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6° Forum Food & Beverage di Bormio

Cambiamento climaticoperdita della biodiversitàoccidentalizzazione delle diete, contenimento dello spreco alimentare, riduzione del consumo di plastica e packaging sostenibile. Sono queste le principali sfide per la filiera agroalimentare italiana secondo quanto emerge dalla ricerca La (R)evoluzione sostenibile della filiera agroalimentare italiana’ condotta da The European House – Ambrosetti in partnership con Antares Vision, Coca-Cola, Levissima, Nestlé e Schneider Electric.

La sesta edizione del Forum “La Roadmap del futuro per il Food&Beverage: quali evoluzioni e quali sfide per i prossimi anni”, svoltosi a Bormio il 17 e 18 giugno ha fatto il punto sulla situazione del comparto. Il nostro Paese deve fare i conti con numerose criticità, nonostante sia evidente lo sforzo già compiuto per raggiungere alcuni dei target fissati dalla Comunità Europea. Occorre fare in fretta perché i fenomeni siccitosi sempre più ricorrenti a cui stiamo assistendo potrebbero causare un danno di 1 miliardo di Euro all’anno al settore agricolo, dovuto sia alla riduzione della quantità che della qualità dei raccolti. Senza misure di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici The European House – Ambrosetti ha stimato un impatto sul PIL italiano di circa 8% entro fine secolo.

Il pianeta sta consumando più risorse di quante sia in grado di produrne. La pressione delle attività umane è tale che l’Earth Overshoot Day, che indica il giorno in cui l’umanità esaurisce interamente le risorse prodotte dal pianeta nell’anno, nel 2021 è caduto il 29 luglio, mentre in Italia nel 2022 è stato il 15 maggio. Un dato allarmante a cui, secondo il Global Footprint Network, il consumo alimentare contribuisce per circa il 25%. L’esigenza di garantire a una popolazione crescente risorse agroalimentari adeguate e prodotte in modo sostenibile colloca la sostenibilità in cima alle priorità delle Istituzioni italiane ed europee soprattutto se si considera che ONU e FAO stimano un aumento della produzione di cibo del +60% al 2050, a fronte di un incremento della popolazione del +23%.

La situazione del nostro Paese presenta scenari drammatici come le perdite nella produzione di alcune colture strategiche per il Made in Italy dovute al cambiamento climatico, l’elevato spreco alimentare ed errati stili di consumo ancora diffusi. A fronte di queste evidenze, la crescente adozione di strumenti tecnologici di eccellenza colloca l’Italia all’avanguardia per efficientamento e miglioramento dei processi della filiera, mentre un ulteriore aiuto verso la transizione sostenibile potrebbe derivare dall’adozione di metodologie come la Carbon footprint, la Ecological footprint e la Water footprint.

Secondo l’indice di capacità di adattamento ai cambiamenti climatici, che combina il rischio di esposizione al cambiamento climatico con la capacità di adattarsi alle pressioni ambientali nei prossimi 30 anni, l’Italia è uno dei Paesi più vulnerabili, posizionata al penultimo posto in Unione Europea. Il 21% del territorio nazionale è a rischio desertificazione e gli eventi siccitosi, sempre più frequenti, stanno colpendo le coltivazioni irrigue di tutto il Paese. Dall’altro, nel periodo 2010-2021 gli eventi metereologici estremi sono cresciuti con un tasso medio annuo del +25%. L’inverno 2021-2022 è stato uno dei più caldi e secchi di sempre, con un deficit medio di precipitazioni pari al -65%.

La situazione per l’agricoltura è molto critica con drammatiche ripercussioni che hanno causato devastanti perdite nella produzione di diverse varietà di colture, comprese quelle d’eccellenza del Made in Italy.  Nel 2021, le avversità̀climatiche hanno determinato una perdita di produzione media del -27% della frutta, del -10% del riso (produzione per cui l’Italia detiene la leadership europea) e del -9% del vino (l’Italia è il 1° produttore mondiale). Impatti ancora più severi sono stati raggiunti nella produzione di miele, quasi totalmente scomparsa con un -95% nell’anno, delle pere (-69%) e delle pesche (-48%).

