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Iran, cento giorni di proteste

È ormai da cento i giorni che continuano le proteste in Iran, nonostante la dura repressione del regime.

Iniziate a metà settembre dopo la morte di Mahsa Amini, 22enne arrestata dalla polizia religiosa per non aver indossato correttamente il velo e morta in carcere lo scorso 16 settembre, dal Kurdistan iraniano si sono estese a tutto il Paese, coinvolgendo 161 città e 31 province.

Era dal 1979 che nel Paese non avvenivano manifestazioni così lunghe e partecipate. Portate avanti soprattutto da donne e giovani studenti, ma sostenute anche da sportivi e celebrità.

Le persone uccise, arrestate o torturate non si contano quasi più. Il regime non risparmia nessuno.
Ieri la polizia iraniana ha fatto atterrare un volo per Dubai su cui si trovava la famiglia dell’ex calciatore della nazionale Ali Daei. L’atleta era stato arrestato lo scorso ottobre per aver criticato il regime e il suo
passaporto ritirato. Ieri sono state fermate anche la moglie e la figlia.

Perfino Farideh Muradkhani, nipote della Guida suprema dell’Iran, Ali Khamenei, è stata condannata a tre
anni di carcere per aver sostenuto le proteste.

Ma Daei, la sua famiglia e Muradkhani sono solo alcune delle vittime del regime, con i giovani sono in prima linea. Come Mohammad Ghobadlou, 22enne condannato a morte, Majid Rahnavard cui è stato prima spezzato un braccio e poi impiccato perché aveva tatuati il leone e il sole simboli pre rivoluzione khomeinista. E ancora Masooumeh, 14enne arrestata perché non portava il velo e morta in ospedale per un’emorragia vaginale. Ora è scomparsa anche la madre che minacciava di rendere pubblica la notizia. Nika Shakarami, 17 anni, era sparita dopo aver partecipato alle manifestazioni. Dieci giorni dopo il suo
corpo è stato ritrovato con la testa fracassata.

Ma nonostante le botte e le torture, le proteste non si fermano. I manifestanti proseguono nella loro lotta
sotto il grido di “Donne, vita e libertà”, ma anche “morte al dittatore!”.

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