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Il problema delle “aree interne”

Nei giorni scorsi si è svolto a Benevento l’incontro dei vescovi delle aree interne, appuntamento che si rinnova da cinque anni e che ha visto quest’anno ben trenta presuli riunirsi per affrontare un tema di cui, purtroppo, si parla poco: le difficoltà delle aree interne del nostro Paese, segnate da mancanze di strutture e opportunità. Vivere in un paese montano, in particolare del Mezzogiorno, costituisce sempre più un atto di resistenza a causa della progressiva scomparsa dei servizi essenziali, dalle scuole alla sanità. Così nei comuni restano soltanto pochi anziani.

Il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei, presente all’incontro di Benevento, ha ben sintetizzato le problematiche: «Le aree interne del Nord e del Sud sono accomunate dalle stesse difficoltà con qualche variante in negativo per il Mezzogiorno. Se non ci sono possibilità, infrastrutture, collegamenti, si vanno a cercare altrove. Ma tutte le comunità, anche le più piccole, sono importanti. Il grande vantaggio delle aree interne è che sono più comunità che altrove, luoghi dove i legami si rinsaldano e ci si ritrova. Le aree interne sono indispensabili per capire l’insieme: cerchiamo di trovare insieme soluzioni, che poi avranno delle declinazioni diverse, nelle specificità dei diversi territori. Se c’è un investimento serio e l’appoggio delle aree metropolitane, le aree interne ripartono».

Purtroppo i nostri paesi, che pure costituiscono oltre il 50% del territorio nazionale con 10 milioni di residenti (ma tremila comuni su ottomila sono ormai completamente disabitati), presentano – decisamente accentuati – gli stessi problemi nazionali. A cominciare da quelli demografici: le nascite sono ormai al lumicino – anche perché i pochi giovani scappano via – e l’invecchiamento della popolazione è il fenomeno più marcato. Come un cane che si morde la coda, la mancanza di attenzione e di investimenti su comunità sempre più esili porta ai tagli indiscriminati di tutti i servizi, che determinano ulteriori esodi.

Il presidente Sergio Mattarella già nell’ottobre 2016 affermò che «lo Stato appare in ritirata da questi territori dove non si produce più ricchezza e, dunque, la gente non può più vivere. Sono questioni non superabili con misure di mero riordino amministrativo. Si tratta di una grande questione nazionale di cui occorre prendere maggiore coscienza per attivare conseguenti politiche domestiche ed europee. Il nostro Paese non sarebbe più se stesso senza questi beni. Non si può consentire che le aree interne vengano impoverite da una continua caduta demografica, da carenza di servizi, da abbandono di terreni ed edifici. La strategia per le aree interne va ripresa con intensità, integrata con un piano di manutenzione e di tutela dal rischio idrogeologico. Così come dal rischio sismico, di cui tutti oggi segnalano il valore prioritario».

L’Anci da diversi anni ha lanciato l’Agenda Controesodo, che mette in evidenza soprattutto gli aspetti positivi delle aree interne in termini di ambiente naturale e di biodiversità, di varietà di culture e di tradizioni artigianali e agroindustriali. Tutto bene, ma se non ci sono investimenti, le buone intenzioni rimangono tali, così come lo sono rimaste per troppi anni. Occorre innanzitutto migliorare le infrastrutture, ad iniziare dai collegamenti, e nel contempo puntare sull’accrescimento della digitalizzazione e dell’innovazione.

Nel forum di Benevento riteniamo centrali le parole del vescovo di Novara, Franco Giulio Brambilla, presidente della Commissione episcopale per la dottrina della fede: «Tali aree del Paese sono zone a “geometria variabile”, da cui si fugge per lavorare, viaggiare, divertirsi, ma a cui si ritorna per riposare, ristorarsi e ritrovare le radici». Valorizzare i legami è un imprescindibile punto di partenza.

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