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Una ricerca sullo sviluppo dell’Appennino tosco-emiliano

L’area del Corno alle Scale subisce le dinamiche comuni alle aree montane, mature e marginali: spopolamento, invecchiamento, minori disponibilità economiche, anche se il trend negativo ha rallentato la sua corsa negli ultimi anni. I dati ufficiali sul turismo segnalano una forte diminuzione della permanenza media (arrivi stabili, presenze in diminuzione), anch’essa caratterizzante molte destinazioni turistiche. Preoccupante è anche il tasso di occupazione delle strutture ricettive (attorno al 12%), molto più basso che nelle destinazioni alpine (39% di media).

Foto di gruppo degli intervenuti alla presentazione della ricerca

Risultati simili anche per l’utilizzazione degli impianti di risalita. Il fenomeno delle “seconde case” è rilevante (33% dei pernottamenti totali nell’area del Corno), così come quello dei visitatori giornalieri (50%). I visitatori giornalieri, nonostante siano numerosi quanto i turisti, contribuiscono molto poco (6%) alla spesa turistica complessiva. La spesa media giornaliera è di € 27 (€ 43 in inverno ed € 22 in estate; € 38 per chi pernotta, € 17 per i visitatori giornalieri).

Questi valori sono molto più bassi di quelli di altre destinazioni (ad esempio in Trentino la spesa è attorno ai € 100 al giorno). Il turismo contribuisce a circa l’8% del Pil locale (€ 39 milioni), con un moltiplicatore della spesa turistica pari a 0.92. I visitatori apprezzano la bellezza dell’ambiente naturale e umano, ma indicano che la qualità dei servizi offerti è bassa: questo segnala un potenziale di spesa inespressa, che molto probabilmente risponderebbe in maniera positiva a progetti di investimento sul territorio.

Le nostre stime indicano che se gli investimenti sul territorio fossero in grado di portare 50mila visitatori in più all’anno si genererebbero € 6 milioni di Pil a livello locale, che potrebbero triplicarsi in alcuni scenari più ottimistici. Questi investimenti potrebbero portare ad un incremento sostanziale dell’occupazione, stimabile tra i 120 e i 400 nuovi posti di lavoro equivalenti a tempo pieno. Le nostre stime economiche devono essere valutate al netto del costo degli investimenti necessari, diversi da progetto a progetto, e in base alla distribuzione dei costi e benefici sul territorio. 

Inoltre, va valutato anche l’impatto ambientale, nel quadro di cambiamenti climatici la cui percezione spinge nella direzione di una minore fruibilità del parco soprattutto in inverno. Infine, il Progetto A, che prevede il collegamento con il versante toscano attraverso un nuovo impianto di risalita, incontra il favore di molti visitatori, ma è quello più divisivo: mentre la differenza tra favorevoli e contrari nei progetti B (che prevede uno sviluppo basato interamente sul turismo lento) e C (che prevede una commistione tra impianti di risalita e turismo lento) è pari al 65% e 66% rispettivamente, per il Progetto A è pari solo al 30%. Il tutto, ovviamente al netto degli effetti di Covid-19 sul turismo locale”.

Sono queste le considerazioni finali dello studio di ricerca “Per una rigenerazione dell’Appennino Tosco-Emiliano: turismo, sostenibilità e sviluppo territoriale nel Parco Regionale del Corno alle Scale”, realizzato dal Cast, Centro di Studi Avanzati sul Turismo dell’Università di Bologna (Campus di Rimini)e presentato oggi a Bologna da Paolo Figini, Professore Associato di Politica Economica presso il Dipartimento di Scienze Economiche dell’Università di Bologna. Lo studio è stato commissionato dal Club alpino italiano dell’Emilia-Romagna per avere una base scientifica con cui sostenere la propria opposizione al progetto di collegamento del comprensorio del Corno alle Scale con quello della Doganaccia attraverso un nuovo impianto di risalita.

Ha commentato il past president del Cai Emilia Romagna Vinicio Ruggeri: “dalla ricerca sono usciti spunti che rafforzano le nostre posizioni relativamente all’incidenza del turismo nell’area oggetto di studio. Innanzitutto i turisti spendono poco
solo l’otto per cento del Pil dei comuni che ricadono nell’area Parco arriva dal turismo e i posti letto sono occupati per il 12% nell’arco dei dodici mesi dell’anno. Il turismo in quel territorio deve essere sviluppato e non può bastare la costruzione di un impianto di risalita per risollevarlo. Poi l’analisi finale dice che lo scenario di sviluppo basato interamente sullo sci da discesa è quello meno gradito dai 500 intervistatie che ha delle ricadute economiche inferiori. Lo scenario basato interamente sul turismo lento è più gradito e avrebbe maggiori ricadute economiche. Il terzo scenario è naturalmente quello che ha numeri maggiori”.

La presentazione è stata aperta dall’assessore regionale alla montagna Barbara Lori, secondo la quale “questa ricerca rappresenta un’interessante opportunità di conoscenza e approfondimento.
 Come Regione vogliamo mettere in campo , partendo da infrastrutture e lavoro, senza tralasciare l’attenzione all’ambiente“.

L’evento, moderato dal direttore di Montagne360 è stato concluso, dopo la discussione, dal Presidente del Cai Emilia-Romagna Massimo Bizzarri, che ha ricordato che la cura e la conoscenza del territorio montano sono tra i fini statutari del Club alpino italiano: “è necessario avere progettualità che non si basino sul breve termine, a partire dalle infrastrutture. Vogliamo dire agli amministratori di pensare a lungo raggio, per rendere il nostro territorio appetibile sempre, non solo per pochi mesi durante l’anno”.

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