Sono più che dimezzate le domande dei cittadini nel passaggio dal reddito di cittadinanza all’assegno di inclusione, il nuovo sostegno al reddito voluto dal governo Meloni e operativo da quest’anno. Lo rende noto l’Enasc, il patronato Unsic (membro Cnel), tra i primi in Italia per volume di lavorazione di pratiche sociali e previdenziali.
Quest’anno sono state inoltrate dall’Enasc 39.480 domande per Assegno di inclusione (Adi) al 31 maggio 2024, di cui circa la metà accolte. Secondo le stime dell’ente, a fine anno potrebbero arrivare a quota 50mila. Le domande per il reddito di cittadinanza tra il 2020 e il 2022 all’Enasc sono state in media circa 130mila. Nel passaggio dal RdC all’Adi, l’Unsic stima quindi un calo a fine anno del 62% delle domande e intorno al 75% in meno di percettori del sostegno.
“Il crollo dei richiedenti è conseguenza delle procedure più complesse e selettive per accedere all’Adi – spiega Domenico Mamone, presidente dell’Unsic e consigliere Cnel. “Se il reddito di cittadinanza era una prestazione inizialmente erogata sulla base delle informazioni autodichiarate dall’utente, con i controlli rimandati ad una fase successiva, l’Adi prevede molteplici controlli preliminari per garantire la correttezza delle informazioni dichiarate e trovare riscontro nelle varie banche dati a disposizione del ministero del Lavoro”.
La platea dei possibili beneficiari dell’Adi è ridotta anche dall’importo Isee notevolmente più basso e da un valore patrimoniale minore rispetto a quello previsto dal reddito di cittadinanza.
“Il passaggio tra i due strumenti si conferma caratterizzato da un vero e proprio cambio di rotta – continua Mamone. “L’Adi è ottenuto da una platea di soggetti realmente svantaggiati, invalidi o in difficoltà, che debbono presentare corposa documentazione rilasciata da un ente pubblico, sottoscrivere un Patto di attivazione digitale (Pad) indicando tre agenzie per il lavoro e accettando un percorso di presa in carico. Insomma, tutto è più lungo e selettivo rispetto al reddito di cittadinanza e per i controlli si gioca finalmente d’anticipo grazie ad incroci di dati e Dorsale informatica”.
In effetti la stagione dei controlli sull’acquisizione indebita del reddito di cittadinanza è tutt’altro che conclusa. È attualmente notevole la mole di lavoro per le Procure che, in collaborazione con la Guardia di finanza, continuano a rilevare molteplici incongruenze. Una delle principali frodi legata agli indebiti riguarda le ingannevoli residenze in Italia da parte di cittadini che vivono all’estero e per creare nuclei monofamiliari (tra i casi recenti più clamorosi c’è la scoperta della presenza di 50 residenti nello stesso indirizzo), ma anche falsi acquisti in punti vendita per attestare la residenza in Italia da almeno dieci anni da parte di cittadini extracomunitari. Ci sono poi la compiacenza di commercianti come bancomat in cambio di una percentuale e le false dichiarazioni fiscali.
Tra i casi più recenti, i 40 “furbetti” scoperti a Bologna e i 43 a Lecce nell’ottobre scorso, la novantina di persone segnalate in provincia di Catania e le 73 in provincia di Caltanissetta a inizio anno, i 285 cittadini extracomunitari legati ad un negozio di alimentari che riciclava il reddito emersi a Napoli a febbraio, gli oltre 600 denunciati in provincia di Varese e i 18 in provincia di Pisa a marzo scorso, i 63 in provincia di Foggia a maggio.
In base ai dati della Guardia di finanza relativi al periodo da aprile 2019 al primo semestre 2023, la mappa delle irregolarità vede in percentuale al primo posto la Calabria, seguita da Marche, Liguria, Piemonte/Valle d’Aosta, Umbria e Veneto, ma per soggetti denunciati e importo delle frodi accertati in testa c’è la Lombardia seguita da Campania e Sicilia. Il più virtuoso è nettamente il Trentino-Alto Adige, seguito da Abruzzo e Molise.