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Recovery Fund: come funziona tra sussidi, prestiti e “freno d’emergenza”

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Tra sussidi e prestiti, il tanto sperato Recovery Fund ha visto finalmente la luce e adesso l’opinione pubblica si domanda come e quando, l’Italia potrà usufruire della parte spettante del piano straordinario da 750 miliardi messo in campo dall’Europa per salvare i paesi più colpiti dal Covid dal tracollo finanziario.

L’accordo raggiunto dopo una maratona di incontri e scontri tra i principali leader europei, vede invariata la somma complessiva delle risorse stabilite dalla Commissione a maggio, pari a 750 miliardi, ma ridefinisce la composizione tra contributi a fondo perduto (grants) e prestiti (loans). I primi ammonteranno a 390 miliardi, i secondi a 360, un accordo che simbolicamente va al di sotto non solo dei 500 miliardi delle proposta di base, ma anche di quella linea rossa dei 400 miliardi fissata dall’intesa franco-tedesca, che è stata scardinata dopo un lungo braccio di ferro dai cosiddetti Paesi “frugali” – Olanda, Austria, Danimarca e Svezia. 

Entrando nel dettaglio della parte dei prestiti, che ricordiamo ammonta a 360 miliardi, rispetto ai 250 miliardi di euro iniziali, gli Stati beneficiari dovranno iniziare a ripagare le somme entro la conclusione del prossimo settennio di bilancio Ue, quindi entro il 2027. I sussidi diretti agli esecutivi nazionali, invece, saranno invece 312,5 miliardi, in leggero aumento rispetto ai 310 miliardi della proposta di base.

Tutto questo andando ad influenzare sensibilmente le risorse destinate ai programmi Ue, tagliando notevolmente le dotazioni di Horizon Europe, che passa da 13,5 a 5 miliardi, di InvestEU (da 30,3 a 5,6 miliardi), del Just Transition Fund (da 30 a 10 miliardi) e la cancellazione del programma per la salute (inizialmente finanziato con 7,7 miliardi).

Ma non solo, per strappare un accordo con i “frugali” sono stati incrementi i cosidetti rebates, gli sconti alla contribuzione del bilancio europeo di cui già beneficiano. In particolare alla Danimarca sono andati 322 milioni annui di rimborsi (rispetto ai 222 milioni della proposta di sabato), all’Olanda 1,921 miliardi (da 1,576 miliardi); all’Austria 565 milioni (da 287), e alla Svezia 1,069 miliardi (da 823 milioni). Invariati invece i 3,67 miliardi per la Germania.

Altro tassello fondamentale, per non dire cruciale per raggiungere l’intesa, è stato l’inserimento del cosiddettofreno d’emergenza” su cui fino all’ultimo si sono scontrati Olanda e Italia. Nello specifico, l’Italia per usufruire dei suoi 209, il 28% del totale, con 81,4 miliardi a fondo perduto e 127,4 di prestiti, dovrà presentare un piano di riforme adeguato alla Commissione europea, previa una richiesta di parere da parte del Comitato economico e finanziario del Consiglio Ue, l’organo che riunisce i governi degli Stati membri.

Per far scattare il “freno d’emergenza”, un Paese, in casi eccezionali, potrà chiedere di approfondire in sede di vertice Ue se gli impegni sulle riforme di un altro Stato membro sono stati rispettati, sospendendo di fatto i finanziamenti per un certo lasso di tempo. A “tranquillizzare” gli Stati su questa misura è la decisone di no dare a un singolo Paese la possibilità di avere il potere di veto, perché a decidere, alla fine, sarà sempre la Commissione europea.

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