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Olio evo: solo il 5% della produzione è italiana

Ci troviamo di fronte a una vera e propria ibericizzazione dell’olio extravergine d’oliva, in cui solo il 5% della produzione olivicola nazionale può dirsi veramente italiana, ovvero proviene da un areale di produzione Dop Igp. L’evo tricolore è sempre più oppresso da contraffazioni e imitazioni, e bisogna fare di più e il prima possibile per salvaguardare questo prodotto di qualità, che rischia di soccombere al modello super intensivo e monovarietale della Spagna che con 1.078 milioni di tonnellate di olio generato nel 2023, è la maggiore produttrice al mondo.

A richiamare l’attenzione sul tema delle Dop Igp nel settore dell’olivicoltura sono la Fondazione Qualivita in collaborazione con Origin Italia, l’Associazione italiana dei Consorzi di tutela, in occasione dei recenti lavori del Coi (Consiglio olivicolo internazionale).

A fare emergere le istanze del mondo produttivo sono stati proprio i rappresentanti dei Consorzi di tutela che hanno messo sul tavolo, all’attenzione dei decisori politici, i nodi – dal mercato, alla contraffazione fino alle emergenze climatiche e fitosanitarie – che affliggono questo settore rimasto ormai la cenerentola delle Indicazioni geografiche italiane ed europee.

Sono 50 le Dop Igp dell’olio extravergine d’oliva in Italia, numeri da primato europeo. Dai terrazzamenti liguri alle colline umbre o toscane, dalle piane pugliesi alle valli siciliane, dalle pendici dei monti abruzzesi ai laghi lombardi, l’extravergine d’oliva italiano si esprime con oltre 500 varietà di olive. I 24 Consorzi di tutela riconosciuti dal ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste coordinano il lavoro di circa 23.500 operatori impiegati nel settore. Tuttavia, come detto, la produzione certificata Dop Igp equivale oggi al 5% della produzione totale nazionale, con un grande potenziale di crescita che potrebbe rappresentare il fattore chiave per il rilancio di una vera filiera italiana e la lotta all’ibericizzazione.

“Dop Igp non sono solo un marchio – ha sottolineato nel suo intervento il direttore di Fondazione Qualivita, Mauro Rosati – come molti operatori credono o fanno credere. Dietro a questo c’è molto di più, a partire dalla scelta, spesso il recupero, di cultivar locali, coltivate con un modello di impianto studiato per la pianta e una precisa fase e tempistica di trasformazione; Dop Igp è anche sinonimo di rispetto e tutela per il paesaggio e rappresenta una remunerazione equa e giusta per gli olivicoltori. Certo fare il super intensivo come in Spagna crea molto più valore all’imprenditore industriale, ma come Sistema Italia così perdiamo tutto il resto, che vale molto di più del fatturato di una singola grande azienda: questo è ciò che rappresenta il modello dei Consorzi di tutela e delle imprese associate, che fino a oggi, come ribadito agli Stati generali di Siena, è stato l’unico vero freno all’ibericizzazione del nostro sistema produttivo olivicolo”.

Fabrizio Filippi, presidente dell’Olio Igp toscano, ha sottolineato come l’incremento dei controlli dell’Icqrf, grazie alla cabina di regia del Masaf e alla sua maggiore collaborazione con i Consorzi di tutela, abbiano alzato il livello di attenzione da parte della Gdo, soprattutto nella comunicazione cosiddetta “below the line”, quindi con evocazioni dei territori di origine, ma senza la presenza di una Ig.

“Siamo impegnati a fianco dei Consorzi di Tutela – ha rimarcato a tal proposito Francesco Soro, ad dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato – per difendere i territori e il lavoro dei produttori attraverso i nostri sistemi anticontraffazione; come succede già per il vino, infatti, anche l’olio può tutelarsi meglio con i nuovi sistemi che come Istituto mettiamo a disposizione per l’agricoltura italiana”.

“Ci aiutino in questo processo di formazione del consumatore e di valorizzazione dell’identificazione dei prodotti Dop Igp anche la ristorazione e la Grande distribuzione organizzata”, ha detto Mario Taurasi, presidente del Consorzio di tutela Sicilia Igp.

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