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È legge il decreto sulle liste d’attesa

L’istituzione di un Cup unico regionale o intraregionale che dovrà avere in agenda tutte le prestazioni offerte da pubblico e privato convenzionato. Obiettivo: disporre di un sistema in grado di assicurare tempi certi per le prestazioni attraverso ricorso a intramoenia o privato, che è poi la principale problematica che affligge i cittadini. Inoltre, per superare la carenza di personale, l’adozione di una metodologia per il superamento del tetto di spesa per l’assunzione del personale sanitario a partire dal 2025. Ancora: una flat tax al 15% delle prestazioni orarie aggiuntive dei professionisti sanitari impegnati nella riduzione delle liste d’attesa.

Questi alcuni contenuti del decreto liste d’attesa, a cui la Camera ha dato il via libera con 171 sì e 122 no.

Tra le altre novità, l’istituzione presso l’Agenas (l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) di una piattaforma nazionale per le liste d’attesa per monitorare, Regione per Regione, i tempi di erogazione delle prestazioni.

“Il decreto sulle liste d’attesa è legge: diamo risposte concrete ai cittadini e maggiore efficienza al servizio sanitario nazionale – ha detto il ministro della Salute, Orazio Schillaci. “Dopo anni di inerzia, questo governo interviene in maniera strutturale con misure che affrontano tutti i fattori che hanno contribuito a un aumento intollerabile delle liste d’attesa”.

L’articolo 6 della legge si occupa del Mezzogiorno. Introduce norme per il potenziamento dell’offerta assistenziale e il rafforzamento dei Dipartimenti di salute mentale nelle regioni Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia, autorizzando la regione Calabria a riprogrammare la quota residua di alcune risorse.

La legge, va detto, centra bene i problemi, dai tempi alla scarsità di personale, fino ai controlli. Occorrerà capire se si riuscirà ad attenuarli, anche perché l’attuazione dipende dalle singole Regioni. Indubbiamente pesa il fatto che le risorse impegnate non siano molte.

In generale, il problema delle liste d’attesa è diventato una vera e propria emergenza in tutta Italia, specie nelle regioni meridionali. Nonostante i medici per le prime visite e prime prestazioni strumentali ambulatoriali debbano sempre indicare una delle quattro classi di priorità (72 ore, 10 giorni, 30 giorni per le visite, 60 giorni per gli esami fino all’attesa massima di 120 giorni, ridotta dal 2020), tali indicazioni raramente vengono rispettate. Idem per i ricoveri, la cui attesa massima varia da 30 giorni ad un anno.

Diverse rilevazioni hanno calcolato gli assurdi tempi di attesa per qualsiasi esame o operazione. Mediamente per una visita oculistica si attendono anche sei mesi, mentre per un’operazione di cataratta si arriva all’anno. I dodici mesi, secondo le ricerche di Cittadinanzattiva, occorrono anche per mammografie, ecografie e colonscopie, ma anche per una visita neurologica.

È chiaro che questa situazione andava affrontata. Ci si augura che l’intervento del governo porti buoni frutti. Anche perché peggiorare lo stato di salute dei cittadini ha conseguenze che ricadono pesantemente innanzitutto sulle casse pubbliche e, ovviamente, sulla qualità generale della vita della collettività. 

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