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Evergrande, timori per il crack del colosso cinese

Evergrande, il secondo colosso immobiliare cinese per volume di vendite (è titolare di oltre 1.300 progetti immobiliari sparsi in quasi 300 località), rischia seriamente il fallimento. È sommerso da 305 miliardi di dollari di debiti, pari a circa 255 miliardi di euro. Da tempo gli investitori si liberano delle sue azioni, portando il loro ribasso da inizio anno vicino al 90 per cento. Soltanto qualche anno fa le sue azioni crescevano di tre-quattro volte.

Lunedì scorso, secondo quanto riporta Bloomberg, l’azienda ha mancato il pagamento degli interessi dovuti a due dei suoi maggiori creditori bancari e per domani potrebbe saltare il pagamento degli interessi su due obbligazioni (bond offshore). Secondo Standard&Poor’s la società dovrà ripagare più di 35 miliardi nei prossimi dodici mesi. Appare sempre più concreta la prospettiva di una delle più grandi ristrutturazioni del debito in Cina.

Secondo S&P Global Ratings, il governo cinese non fornirà, però, alcun supporto diretto al gruppo Evergrande, ma potrebbe intervenire qualora si determinasse un contagio di vasta portata. Tuttavia, nonostante più di qualche analista metta a confronto l’odierna vicenda con quella di Lehman negli Usa, che causò la crisi finanziaria dal 2007 in poi, molti osservatori escludono uno scenario del genere.

Benché si veda questa vicenda lontana da noi migliaia di chilometri, ormai in un pianeta globalizzato – come si suol dire – il minimo battito d’ali di una farfalla è in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo. Le crisi dei bond argentini, della stessa Lehman, ma anche del Covid ci dovrebbero aver insegnato qualcosa. Ecco perché la Cina, anche stavolta, è un osservato speciale. E questa vicenda sta influendo sugli indici azionari di tutto il mondo, Milano compresa.

Il settore immobiliare, proprio come avvenuto in Italia negli anni Cinquanta-Sessanta, è stato uno dei propulsori della crescita economica di Pechino: secondo le stime di Fitch, gli investimenti hanno rappresentato in media il 13,5 per cento del Pil negli ultimi cinque anni, tre volte il livello dell’economia Usa. Ma di recente la Cina ha deciso di ridurre l’enorme leva finanziaria concessa al comparto immobiliare, proprio per i tanti campanelli d’allarme. Sono stati introdotti vari limiti: tetto del 70 per cento sulle passività per le attività; limite del 100 per cento sul debito netto per il patrimonio netto; liquidità per coprire l’indebitamento a breve termine. Ciò ha contribuito a far scoppiare la crisi di credito di Evergrande e di altre società.

Evergrande, al 122° posto nella Fortune Global 500 e la cui holding è registrata alle isole Cayman, è un colosso ormai ramificato in diversi settori, dall’agricoltura ai pannelli solari, dall’agroindustria all’acqua minerale, dall’emittenza televisiva ai servizi sanitari. Ha 200mila dipendenti, ma complessivamente contribuisce a creare lavoro ad oltre 3,8 milioni di persone, si legge sul sito. Il marchio è noto tra gli appassionati di calcio per aver acquistato la squadra del Guangzhou Evergrande nel 2010, assoldando anche Marcello Lippi, Fabio Cannavaro e Felipe Scolari come allenatori.

Il fondatore Xu Jiayin è alla posizione 34 tra le persone più ricche del mondo secondo Forbes, con un patrimonio personale di 21,8 miliardi di dollari nel 2020.

Dopo essere stata protagonista della grande crescita economica cinese, è ormai, dunque, in piena crisi anche a causa del rallentamento del mercato immobiliare in Cina, oltre ad investimenti non proprio geniali. Banche, privati e istituzioni pubbliche potrebbero non vedersi restituiti i prestiti, generando effetti a catena. A rischio anche privati e aziende che hanno già saldato per abitazioni e uffici costruiti da Evergrande e che rischiano di vedere svanire il loro progetto.

“Pensiamo che le autorità cinesi abbiano la capacità di bilancio e monetaria per ammortizzare lo shock – ha dichiarato la capoeconomista dell’Ocse Laurence Boone. “L’impatto sarà piuttosto limitato eccetto ovviamente per alcune particolari società”. Insomma, al momento non ci sarebbero segnali per un contagio al di fuori della Cina. Tuttavia, nonostante le rassicurazioni, il gruppo risulta esposto con oltre duecento banche e istituti di credito presenti in tutto il mondo.

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