E’ venuta a trovarci in redazione Valentina Correani, attrice e conduttrice classe 1982, volto di MTV Italia, Co-conduttrice/Vreporter di THE VOICE of Italy su Rai 2, speaker RADIO2 e conduttrice del Concerto del 1°Maggio a Taranto, che ha condotto nel 2015 e nel 2016 insieme a Valentina Petrini, Andrea Rivera e Mietta, con la direzione artistica di Michele Riondino e Roy Paci.
Valentina è inoltre una grande appassionata di piante, orti e giardini, e parallelamente alla sua carriera di attrice e conduttrice, da qualche anno studia Permacultura e pratiche sostenibili.
Cosa ci fa Valentina Correani, attrice e conduttrice televisiva sulle pagine di Infoimpresa?
Diciamo che ho un debole per chi coltiva la terra e da qualche anno ho preso sul serio l’idea di poter unire il mio lavoro alla mia passione più grande. Oggi mi rendo conto che i miei ricordi di bambina, quando trascorrevo le estati dai nonni a Pantelleria, sono stati fondamentali nella formazione della persona che sono. Anzi, ad essere sincera mi sono sempre sentita una ragazza di campagna, vissuta in città. A momenti questo sentimento nostalgico diventava un vero e proprio bisogno, che mi portava a cercare ovunque con lo sguardo angoli di natura sfuggiti al controllo, a rimanere incantata davanti ad un papavero cresciuto sul cemento, e ovviamente a ricavarmi sempre, come potevo, il mio angolo verde, anche in città. Puoi immaginare la mia gioia quando, dopo due anni di graduatoria, mi hanno assegnato l’orto a Tor Sapienza. In quei 40 mq ho trovato la mia oasi, dove posso mettere le mani nella terra, produrre cibo sano e mettere in pratica in piccola scala, quello che ho imparato durante i corsi sui nuovi metodi di agricoltura organica e di permacultura frequentati negli ultimi anni.
C’è quindi un reale ritorno alla terra tra le nuove generazioni?
Da un lato aumenta il numero di giovani imprenditori agricoli, che rilevano e portano avanti aziende di famiglia; sempre più gente “scappa dalla città” per ritrovare il contatto con la terra e con uno stile di vita più semplice e sano; poi c’è chi come me, senza scappare, ha iniziato a coltivare un pezzetto di terra in città. Quindi sì, c’è un reale ritorno alla terra per alcuni, ma ancora più interessante secondo me è la crescente attenzione che la gente sta dedicando a tematiche ambientali e del vivere sostenibile.
Che idea ti sei fatta sulla situazione attuale e sui nuovi approcci di agricoltura?
Negli ultimi 70 anni, la nostra agricoltura si è trasformata profondamente. Quella che per millenni era il risultato della collaborazione tra l’uomo e la natura è diventata industria, e l’utilizzo sistematico di prodotti chimici sulle colture produce danni gravissimi ai nostri territori e alla nostra salute. Sviluppo sostenibile, sana alimentazione e tutela ambientale, trovano nell’agricoltura naturale, una risposta concreta, e possibile anche su larga scala. La mia impressione è che già da un po’ si sia accesa un miccia nella coscienza di molti. E che questo sia il momento giusto per rigenerare il nostro rapporto con ambiente e paesaggio, a partire luoghi dove viene coltivato il nostro cibo.
E com’è l’approccio delle Istituzioni?
Esistono i piani alti e i piani bassi. Per quella che è la mia esperienza diretta ho potuto osservare un grande impegno da parte delle persone che operano a stretto contatto con i cittadini e le associazioni. Mi viene in mente il CEA (Centro di educazione ambientale), dove ho conosciuto Maurizio e Ivana che con entusiasmo offrono un servizio importantissimo di diffusione di cultura ambientale, a partire dai laboratori di orticoltura nelle scuole. La mia impressione però è che il lavoro profuso dalle persone che in generale lavorano ai piani bassi delle istituzioni, non venga percepito ai piani alti della politica. Le risorse economiche dedicate a temi così importanti sono sempre limitate e ti chiedi perchè in una città grande come Roma, ci sia un unico ufficio dedicato ad un servizio di pubblica utilità così importante. Senza considerare che la burocrazia è spesso il labirinto dentro cui si perdono le esperienze virtuose. Poi provo rabbia quando penso alla TAV in Valsusa, all’Ilva di Taranto, al gasdotto Tap, alle trivelle, agli scempi ambientali che avvengono sotto i nostri occhi, nei nostri territori più belli. Così come provo rabbia quando in poche settimane ti ritrovi l’ennesimo centro commerciale al posto di una collina, l’albero tagliato sotto casa, o la discarica ai bordi di un parco. Nonostante tutto sono convinta che le cose possano migliorare, se decidiamo di migliorare noi per primi.
Tu che hai un tuo orto urbano quale aspetto sociale hai riscontrato maggiormente?
Gli orti sono posti speciali. Nel paesaggio urbano rappresentano oasi di bellezza e biodiversità, luoghi di autoproduzione, di condivisione e socialità, angoli verdi sottratti al degrado e al cemento. In alcuni casi diventano simbolo di rinascita e riscatto per le nostre periferie. Anche se in ritardo rispetto a capitali europee con condizioni climatiche e ambientali svantaggiate rispetto alle nostre, l’orticoltura urbana è un fenomeno in crescita anche da noi.
L’orto urbano però non è solo un destinato a chi ha il pollice verde, proprio per chi ha l’hobby del giardinaggio, bensì un modo per prendersi cura del proprio benessere ed in maniera transitiva di quello globale. Quindi a chi consiglieresti di approcciarsi a questo mondo?
Assolutamente a tutti. Anche un vaso in balcone con una pianta di pomodoro e due insalate è un orto, un piccolo sistema, qualcosa di cui ci prendiamo cura e che ci rimette in contatto con la vita. Ho un sacco di ex- pollici neri tra i miei amici, gente che non si sognava minimamente di mangiare qualcosa che non provenisse dagli scaffali di un supermercato, e che ora va fiera dei suoi peperoncini autoprodotti. Mi piace pensare che anche una pianta di basilico su un davanzale rappresenti un tassello importante per la rivoluzione culturale e agricolturale di cui abbiamo bisogno.
Cosa raccoglierai la prossima estate?
Nell’Orto 17 (il mio orto) ho piantato fragole, insalate, melanzane, peperoni, cetrioli e molti altri ortaggi, ma quelli che non vedo l’ora di raccogliere sono sicuramente i miei pomodori gialli. E’ il secondo anno che li semino e l’estate scorsa mi hanno dato grandi soddisfazioni. Si tratta di una cultivar antica che produce fino a novembre.
Come ti immagini le città tra 10 anni?
Nel 2027 mio figlio avrà 15 anni e voglio innanzitutto sperare che le città in cui vivremo possano rispecchiare le nostre coscienze risvegliate. Immagino città più verdi, sogno orti condivisi sui terrazzi e nei giardini condominiali, fattorie didattiche, ma soprattutto mi auguro che ognuno, nel proprio piccolo provi a migliorare il pezzetto di mondo con cui entra in contatto: riportando la Natura al centro della nostra attenzione.