Sono davvero lontani i tempi – metà anni Ottanta – in cui l’Italia godeva della “tripla A” da parte dell’agenzia americana di rating Moody’s. Eravamo la sesta economia al mondo e godevamo della fiducia dei mercati. Da allora, però, parallelamente alla crescita irrefrenabile del debito, è crollato il credito da parte dei “giudici” internazionali. Siamo ormai arrivati al fondo delle scale del rating delle principali agenzie che nei prossimi giorni – qualcuna all’inizio del prossimo anno – aggiorneranno il loro giudizio, influenzato pesantemente dal loro “voto” negativo sulla manovra e soprattutto dal nostro quarto debito pubblico al mondo per entità.
Le previsioni di giudizio sono fosche, ma non disperate: l’unica speranza è di evitare l’ultimo livello, quello dei “junk bond”, cioè dei titoli spazzatura, che probabilmente determinerebbe uno sconvolgimento finanziario epocale in Italia, con ripercussioni in tutta Europa.
Cosa ci imputano le varie Standard & Poor’s (la prima che si esprimerà il prossimo 26 ottobre), Moody’s, Fitch? Mettono sotto accusa la manovra dell’esecutivo perché – come scrive Moody’s nella credit opinion – c’è il rischio che “le decisioni del governo saranno insufficienti a porre il debito pubblico su una sostenibile traiettoria al ribasso per i prossimi anni”. Sulla stessa linea Standard & Poor’s, che è preoccupata per un’eventuale ulteriore salita del debito italiano causa la retromarcia sulle riforme strutturali. Il riferimento principale è allo smontaggio della legge Fornero, che per accontentare qualche centinaio di migliaia di sessantenni, molti elettori della Lega, rischia di mandare gambe all’aria il sistema pensionistico per le future generazioni, come di fatto ha avvisato il presidente dell’Inps, Tito Boeri.
Anche Fitch, l’agenzia tradizionalmente più aggressiva, non è tenera con il nostro Paese in quanto vede uno scollamento pesante tra le previsioni di crescita del governo (1,5 per cento nel 2019 e 1,6 per cento nel 2020) e le sue (1,2 per cento nel 2019 e 0,9 per cento nel 2020) e per il 2020 prevede un deficit più vicino al 2,6 per cento rispetto al 2,1 per cento indicato dall’esecutivo Conte.
Giudizi molto pesanti anche da parte dell’agenzia cinese Dagong, che lo scorso 16 maggio ci ha già degradato a livello “junk” (rating a BB+) soprattutto perché teme l’irresponsabilità del governo e le pressioni sul sistema creditizio italiano.
Infine la piccola agenzia canadese Dbrs è quella meno severa, avendoci assegnato il livello BBB+ lo scorso 13 luglio in quanto vede un miglioramento nei fondamenti economici italiani, compresa la salute del sistema bancario, pur rilevando gli “alti rischi politici”.
Insomma, se i fondamentali economici del nostro Paese sono leggermente migliorati negli ultimissimi anni (per quanto il debito continui a salire), i timori maggiori vengono da una manovra in deficit e da un governo che, sul piano economico, sta giocando con il fuoco.
Certo, non mancano le critiche nel loro complesso alle agenzie di rating, che negli ultimi tempi hanno acquisito un potere abnorme. C’è chi ricorda i loro avventati giudizi positivi su Enron e su Lehman alla vigilia dei loro fallimenti. Standard & Poor’s è stata persino messa sotto processo a Trani (tra i testimoni anche Prodi, Tremonti e Padoan) per il downgrade di due gradini fino a BBB+ nel gennaio 2012 che provocò un tonfo in Borsa e l’impennata dello spread fino a 487: la sentenza di assoluzione è arrivata nel 2017, ma non è escluso il processo d’appello.
Tuttavia, per quanto molto criticato, il ruolo delle agenzie di rating resta importante nell’orientamento dei mercati. Ne dobbiamo avere piena coscienza. Se l’Italia, nei loro giudizi, finisse all’angolo, gli investitori internazionali si ritirerebbero e la montagna del nostro debito avrebbe effetti devastanti. Speriamo ovviamente che ciò non succeda e che le forze di mediazione del nostro Paese lavorino sodo perché ciò non avvenga.
(Domenico Mamone)