Uno dei principali esempi di insostenibilità inoltre è lo spreco alimentare, in Italia pari a 89 chili per persona all’anno (5,3 milioni di tonnellate complessive). Analizzando nel dettaglio le diverse fasi della filiera agroalimentare italiana, risulta ancora più evidente di come gli sprechi alimentari si concentrino negli ambiti finali: sul totale degli alimenti che vengono preparati e consumati nel settore, la ristorazione collettiva raggiunge l’8,6% di sprechi, quella commerciale il 4,8% e il consumatore spreca l’8,0% del prodotto che acquista.

Tra le esigenze più avvertite, il 90% dei cittadini italiani giudica il packaging sostenibile una delle principali urgenze da indirizzare per i grandi marchi. La filiera agroalimentare ha un ruolo preponderante per la generazione di rifiuti in plastica; infatti, il 65% del totale dei rifiuti di imballaggio in plastica annui derivano da packaging alimentare. L’Italia dimostra di aver compreso in modo corretto le priorità definite dalle politiche europee e, negli ultimi 10 anni, ha registrato un aumento del 65% degli investimenti in R&S per la circolarità della plastica, raggiungendo i 387,6 milioni di Euro annui nel 2019 e posizionandosi quale 7° Paese al mondo più virtuoso. Inoltre, secondo i dati dello European Patent Office, l’impegno delle aziende negli ultimi 10 anni posiziona l‘Italia come 8° Paese al mondo per brevetti registrati in tema di circolarità̀ della plastica (2,6% sul totale mondiale cumulato dal 2010 al 2019).

In termini di sostenibilità economica, va sottolineato come la storica dipendenza della filiera italiana dall’estero per l’approvvigionamento di materie prime agricole, oltre ad aver provocato un deficit commerciale pari a 85,8 miliardi di euro dal 2010 al 2021, causa una forte esposizione all’andamento della produzione e dei prezzi delle materie prime dal resto del mondo con una conseguente crescente vulnerabilità a shock di approvvigionamento per alcuni prodotti chiave alla base della catena di lavorazione italiana.

Per imprimere un rapido cambiamento e invertire un trend preoccupante, è necessario anche sensibilizzare ed educare a stili di vita consapevoli. Pur rappresentando un tema molto sentito per il 69,5% dei cittadini italiani nel 2021 (+21,5 punti percentuali rispetto al 2015) la sostenibilità non si traduce ancora in stili di consumo alimentare sani ed equilibrati.

Per veicolare una corretta educazione nella popolazione è fondamentale partire dai bambini. In Italia, però, le cattive abitudini alimentari partono proprio dalle fasce d’età più giovani: secondo le evidenze dell’osservatorio dell’Istituto Superiore della Sanità (ISS) “Okkio alla Salute”, quasi bambino italiano su 2 ha problemi con la colazione1 bambino su 4 assume bevande zuccherate ogni giorno, 1 su 2 consuma troppi snack e il 55% consuma una merenda eccessiva.

Una situazione di criticità che viene favorita anche dalle carenze del sistema scolastico: solo il 7% delle attività di educazione alimentare negli istituti è amministrato da uno specialista del tema mentre l’accesso di solo un bambino su due al servizio mensa ostacola il ruolo formativo che le mense potrebbero svolgere, secondo l’88% degli insegnanti di tutto il Paese interpellati da un sondaggio del MIUR.

Nonostante la pandemia abbia offerto ai consumatori italiani la possibilità di una riflessione sull’esigenza di stili di vita più sani e equilibrati, permangono errati atteggiamenti alimentari. Tra questi, l’eccessivo consumo di carne è la conseguenza più evidente della cosiddetta “occidentalizzazione delle diete”. Il fenomeno provoca un impatto significativo sull’ambiente, sia per l’impronta diretta degli allevamenti – soprattutto quelli intensivi e dei bovini, sia per la produzione di cibo diretta al loro sostentamento.

