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Crescita italiana: l’Economist rimane pessimista sul futuro dell’Italia

La crescita italiana non convince il giornale britannico The Economist. Anche se, pare che l’Italia sia riuscita a salire sul treno della ripresa europea. Gli ultimi dati, per quanto rimangano tra i più bassi dell’Unione europea, sembrano confortare le notizie di una ripresa ai livelli di pre-crisi. Il 12 settembre i numeri diffusi sul tasso di disoccupazione parlano di una diminuzione dello 0,4% nel secondo quadrimestre, attestandosi all’11,2%. Il giorno prima, il governo italiano aveva “sventolato” le statistiche riguardanti il tasso di crescita della produzione industriale salita del 4,4%. Le stime di crescita del Pil nel mese scorso sono state riviste in positivo e dalla previsione di inizio anno di una crescita pari all’1% per il 2017, gli ultimi dati rilasciati qualche giorno fa parlano di una crescita pari all’1,5%, che, se pur modesta, sembra ridurre il gap con l’intera eurozona (previsto al 2,2%).

Che il Bel Paese da tallone d’Achille d’Europa stia tornando finalmente a correre? Questa è la domanda che il giornale inglese pone ai propri lettori.

Come ha dichiarato il premier Gentiloni, un aumento così consistente della produzione industriale sarebbe stato impensabile fino a due anni fa. L’Italia viene, infatti, da due decenni di ristagno economico e politico, nei quali la scarsa produttività, la scarsa concorrenza con alcune grandi società che detengono quasi il monopolio in diversi settori, il debito pubblico alle stelle, il  sistema bancario frammentato, il sistema giudiziario lento, il sistema universitario carente e scarsamente performante, sono tutti handicap che hanno frenato il Paese per molti anni.

Il problema è che, secondo The Economist, i difetti strutturali permangono e rendono le previsioni per il futuro incerte e negative. La maggior parte degli esperti, infatti, concorda sul fatto che in realtà la crescita italiana sia stata trainata dalla ben più evidente crescita europea ed è assolutamente dipendente dall’incremento delle esportazioni dove Francia e Germania rimangono i principali mercati di importazione. In ogni caso all’Italia va dato il merito di aver coraggiosamente introdotto alcuni cambiamenti importanti, tra cui il salvataggio a luglio della banca più antica del Paese, ovvero il Monte dei Paschi di Siena e di altri istituti di credito rendendo il settore finanziario più stabile e sano. Questo dovrebbe convincere i banchieri ad adottare una politica di prestiti essenzialmente più easy, così da dare un ulteriore stimolo alla crescita.

Il freno più grande per la crescita italiana rimane comunque politico. Le riforme strutturali necessitano di maggioranze forti e di prese di posizione a volte molto impopolari che nessuno può permettersi di prendere in questo momento di forte incertezza politica e in vista delle prossime elezioni politiche che si terranno a maggio, ma che ci si aspetti non portino ad alcun cambiamento. L’attuale legge elettorale si base essenzialmente su un sistema di tipo proporzionale grazie al quale il Movimento 5 stelle  dovrebbe prendere il 25-30% dei posti in parlamento. Poiché, però, il M5s rifiuta di cooperare con una delle parti principali, si dovrebbe riproporre la stessa situazione di cinque anni fa con il presidente della Repubblica costretto a nominare un governo di larghe intese che includa elementi di sinistra ed elementi di destra. Un governo molto eterogeneo con a destra Forza Italia, la Lega Nord e Fratelli d’Italia ed a sinistra il Partito democratico (Pd) che, secondo il giornale inglese, molto difficilmente potrà mai trovare un accordo su un’agenda di riforme strutturali di stampo liberale.

Christian Battistoni

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