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Realacci all’Unsic: “Vi spiego perché la legge sui piccoli comuni è un’opportunità”

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Era il 3 luglio 2001 quando Ermete Realacci, appena eletto deputato, presentava come primo firmatario il disegno di legge “Misure per il sostegno delle attività economiche, agricole, commerciali e artigianali e per la valorizzazione del patrimonio naturale e storico-culturale dei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti”. Il ddl venne sottoscritto da un centinaio di parlamentari di maggioranza – governo Berlusconi – e opposizione. Il 21 gennaio 2003, la legge venne approvata all’unanimità dalla Camera ma restò impantanata al Senato.

Realacci ci riprovò sei anni dopo, con analogo destino: approvazione alla Camera, nulla di fatto al Senato per la chiusura anticipata della XV legislatura. E lo stesso successe con la nuova legislatura, con la sola approvazione alla Camera il 5 aprile 2011.

Ecco perché l’approvazione del testo da parte del Senato lo scorso 28 settembre, pressoché all’unanimità (205 sì, 2 soli astenuti), va salutata con soddisfazione. Ed è quello che fa Ermete Realacci, 62 anni, presidente di Legambiente per ben 16 anni, dal 1987 al 2003, uno dei maggiori esponenti dell’ambientalismo italiano. Lo abbiamo incontrato a Roma.

“E’ una bella giornata per chi vuole bene all’Italia – esordisce. “Con il varo pressoché all’unanimità del Senato possiamo finalmente brindare alla legge per la valorizzazione dei piccoli comuni. Un testo bipartisan approvato all’unanimità alla Camera lo scorso settembre, nato a partire da una mia proposta di legge cui durante l’esame a Montecitorio si è collegata quella analoga della collega Terzoni, che aiuterà l’Italia ad essere più forte e coesa, ad affrontare il futuro”.

Tra le misure principali della legge Realacci per la valorizzazione dei piccoli comuni rientra una spinta all’innovazione e alle nuove tecnologie: ad esempio, la diffusione della banda larga, le misure di sostegno per l’artigianato digitale, interventi di efficientamento energetico del patrimonio edilizio pubblico, la possibilità per i centri in cui non ci sono uffici postali di pagare bollette e conti correnti presso gli esercizi commerciali. Poi gli interventi strutturali: la semplificazione per il recupero dei centri storici in abbandono o a rischio spopolamento (anche per la loro conversione in alberghi diffusi), gli interventi di manutenzione del territorio con priorità per la tutela dell’ambiente e la prevenzione del rischio idrogeologico, l’acquisizione e la riqualificazione di terreni e edifici in abbandono, la messa in sicurezza di strade e scuole, la possibilità di acquisire case cantoniere da rendere disponibili per attività di protezione civile, volontariato, promozione dei prodotti tipici locali e turismo, la realizzazione di itinerari turistico-culturali ed enogastronomici e di mobilità dolce, la possibilità di acquisire binari dismessi e non recuperabili all’esercizio ferroviario da utilizzare come piste ciclabili, la dotazione dei servizi più razionale ed efficiente. Ed ancora la facoltà di istituire, anche in forma associata, centri multifunzionali per la fornitura di una pluralità di servizi, in materia ambientale, sociale, energetica, scolastica, postale, artigianale, turistica, commerciale, di comunicazione e sicurezza, nonché per attività di volontariato e culturali, gli interventi in favore dei cittadini residenti e delle attività produttive insediate nei piccoli comuni, la promozione delle produzioni agroalimentari a filiera corta e del loro utilizzo anche nella ristorazione collettiva pubblica.

Insomma, un bel pacchetto di “buone intenzioni” con la speranza che diventino presto realtà. Per le aree oggi in condizioni di maggior difficoltà è previsto uno specifico stanziamento di 100 milioni per il periodo che va dal 2017 al 2023.

Proprio questo è il punto più controverso dell’iniziativa: i soldi sono pochi. Quindici milioni per ogni anno dal 2018 in poi, un’esiguità per i 5.585 comuni con popolazione inferiore a 5 mila abitanti, circa il 70 per cento di tutti i 7.998 comuni italiani. Su questo punto le critiche più roventi sono arrivate non solo dalla Lega, da sempre una formazione particolarmente attenta al territorio, ma anche da Sinistra italiana e da Stefano Bonaccini, presidente della Conferenza delle regioni.

Ma da più parti le critiche vengono rispedite al mittente. La legge rappresenta una significativa “inversione di tendenza”. Anche il sindaco di Amatrice, Sergio Pirozzi, definisce la novità “una bella notizia”.

