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Covid-19, allarme Svimez: imprese Sud più a rischio default rispetto a CentroNord

Il rischio di default è maggiore per le medie e grandi imprese del Mezzogiorno. La situazione di incertezza determinata dal lockdown, investe tempi e modalità delle riaperture minando le prospettive di tenuta della capacità produttiva. Il blocco improvviso ed inatteso coglie impreparate le molte imprese meridionali che non hanno ancora completato il percorso di rientro dallo stato di difficoltà causato dall’ultima crisi”.

Questa l’analisi che emerge dal Report Svimez sugli effetti del coronavirus al Centro-Nord e Sud elaborato dagli economisti Salvatore Parlato, Carmelo Petraglia e Stefano Prezioso, coordinati dal direttore Luca Bianchi. “Rispetto alla grande crisi, il processo di selezione, allora dispiegatosi lungo un arco temporale ampio, oggi è anticipato all’inizio della crisi con un’interruzione improvvisa che ha posto immediatamente al policy maker l’urgenza di intervenire a sostegno della liquidità delle imprese, di ogni dimensione.

Un’urgenza che si è tradotta nel D.L. liquidità approvato nel Consiglio dei Ministri del 7 aprile. Sulla base dei dati di bilancio disponibili per un campione di imprese con fatturato superiore agli 800.000 euro, le evidenze su grado di indebitamento, redditività operativa e costo dell’indebitamento portano a stimare una probabilità di uscita dal mercato delle imprese meridionali quattro volte superiore rispetto a quelle del Centro-Nord”.

Secondo le stime del rapporto Svimez la chiusura delle attività produttive “costa circa 47 miliardi al mese, 37 persi al Centro-Nord, 10 al Sud. La straordinarietà della dimensione del lockdown si legge nella quota di impianti fermi: più di 5 su 10 in Italia. Nella media nazionale, senza considerare i settori dell’Agricoltura, le Attività finanziarie e assicurative e la Pubblica Amministrazione, crollano del 50 per cento fatturato, valore aggiunto e occupazione. Il blocco colpisce duramente, sia pure con diversa intensità, indistintamente l’industria, le costruzioni, i servizi, il commercio.

A livello territoriale, sono più interessate le regioni del Nord soprattutto in termini di valore aggiunto (49,1 per cento, circa 6 punti percentuali in più rispetto al Centro e al Mezzogiorno). In termini di occupati interessati la forbice si annulla tra Nord e Sud: 53,3 per cento nel Nord, 51,1 per cento al Centro e 53,2 per cento nel Mezzogiorno. In termini di unità locali, le differenze territoriali si ribaltano, segno di una maggiore parcellizzazione del tessuto produttivo nel Mezzogiorno dove le unità locali interessate dal lockdown raggiungono il 59,2 per cento a fronte del 56,7 e del 57,2 per cento rispettivamente nel Centro e nel Nord”.

Analizzando nello specifico l’impatto del lockdown sull’occupazione, risulta evidente che le categorie maggiormente a rischio sono i lavoratori autonomi e quelli con partiva IVA. “Considerando l’intero sistema economico, tenendo conto anche del sommerso – si legge nel report Svimez – sono interessati dal lockdown il 34,3 per cento degli occupati dipendenti e il 41,5 per cento degli indipendenti. Al Nord l’impatto sull’occupazione dipendente risulta più intenso che nel Mezzogiorno (36,7 per cento contro il 31,4 per cento) per l’effetto della concentrazione territoriale di aziende di maggiore dimensione e solidità.

La struttura più fragile e parcellizzata dell’occupazione meridionale si è tradotta in un lockdown a maggiore impatto sugli occupati indipendenti (42,7 per cento rispetto al 41,3 per cento del Centro e del Nord). Sono fermi circa 2,5 milioni di lavoratori indipendenti interessati: oltre 1,2 milioni al Nord, oltre 500 mila al Centro, quasi 800 mila nel Mezzogiorno. Si tratta in larga parte di autonomi e partite Iva: oltre 2,1 milioni, di cui 1 milione al Nord, oltre 400 mila al Centro e quasi 700 mila nel Mezzogiorno. La perdita complessiva di fatturato è di oltre 25,2 miliardi in Italia, così distribuiti territorialmente: 12,6 al Nord; 5,2 al Centro e 7,7 nel Mezzogiorno. La perdita di fatturato per mese di inattività ammonta a 12 mila euro per autonomo o partita IVA, con una perdita di reddito lordo di circa 2 mila euro, 1900 e 1800 per mese di lockdown rispettivamente nelle tre macroaree”.

Il direttore dell’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, Luca Bianchi, nel corso di un’intervista rilasciata a metà aprile a Repubblica ed a Radio Tre, ha spiegato la necessità di “una strategia unificata per la cosiddetta Fase 2 di uscita dalle misure per contenere l’economia. Non serve una corsa tra Regioni o peggio tra Nord e Sud a chi riapre prima le fabbriche. Ciò che serve è una strategia nazionale di attuazione della cosiddetta fase 2 che consenta un riavvio equilibrato delle varie attività produttive, anteponendo sempre la garanzia della salute dei lavoratori.

Il report predisposto dalla Svimez evidenzia chiaramente come gli effetti economici e sociali del lockdown siano diffusi con grande intensità in tutto il Paese e che il Sud rischia di pagare un prezzo molto alto sia in termini di impatto sociale, per effetto della maggiore precarietà del mercato del lavoro e della più alta diffusione di aree di disagio e di povertà, sia in termini di rischio di chiusura di moltissime piccole e micro imprese finanziariamente più fragili”. In una successiva intervista per Radio Cusano Campus, il direttore Svimez ha evidenziato come “il problema del Mezzogiorno dopo il coronavirus è l’impatto sociale della crisi, perchè il tessuto sociale del meridione ne esce molto indebolito: ci sono meno lavoratori, più lavoro nero, e tutto questo può determinare redditi molto bassi in alcune famiglie. Il Sud, oltre a problemi di reddito, ha anche problemi di servizi, e – ha ammonito – le politiche di ricostruzione stiano attente alle nuove generazioni e ai più deboli”.

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