Tra le azioni finalizzate a valutare l’impronta ambientale di un prodotto e favorire la transizione sostenibile dei processi produttivi, un ruolo di primo piano è svolto dall’adozione di metodologie come la Carbon footprint, la Ecological footprint e la Water footprint che calcolano rispettivamente l’impatto sul pianeta dell’impiego di combustibili fossili, la domanda di risorse naturali del sistema produttivo rispetto alla capacità rigenerativa del territorio e il volume totale di acqua dolce utilizzata per produrre beni e servizi in tutto il loro ciclo di vita. Queste metriche oggettive quantificano la valutazione ambientale dei prodotti agroalimentari, per offrire uno strumento di valutazione sul reale impatto delle filiere e favorire così l’attuazione di scelte strategiche. È auspicabile per l’Italia una maggiore diffusione delle tre metodologie sopracitate, che permetterebbe molteplici benefici. Persistono, tuttavia, alcuni limiti: la complessità nel fornire un impatto medio per singolo prodotto, la loro scarsa applicazione e la difficoltà nella stima dell’impatto complessivo di un settore, a causa della mancanza diffusa di dati.

Un aiuto concreto alla transizione sostenibile proviene dalla  disruption tecnologica, che garantisce l’efficientamento e il miglioramento dei processi grazie all’introduzione di soluzioni digitali per interventi volti a minimizzare gli sprechi di risorse idriche, massimizzare la resa dei terreni, adattare le colture alle caratteristiche biochimiche e fisiche del terreno e calibrare l’impiego di prodotti chimici.  La superficie agricola coltivata in Italia con le tecniche e gli strumenti dell’Agricoltura 4.0 ha raggiunto il 6% del totale nel 2021 (+50% rispetto all’anno precedente) per un valore del mercato pari a 1,6 miliardi nel 2021 (+23% vs. 2020 e 3,6 volte rispetto al 2019). In aumento anche la quota di agricoltori che utilizza almeno una soluzione di Agricoltura 4.0. Sono oltre il 60% nel 2021 (+4% rispetto al 2020), mentre più del 40% utilizza almeno 2 soluzioni. Anche l’automazione nel settore manifatturiero del Food&Beverage è in continua crescita. Nello scenario globale, l’Italia ricopre una posizione di eccellenza in termini di innovazione robotica nell’industria di trasformazione alimentare. Il Paese è al 4° posto nel mondo per densità di robot attivi nella produzione alimentare italiana, con un valore di 183 unità ogni 10.000 dipendenti, dietro solo a Paesi Bassi (257), Svezia (190) e Danimarca (185),  ma con il doppio delle unità degli Stati Uniti (89 ogni 10.000 dipendenti).

I dati relativi alla situazione del nostro paese giustificano un moderato ottimismo. Anche le fasi di logistica e distribuzione sono sempre più impattate dall’innovazione, che è chiamata a rispondere alle crescenti esigenze di trasparenza e tracciabilità dei prodotti acquistati, di integrazione tra canali di acquisto fisici e online, fino alla smaterializzazione dei pagamenti da parte dei consumatori. L’e-commerce è un canale in forte sviluppo, che ha generato in Italia un valore di 3,8 miliardi di Euro nel 2021, in crescita con un tasso medio annuo del +41% nell’ultimo decennio (con un potenziale di crescita dei marketplace digitali ancora molto elevato, in quanto il fatturato del settore alimentare generato tramite e-commerce vale nel 2021 solo l’1,7% del totale). Infine, l’ecosistema delle startup in Italia, 210 quelle FoodTech (il 17% del totale europeo), è focalizzato su ambiti di business diversi ma complementari tra loro all’interno della filiera agroalimentare estesa. Le principali categorie sono il Food Delivery (26,3% del totale), i servizi al consumatore e App dedicate (21,7%) e l’Agritech (17,5%).

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