“I nostri 5.567 piccoli comuni amministrano più della metà del territorio nazionale, abitato da oltre dieci milioni di persone – prosegue Realacci. “Non costituiscono un’eredità del passato, ma una straordinaria occasione per difendere la nostra identità, le nostre qualità e proiettarle nel futuro. Un’idea ambiziosa di Italia passa anche dalla giusta valorizzazione di territori, comunità e talenti”.

Insomma, la sfida è quella di rilanciare queste preziose gemme capaci di coniugare storia, cultura e saperi tradizionali con l’innovazione, le nuove tecnologie e la green economy.

Non va dimenticato che nei borghi vengono prodotti il 93 per cento delle Dop e degli Igp, accanto al 79 per cento dei vini più pregiati. E numerosi piccoli comuni danno il nome a specialità Doc: dal Puzzone di Moena al Sedano bianco di Sperlonga, dal carciofo di Montelupone al vino di Gavi, dai maccheroncini di Campofilone al Taleggio al Vin santo di Vigoleno, fino al vino Loazzolo.

Per quanto riguarda la distribuzione sul territorio nazionale, è il Piemonte a raccogliere il maggior numero di piccoli comuni (1.067), seguito dalla Lombardia (1.055) e dalla Campania (338). Ma in percentuale la più alta densità è in Valle d’Aosta (99 per cento) e in Molise (92 per cento).

Chiediamo allora all’onorevole Realacci di segnalarci quelli che ritiene i principali problemi dei piccoli borghi in base alla sua lunga esperienza ai vertici di Legambiente e in Parlamento.

“La legge a mia prima firma per la valorizzazione e il sostegno dei piccoli comuni parte dal presupposto che i nostri centri minori costituiscano un patrimonio di valore inestimabile e un presidio fondamentale per la salvaguardia dell’identità storico-culturale dell’intero Paese. Considera i piccoli comuni non come un’eredità del passato, ma una straordinaria occasione per difendere le nostre qualità e costruire il futuro. E nasce per dare risposte concrete ai problemi delle nostre aree interne, primo fra tutti lo spopolamento, che genera a ricaduta altre problematiche”.

Onorevole Realacci, i problemi però si sono accentuati nei quasi due decenni che intercorrono tra la Sua prima proposta di legge ed oggi…

“Sì, è così. Ecco perché la legge propone innanzitutto iniziative concrete per invertire la rotta rispetto alla rarefazione dei servizi al cittadino nelle nostre aree più fragili, tendenza aggravatasi negli anni della crisi. L’introduzione di agevolazioni sull’affitto nei nostri centri minori e una dotazione dei servizi più razionale ed efficiente, a partire da scuole e presidi sanitari, sono le prime risposte”.

Quali differenze e quali aspetti comuni sono riscontrabili negli oltre cinquemila borghi con meno di cinquemila residenti?

“Al di là delle singole specificità dei nostri borghi, questo provvedimento punta a connettere tradizione e innovazione, i centri minori con il Paese e più in generale con il web, quindi con il resto del mondo. Credo, infatti, che proprio l’esigenza di essere connessi sia comune e importante per questi luoghi. Non a caso tra i punti qualificanti di questa legge ci sono misure per la diffusione della banda larga, il sostegno dell’artigianato digitale e la promozione dei prodotti locali. Un modo per valorizzare sia le nostre bellezze che tanta parte di quel made in Italy apprezzato dappertutto. Si può competere in un mondo globalizzato se si mantengono solide radici. Se si innova senza cancellare la propria identità, perché l’Italia è forte quando fa l’Italia”.

(Giampiero Castellotti)

 

Ermete Realacci- presidente Symbola

LA SCHEDA

Ermete Realacci, ciociaro di Sora (Frosinone), 62 anni, figlio di insegnanti, è parlamentare dal 2001, cioè da quattro legislature. Dal 7 maggio 2013 è presidente della commissione Ambiente e Territorio della Camera, ruolo che ha già ricoperto nella XV legislatura, dal 2006 al 2008, durante il secondo governo Prodi.

E’ stato tra i più stretti collaboratori di Walter Veltroni nella fase costituente del Pd.

Uno degli ambientalisti italiani più noti, è stato presidente di Legambiente per quasi sedici anni, dal 1987-2003, adesso ne è presidente onorario.

È tra i fondatori del Kyoto Club, unione di istituzioni e imprese impegnate per la riduzione dei gas-serra. E’ anche presidente di Symbola, fondazione per le qualità italiane.

Ha scritto “Soft economy” (Rizzoli 2005, con Antonio Cianciullo), “L’Italia c’è” (Salerno 2008, con Enzo Argante) e “Green Italy – Perché ce la possiamo fare” (Chiarelettere 2012).

Sua celebre frase: “È più volano dell’economia il Brunello di Montalcino che un raccordo autostradale”.

Vive a Roma.

(Si ringrazia Laura Genga)

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