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Trionfa Salvini, crolla Di Maio, recupera Zingaretti. E l’Europa resta europeista

La Lega, in Italia, è l’assoluta vincitrice di questa tornata elettorale per il Parlamento europeo. Confermando, infatti, i sondaggi più benevoli, il Carroccio vola oltre il 34 per cento, raccogliendo oltre nove milioni di voti.

Secondo partito è il Pd che raggiunge il 22,7 per cento, recuperando quasi quattro punti percentuali rispetto alle politiche dello scorso anno, ma perdendo circa 100mila voti. Di fatto rosicchia qualcosa ai pentastellati e ingloba una buona parte di Leu.

Affondano, invece, i Cinquestelle, che crollano al 17,1 per cento, pari a quattro milioni e mezzo di voti, con percentuale quasi dimezzata rispetto allo scorso anno ed oltre sei milioni di voti volatilizzati.

Forza Italia scende all’8,8 per cento rispetto al 14 delle politiche, perde circa due milioni di voti, nonostante il grande ritorno mediatico di Silvio Berlusconi, che comunque tornerà ad essere parlamentare, sebbene all’estero.

Bene Fratelli d’Italia che passa dal 4,3 delle politiche 2018 all’attuale 6,5 per cento, circa 300mila voti in più raccolti soprattutto nel Centrosud e nelle Isole.

Le altre formazioni sono sotto la soglia utile del 4 per cento per entrate nel parlamento europeo: +Europa-Italia in Comune al 3,1; Europa Verde al 2,3; La Sinistra all’1,7; Partito comunista allo 0,88; Partito animalista allo 0,6; Svp allo 0,5; Popolo della famiglia allo 0,4; Casapound allo 0,3; Popolari per l’Italia allo 0,3; Partito Pirata allo 0,2; Forza Nuova allo 0,15.

Sono questi i principali verdetti determinati dallo spoglio dei voti delle elezioni europee.

IL QUADRO EUROPEO – Il forte calo dei due partiti europeisti che da sempre governano l’Europa – Popolari e Socialisti, perdono una quarantina di seggi a testa e perdono la maggioranza assoluta – è compensato dall’ascesa di altre due forze europeiste, Liberali (con Macron) e Verdi. Proprio dall’intesa tra queste quattro formazioni, complessivamente hanno quasi 500 seggi su 750 – potrà nascere la nuova maggioranza, per quanto meno composita rispetto al passato.

I Popolari, pur restando la prima forza politica, subiscono un duro colpo soprattutto in Francia, in Italia e in Spagna. Tra le loro, l’unico che trionfa è Orban, che ha la maggioranza assoluta in Ungheria.

Anche i Socialisti perdono pezzi un po’ dappertutto, in particolare in Germania, dove sono al minimo storico, e in Francia, dove sono quasi scomparsi. Si salvano principalmente in Spagna e in Portogallo.

Le forze di opposizione non sfondano, ma certo sono più antieuropeiste e sovraniste di prima. I loro seggi dovrebbero passare da 155 a 172. È il caso di Farage nel Regno Unito, per quanto non veda l’ora di fuoriuscire dallo stesso parlamento europeo, del rassemblement di Marine Le Pen in Francia, che comunque viaggia su percentuali analoghe alle precedenti nonostante il fenomeno dei gilet gialli, e ovviamente i leghisti, che portano una discreta pattuglia nel parlamento europeo.

IL GOVERNO ITALIANO – Il ribaltamento delle posizioni di forza tra Lega e Cinquestelle rispetto alle politiche del 4 marzo potrebbe avere conseguenze sul governo nazionale, per quanto Matteo Salvini, nel corso di una conferenza stampa dopo il voto, abbia ribadito di non volere regolamenti di conti, poltrone o cambiamenti di sorta nel governo, ma soltanto di accelerare sui temi cari al Carroccio, dalla flat tax alle grandi opere fino alle autonomie. Proprio sul futuro dell’esecutivo si addensano le previsioni degli analisti, spesso in contraddizione tra loro su eventuali elezioni anticipate o la salvaguardia dell’intera legislatura.

LE ANALISI SUI QUOTIDIANI – Massimo Franco sulla prima pagina del Corriere della Sera di oggi, nell’editoriale “Pesi invertiti, patto più fragile”, dopo aver sintetizzato il voto con “un’Italia più salviniana e meno grillina”, spiega che “l’Italia si presenta al parlamento europeo con un profilo euroscettico, opposto a cinque anni fa”, aggiungendo però che “le ambizioni di piegare gli equilibri continentali al verbo nazionalista sembrano ridimensionate, se non evaporate”. Scrive: “Cinque Stelle e Lega, coi loro alleati, non sono destinati a circondare le forze europeiste, ma a esserne accerchiati con un serio rischio di isolamento del nostro Paese nel girone dell’eurofobia. Per il governo guidato da Giuseppe Conte, il destino è di prenderne atto; e di sperare che l’onda lunga della Lega non spinga il suo leader a cavalcarla fino alle elezioni politiche anticipate, prima che la sua forza diminuisca”.

Franco osserva anche che il reddito di cittadinanza non abbia funzionato come catalizzatore di consensi per il M5S, con “il Sud rimasto a casa”.

