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L’Unsic alla cabina di regia sul Pnrr

Unsic, con le altre organizzazioni più rappresentative dell’agricoltura (Coldiretti, Cia, Confagricoltura, Copagri), ha partecipato ieri a Palazzo Chigi alla riunione della “cabina di regia” per il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), convocata dai ministri Fitto e Lollobrigida. Questo a seguito dell’approvazione da parte della Commissione europea della revisione del Pnrr per l’Italia, pochi giorni fa: si tratta della revisione presentata dal governo nel luglio scorso, e che prevede l’aumento delle risorse per l’agricoltura da 3,68 a 5,63 miliardi di euro. Si sostengono i contratti di filiera (agroalimentare, pesca-acquacoltura, silvicoltura, floricoltura, vivaismo) e l’agrisolare. Da citare il RePowerEU, il nuovo piano europeo per “competitività, sicurezza, autonomia energetica” spinto dalla crisi del gas russo che mira alla “transizione green del sistema produttivo”, non solo agricolo. Il RePowerEU si articola su nuove risorse per la transizione verde ed l’efficientamento energetico privato e pubblico con riforme settoriali su biometano, riduzione sussidi a combustibili fossili, energie rinnovabili. Scatta poi il Piano Transizione 5.0 per l’innovazione digitale a supporto della transizione verde nel sistema produttivo con investimenti incentivati, il sostegno all’autoproduzione energetica.

Per Unsic, il consigliere del Centro studi Luca Cefisi, nel rilevare il dato, oggettivamente positivo, dell’aumento delle risorse ottenuto per il settore agricolo, ha sottolineato l’importanza dei nuovi strumenti che accentrano sulla produzione di energia e sul dotare le imprese agricole di nuove tecnologie e competenze, che richiedono anche un cambiamento qualitativo e culturale, e soprattutto, come più volte segnalato dal presidente Unsic Domenico Mamone, garantire alle imprese facilità di accesso ai nuovi strumenti e ai nuovi finanziamenti, spesso non semplici da attivare sul piano burocratico. Appare prioritario l’aspetto di ricerca e sperimentazione dei contratti di filiera e i programmi di sviluppo rurale. In generale, va ricordato che il riscaldamento globale e il cambiamento climatico stanno impattando, già da anni, sulla produzione e le condizioni di coltivazione. Basti ricordare che quest’estate, in troppe realtà, i picchi di temperatura hanno provocato il fallimento di intere coltivazioni, e un impatto, che è stato segnalato da fonti scientificamente autorevoli, sulla produzione olivicola. Al tempo stesso assistiamo una sorta di “tropicalizzazione” che per esempio nel Mezzogiorno permette sì nuove coltivazioni (per esempio l’avocado), ma richiede fabbisogni idrici consistenti. Si tratta allora, per Unsic, di riprogettare, al più presto, il regime di consumo di acqua e i sistemi di irrigazione; modificare i sistemi di semina, mirando a sostituire i vecchi metodi con semine in superficie che contribuiscono a conservare l’umidità del suolo; prendere atto che parte della penisola è ormai a rischio desertificazione e gestire le risorse in questo senso; dotare le aziende agricole di droni, intelligenza artificiale ecc. sostenendo con un trasferimento di competenze e coinvolgendo le università, di ingegneria come di agraria,

E’ anche il caso, ha osservato Unsic, di considerare, quando lavoriamo sulla transizione verde, che è questa è indispensabile e sacrosanta, ma c’è il rischio di quello che da poco i politologi chiamano lo “scontento verde”: vediamo in certi Paesi europei una resistenza culturale, ma che è essenzialmente una reazione di ansia, ai cambiamenti tecnologici, in particolare alla transizione che abbandona i combustibili fossili per tecnologie mal conosciute e percepite come complesse e costose. Il tema è far sì che le aree del Mezzogiorno, le aree montane e marginali non si sentano lasciate indietro.

In questo senso, Unsic rileva con favore l’inserimento di un settore storicamente negletto come la silvicoltura nei nuovi investimenti: il ritorno a reddito di ampie aree boschive oggi quasi abbandonate, l’impiego di biomassa legnosa, prodotta in primo luogo con il recupero degli scarti legnosi di tante lavorazioni o interventi sul territorio, è un esempio di cerchio economico da chiudere meglio, e che riguarda il mantenimento di presenza di realtà produttive in aree montane a rischio sociale.

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