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Assosuini su Psa: “Lo Stato non usi allevatori come scudi umani”

“Lo Stato non usi gli allevatori come scudi umani”. Così Assosuini, Associazione suinicoltori italiani, di fronte la tragica situazione che si trova ad affrontare il comparto a causa dell’inarrestabile avanzata della Peste suina africana (Psa) nella filiera dell’allevamento.

Oltre ai danni diretti del virus sugli allevamenti, la Psa sta avendo gravi ripercussioni sulle esportazioni, in quanto nessun Paese è disposto a rischiare di introdurla entro i propri confini. Assosuini mette in guardia: “Se non si riuscisse a fermare la diffusione del virus, sarebbe una catastrofe”. Il settore, infatti,  ha un valore economico pari a 20 miliardi di euro, di cui 2,1 miliardi legati all’export, e occupa 100.000 persone in tutti i segmenti della filiera.

I mercati esteri, inoltre, offrono buoni margini di crescita. I prodotti della salumeria italiana, infatti, sono molto apprezzati oltre i confini nazionali. Nonostante le restrizioni imposte negli ultimi anni, le esportazioni verso Canada e USA hanno segnato una crescita del 30% nei primi quattro mesi del 2024. “Ecco perché è urgentissimo finanziare le operazioni di controllo dell’epidemia – sottolinea Assosuini. – “È vero, sono costose, ma sicuramente meno gravose dell’esplosione della Psa nell’intera filiera del suino”.

Per farlo occorre rispettare le regole e fare uno sforzo di responsabilità collettiva che coinvolga tutta la filiera, ma senza “usare gli allevatori come capro espiatorio per le responsabilità e le misure non prese fino a qui”, dichiara l’Associazione.

Pur riconoscendo le responsabilità di chi non ha rispettato le norme in termini di biosicurezza e non ha denunciato per tempo i casi sospetti, accelerando probabilmente il processo di diffusione del virus, Assosuini ritiene eccesivo imputare il 90% dei contagi alla filiera: “In questa guerra contro un virus che non pare volersi fermare, troviamo sia fortemente sbagliato e un tantino ipocrita scaricare tutte le colpe sugli allevatori”.

Inoltre, precisa, “l’allevamento zero in questa catena epidemica è quello dei cinghiali, il cui proprietario è lo Stato. Senza questo bacino, checché ne dicano ambientalisti e animalisti, i nostri allevamenti sarebbero privi di Psa”. Continuando: “se davvero basta un solo errore per far saltare l’intera filiera è chiaro che le regole di controllo e prevenzione sono del tutto inutili”.

“Quindi, dopo 60mila capi abbattuti, è ora che ci diciamo la verità: o decinghializziamo l’area più esposta e risarciamo tutti i danneggiati, oppure il comparto è finito. E chi non avrà fatto abbastanza se ne prenderà la responsabilità”, conclude Assosuini.

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