressivo aumento nell’ultimo decennio in Italia; dall’altro nel maggiore ricorso al finanziamento esterno: in primis credito bancario e credito commerciale.

Secondo l’Istat “la riduzione dell’attivo come fonte di finanziamento nel mutato contesto economico è la conseguenza più marcata. Se prima della pandemia l’autofinanziamento costituiva la fonte di finanziamento più diffusa (ricorrevano al flusso di cassa generato dalla gestione aziendale quasi tre quarti delle imprese), il calo di fatturato ed i conseguenti problemi di liquidità ne hanno provocato una drastica riduzione come risorsa in risposta alla crisi (al 29,1 per cento delle imprese). Aumenta quindi il ricorso al finanziamento esterno, in particolare al credito bancario (da 44,2 per cento al 71,4 per cento), credito commerciale (da 16,8 per cento a 40,9 per cento) e a forme più evolute come obbligazioni e finanza innovativa (da 0,1 per cento a 7,1 per cento)”.

Si è evidenziato come il massiccio spostamento dall’autofinanziamento al finanziamento esterno sia particolarmente pronunciato nelle imprese con 3-9 addetti (-44,7 per cento) e in quelle attive nei servizi.  Si tratta di fonti esterne non sofisticate, in primo luogo credito bancario, favorito dalle misure di sostegno al debito (moratoria) e della nuova liquidità (garanzie pubbliche) previste nei DL 18/2020 e 23/2020. Queste misure hanno inciso tuttavia anche nelle scelte delle medie e grandi imprese, peraltro maggiormente esposte delle altre verso il sistema bancario. Anche il ricorso al credito commerciale (abitualmente più diffuso nella media e grande impresa) costituisce un’opzione di risposta alla crisi da parte delle classi dimensionali più piccole, interessando oltre un’impresa su tre specialmente nel settore delle costruzioni. Forme più articolate di finanziamento e alternative al sistema bancario, come obbligazioni e strumenti di finanza innovativa quali il crowdfunding, aumentano senza significative distinzioni tra classi dimensionali (se non per il settore delle costruzioni, dove invece si riduce per le imprese più grandi) mentre dal punto di vista settoriale interessa maggiormente, sebbene in misura comunque contenuta, i servizi di istruzione (11,2 per cento delle unità) e alloggio e ristorazione (10,4 per cento).

Una crisi di liquidità quale quella provocata dall’emergenza sanitaria ha fatto emergere, per ampi segmenti del sistema produttivo, l’esigenza di accedere a fonti di finanziamento diverse dal cash flow perché compromesso dal calo di fatturato. La corrispondenza a livello di impresa, tra forme di finanziamento abituali rilevate prima dell’emergenza sanitaria e la tipologia di finanziamento in risposta alla crisi di liquidità, evidenzia che sotto tale profilo la reazione a livello di impresa appare polarizzata. Poco più di un quinto delle imprese con tre addetti e oltre dichiara di non necessitare di nuovi strumenti di finanziamento né di modifiche al tipo di strumenti abituali (un insieme che produce il 29,3 per cento del valore aggiunto totale e impiega il 24,6 per cento dell’occupazione del sistema produttivo). Si tratta di imprese con produttività in media elevata, che non risentono della crisi di liquidità (quattro su cinque) oppure che ritengono il proprio assetto finanziario adeguato a fronteggiarla (una su cinque). Le rimanenti imprese (quasi 800mila), tra le quali circa il 60 per cento dichiara problemi di liquidità, aumentano l’intensità o il ventaglio di fonti di finanziamento in risposta alla necessità di reperire risorse nel nuovo contesto economico.

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