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Crollo Marmolada, l’analisi dell’Arpav (Veneto)

Il drammatico crollo del seracco della Marmolada riporta l’attenzione sugli effetti del riscaldamento globale, in particolare su quelli che interessano con evidenza i ghiacciai dolomitici.
Da un’analisi dei dati meteoclimatici della stazione automatica di Punta Rocca dell’ARPAV, risulta infatti che nei mesi di maggio e giugno, mesi nei quali generalmente si attivano i processi di fusione del ghiacciaio, le temperature medie giornaliere sono risultate significativamente superiori alla media storica, con uno scarto di +3.2°C nei due mesi. Le due decadi più calde rispetto alle medie sono state la seconda decade di maggio (+4.8°C rispetto alla media) e la seconda decade di giugno (+5.4°C rispetto alla media); il trend sembra proseguire anche nei primi giorni di luglio: lo scarto dei valori medi registrati nei primi tre giorni del mese, rispetto al valore medio decadale, è infatti di +4.7°C.

Analizzando poi i valori massimi giornalieri, si evidenzia che per ben sette volte si è superato il valore di +10°C, con una punta massima di +13.1°C il giorno 20 giugno; valore che non rappresenta il massimo storico, che dalla serie dei dati disponibili risulta essere pari a +15.7°C, registrato il giorno 20 luglio 1995. Ieri, giorno in cui si è
verificato il crollo, la temperatura massima registrata è stata di +10.7°C.

L’analisi dei dati di altre stazioni di alta quota delle Dolomiti conferma l’anomalia
termica riscontrata in Marmolada.

Il periodo risulta anche più caldo rispetto all’anno 2003, da tutti considerato un anno record per le temperature estive; di seguito un grafico con i valori 2022 (rosso), i valori 2003 (verde) e i valori medi storici (giallo).

Da un punto di vista glaciologico è necessario sottolineare come crolli di questo tipo
risentano in maniera solo parziale delle temperature registrate a livello giornaliero,
poiché l’inerzia dei ghiacciai ai cambi di temperature e le risposte in termini di fenomeni di questo tipo, necessitano di tempi lunghi e di persistenza di condizioni
sfavorevoli, condizioni che si stanno verificando ormai da anni.

Da una prima valutazione speditiva, tratta da foto aeree prese nelle ore
immediatamente successive al crollo, comparate con le immagini del catasto
ghiacciai di ARPAV, che rappresentano la condizione precedente, si stima una fronte
del crollo nell’area di distacco di circa 90 metri di lunghezza, per un’altezza massima
di 40 m, per un volume complessivo di materiale crollato stimato in circa 300.000
m3, che hanno percorso un dislivello massimo di circa 700 m (da quota 3200 m a
quota 2500 m circa, quota stimata di arresto delle lingue detritiche).

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