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Referendum sulle trivellazioni petrolifere del 17 aprile: NO e SI a confronto.

Il 17 aprile gli italiani sono chiamati alle urne per un referendum nazionale.

E’ la prima volta che un referendum viene convocato su istanza delle Regioni (è una possibilità prevista dalla Costituzione, ma mai accaduta prima).

Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna e Veneto sono le Regioni che lo hanno chiesto; si tratta di regioni governate dal PD, dalla Lega, da Forza Italia: insomma non è un classico scontro tra destra e sinistra. Il governo non sembra molto entusiasta, invece, ma anche i leader delle opposizioni di centrodestra non si sono sbracciati (più convinti invece i 5 Stelle e l’opposizione di sinistra): insomma, si direbbe davvero una questione fatta soprattutto di sensibilità locali, anche se nove regioni sono tante per parlare di una mera questione locale. D’altra parte, ci sono anche le regioni che non si sono unite all’iniziativa: l’Emilia Romagna, per esempio, si è rifiutata. Ma insomma, cosa chiede questo referendum ? Siccome il referendum in Italia, come sanno bene gli elettori non troppo inesperti, è sempre abrogativo, dunque votare Si vuol dire che si è favorevoli all’abrogazione, quindi si è “contro” l’oggetto del referendum, mentre il No vuol dire che si è contrari all’abrogazione e si preferisce lasciare le cose come stanno, quindi si è ”a favore” dell’oggetto del referendum. Ma qual è la domanda ? Sulla scheda, come sempre, l’elettore troverà un quesito molto tecnico e poco comprensibile, “volete voi abrogare…” e giù un blocco di righe fitte fitte sull’articolo 6, comma 17, terzo periodo… Meglio allora farsi un’idea prima di studiare la scheda all’inpiedi nella cabina elettorale. In parole povere, il referendum chiede se abrogare o meno la possibilità oggi esistente di effettuare l’estrazione in mare di gas naturale o di petrolio entro le 12 miglia dalla costa. Queste trivellazioni sono già proibite, per il futuro. L’articolo 6, comma 17, terzo periodo eccetera è appunto quella parte della legge 152 del 2006, detta Codice Ambientale, le norme generali per la tutela dell’ambiente, che stabilisce un’eccezione alla regola generale di divieto di trivellazione troppo vicino alla costa. In pratica, sono esentati dal divieto e possono proseguire a lavorare gli impianti già attivi, che potranno rinnovare la concessione fino all’esaurimento dei giacimento. Abrogare questo punto della legge vuol dire che non soltanto, come già previsto, non si potranno installare nuovi impianti entro le 12 miglia, ma che quelli oggi esistenti dovranno chiudere, non subito, ma alla scadenza della concessione oggi attiva, senza poter chiedere un rinnovo.

trivella-mare I sostenitori del Si sostengono che se la legge riconosce la pericolosità degli impianti troppo vicini alla costa, tanto da vietarli per il futuro, è logico accelerare i tempi anche per quelli oggi in funzione. I sostenitori del No dicono invece che proprio perché l’Italia ha già previsto una graduale dismissione delle trivellazioni sottocosta, la legge così com’è è ragionevole ed equilibrata, e concilia l’esigenza di tutela ambientale, sul lungo periodo, con quella di proteggere produzione e posti di lavoro, sul medio periodo. Sì, perché le concessioni sono una pratica lunga: se passeranno i Si, i 21 impianti oggi attivi entro le 12 miglia dovrebbero chiudere man mano che arriva la scadenza dell’ultima concessione utile, all’incirca entro cinque-dieci anni. Se vincono i No, le concessioni scadute potranno essere rinnovate per un tempo più lungo, in pratica finché c’è gas da estrarre (vent’anni, trenta ? Non è semplice dirlo). Per quelli del SI, gli anni che comunque rimangono alle aziende sono abbastanza per riorganizzare produzione e occupazione senza tanti problemi, per quelli del NO tutta la questione è campata in aria, perché alla lunga il numero degli impianti andrà comunque a ridursi, e non vale la pena di accelerare la chiusura di strutture comunque funzionanti e che producono utili. Il duello prosegue, punto per punto: per esempio, tra i controversi 21 ci sono alcuni impianti aperti negli anni 70, che secondo i sostenitori del SI sono particolarmente sospetti di inquinamento perché vecchi, mentre i sostenitori del NO osservano che anche gli impianti più vecchi devono seguire le normali normative anti-inquinamento e quindi essere mantenuti a norma, e comunque saranno i primi ad esaurirsi naturalmente. La maggiore scoperta, forse, per i molti italiani ed italiane che non sono esperti della materia, è che, in effetti, l’Italia non sarà la Libia o l’Algeria ma ha i suoi bravi pozzi di gas, e anche di petrolio. Circa il 10% del nostro consumo energetico è coperto dalla produzione nazionale; meno chiaro è quanto inciderebbe la chiusura a scalare dei 21 pozzi entro le 12 miglia (ce ne sono altri 48 oltre il limite, che non sono in discussione, e poi ci sono i pozzi terrestri). La decisione, per gli elettori e le elettrici, dipende dal proprio senso delle priorità: sbrigarsi a chiudere i pozzi troppo vicini alla costa, che qualche rischio per l’ambiente, il turismo e la pesca senza dubbio lo generano, altrimenti non se ne sarebbero vietati di nuovi, o bilanciare rischi e benefici, valutando che sinora non abbiamo mai avuto un disastro ambientale nei nostri mari prodotto da questi pozzi, e che, alla fine, il costo di smantellare prima del loro tempo quegli impianti potrebbe essere un eccesso di precauzione? A ben vedere, al di là del merito del quesito, che forse ha il difetto proprio di essere comunque troppo tecnico e limitato per suscitare un grande interesse nell’opinione pubblica, quello che è in gioco sono due visioni dello sviluppo: una visione che sostiene la priorità di mettere in sicurezza turismo e pesca dai rischi ambientali dell’industria, considerando l’economia “sostenibile” come l’unica possibile per il futuro, e un’altra visione che difende il ruolo dell’industria pesante nell’economia italiana per gli anni a venire. Sarà il popolo a decidere.

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