Aggiunge, infine, un’analisi sociologica: “Ci sono spezzoni della società italiana che in questi anni hanno vissuto la crisi economica con paura crescente. E si sono radicalizzati a destra. La Lega di Salvini li ha intercettati e ha dato cittadinanza alla loro rabbia”.

Aldo Cazzullo, sullo stesso giornale, nel pezzo “Ma la Ue non può far finta di nulla”, sentenzia che “se i sovranisti volevano capovolgere l’Europa, dovranno attendere almeno altri cinque anni. I partiti di Le Pen e di Salvini sono primi in Francia e in Italia; ma le forze europeiste sono in netta maggioranza anche nel nuovo parlamento”. Tuttavia, aggiunge, “non per questo si può dire che nulla sia accaduto”. E sintetizza: “Il voto di ieri chiude il quindicennio in cui l’Europa è stata di fatto governata da Angela Merkel” (a cui riconosce il merito di aver eretto un argine contro la destra antieuropea e neonazionalista, ma anche il demerito di aver imposto l’austerity) e “ora tutti avanziamo in una terra incognita”.

Stefano Folli su Repubblica, nell’editoriale di prima pagina “Il governo ribaltato”, prevede che nulla sarà più come prima per il governo italiano e “il congegno che porterà la maggioranza e quindi l’esecutivo a dissolversi è innescato”, a meno che “il movimento di Di Maio si trasformi nel docile vassallo del capo leghista, da cui è stato testé cannibalizzato”.

Folli si sofferma sulla vittoria leghista. “Per la prima volta un partito di destra di tipo ‘sovranista’ – ben diverso dal vecchio Movimento sociale – conquista il palcoscenico e obbliga tutti gli altri a rimodulare il modo stesso di far politica e di rivolgersi all’elettorato”.

Andrea Bonanni, sempre su Repubblica, nel pezzo “Un nuovo panorama ma gli elettori restano fedeli alla Ue”, evidenzia come “gli europei hanno respinto, tranne che in Italia e in Francia, i fantasmi che si allungavano minacciosi sul loro continente” e si sofferma su un aspetto importante: se l’Europa oggi è salva, il merito va anche e soprattutto ai giovani. Scrive “Il ribaltone annunciato e minacciosamente rivendicato dai sovranisti nostrani non c’è stato. La sfida contro l’Europa, partita dalle grandi potenze che le sono ostili, a Mosca, a Washington come a Pechino, e veicolata dal populismo delle destre che vorrebbero togliere poteri a Bruxelles per suscitare i vecchi fantasmi del nazionalismo, ha fallito la prova del voto. Gli europei restano nella stragrande maggioranza fedeli all’idea di una democrazia liberale, capace di garantire i diritti politici e sociali dei suoi cittadini”.

Alberto D’Argenio, sempre su Repubblica, si sofferma sul record dell’affluenza: 50,5 per cento, 200 milioni di votanti, non accadeva da vent’anni, cinque anni fa il dato s’era fermato al 42 per cento. Sottolinea, quindi, una “vera e propria mobilitazione popolare per salvare l’Europa dai sovranisti. E si sofferma sul voto degli under 30 che puntano tutto sui Verdi e sui partiti europeisti. “Non sembra esagerato parlare di ‘effetto Greta’ – scrive.

Ma avverte anche che se “l’incubo nazionalista viene scacciato dall’Unione, un’ombra nera si allunga su diverse capitali: a Parigi vince Marine Le Pen, a Londra trionfa Farage, a Budapest Orbàn deborda con il 52 per cento, a Varsavia il Pis di Kaczynski batte un’ampia coalizione pro Europa e a Roma la Lega è prima”.

Marco Travaglio sul Fatto quotidiano, nell’editoriale “Un polo c’è. E l’altro?”, scritto con la Lega data intorno al 30 per cento dalle prime proiezioni (gli exit poll l’hanno data addirittura dietro), evidenzia come Matteo Salvini, “a dispetto dei sondaggi e dai primi exit poll che lo davano in frenata, non ha pagato più di tanto i numerosi errori commessi in campagna elettorale (…). La foto col mitra a Pasqua, il convegno degli ultrà catto-sessisti a Verona, il libro con Casa Pound, le sparate di estremissima destra, la demenziale campagna contro la cannabis legale, la gaffe sui migranti clandestini ridotti a capocchia da 600mila a 90mila, la difesa dell’indifendibile Siri, l’imbarazzo per la nuova Tangentopoli forzaleghista in Lombardia, gli attacchi a Conte (unico politico italiano più popolare di lui) hanno spaventato diversi elettori moderati, passati alla Meloni e al redivivo B. Ma soprattutto hanno ridestato dal letargo molti elettori di sinistra, che si sono convinti in extremis a votare Pd non tanto per dire di sì a Zingaretti, ma per dire di no a Salvini”.

Su La Verità i due editoriali sono del direttore Maurizio Belpietro, il quale si augura che il leader leghista possa dare “finalmente” una sterzata al governo, e di Mario Giordano, che ben riassume nel titolo come “il Movimento si sia buttato sotto il Carroccio”.

Matteo Feltri su Libero è convinto che Matteo Salvini debba “passare all’incasso”.

Alessandro Sallusti sul Giornale si sofferma sul fatto che Di Maio rischi ed il titolo del suo quotidiano è indicativo: “Governo addio”.

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