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La Tunisia rischia il tracollo: mai così male dal 1956

In Tunisia si prevede “la peggiore recessione dai tempi dell’indipendenza del 1956”. A dirlo è il Fondo monetario internazionale che di fronte alla forte crisi economica, sociale ed umanitaria che sta investendo il Paese, ha concesso un prestito d’urgenza di 745 milioni di dollari nel tentativo di scongiurare un crollo della già delicata situazione nella “calda estate tunisina”.

Stando ai calcoli della Banca centrale tunisina il Pil diminuirà del 4,3 per cento, da cui deriverà un incremento della disoccupazione di circa il 6 per cento, con il rischio di ritrovarsi in pochi mesi con una percentuale di disoccupazione che potrà oscillare tra il 15 ed il 21 per cento.

Al clima d’incertezza economica e sociale che sta investendo la Tunisia, si aggiunge anche quello politico, con le dimissioni dopo solo sei mesi d’incarico, del primo ministro Elyes Fakhfakh. La popolazione è ora in attesa della nomina di un nuovo governo, di un establishment capace di gestire una situazione così complessa ed emergenziale su più fronti.

“Le tensioni politiche e l’instabilità del governo potrebbero esporre il Paese a uno scenario difficile. Le condizioni sociali attuali richiedono politiche economiche e sociali chiare, eque e trasparenti che ristabiliscano un rapporto di fiducia tra popolazione e dirigenti”, si legge nell’ultimo rapporto sui movimenti sociali del Forum tunisino per i diritti economici e sociali e l’agenzia Nova riporta che solo a giugno si sono verificati oltre 900 manifestazioni di protesta, con un incremento dell’81 per cento rispetto al maggio scorso.

Tutto questo basterebbe a spiegare perché siano così tanti i giovani e non, che decidono di abbandonare la terra natia con la tenue speranza di approdare in un porto sicuro, in un Paese dove poter ricominciare. Ma a volte, non hanno la fortuna di scendere a terra, almeno non da vivi.

E’ del 15 giugno scorso la notizia dell’ultimo viaggio andato a finire male, quello di 56 giovani africani naufragati al largo delle coste tunisine. Erano a bordo di un peschereccio salpato da uno dei porti a nord di Sfax, che aveva fatto tappa nell’arcipelago tunisino di Kerkennah, direzione Lampedusa, l’isola italiana più vicina all’Africa che all’Italia stessa e per questo meta di continui approdi.

Il tragico evento è solo uno dei tanti che si sono registrati negli ultimi anni a causa dell’elevato numero di viaggi di clandestini provenienti dal continente africano con rotta verso l’isola pelagia. E le tunisine Kerkennah sono un porto strategico per la loro posizione geografica, a metà tra l’Africa e l’Italia (distano solo 120 chilometri da Lampedusa). Per questo ormai soprannominate “isole delle partenze”, “porto dei barconi”, “hub della rotta migratoria”.

L’arcipelago, un tempo conosciuto per le sue acque cristalline e meta di tanto turismo italiano ed internazionale, oggi si trova in grave difficoltà economica anche a causa della “marea nera” dovuta all’incidente petrolifero avvenuto nel marzo 2016. Il disastro ambientale, scaturito dalla fuoriuscita di petrolio da una tubazione di un pozzo della società Thyna Petroleum Services, a soli sette chilometri dalle coste delle isole Kerkennah, ha rappresentato, come ha sottolineato Legambiente “una vera e propria catastrofe ecologica e sociale per la società civile che risiede sull’isola, di cui sono stati ricoperti di greggio tre chilometri di spiaggia. Le conseguenze dell’incidente sono, infatti, drammatiche per la popolazione dell’arcipelago che vive essenzialmente di pesca”.

Venendo a mancare turismo e pesca, attività principale di sostentamento per gli abitanti, con una crescente disoccupazione giovanile che dilaga in tutto il Paese, aumentano sempre più i tentativi di fuga da una realtà sempre più precaria.

Necessario è stato l’incontro diplomatico avvenuto lo scorso 27 luglio, tra il nostro ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese ed il presidente tunisino Kais Saied, per “condividere con il presidente Saied le forti preoccupazioni italiane per l’incremento registrato quest’anno sul fronte degli arrivi dei migranti irregolari dalla Tunisia tramite sbarchi autonomi. Un fenomeno che ha assunto dimensioni rilevanti: al 24 luglio su 11.191 migranti sbarcati in Italia, ben 5.237 sono partiti dalla Tunisia e di questi quasi 4 mila sono cittadini tunisini”, come cita una nota del Viminale. Il presidente tunisino ha sottolineato come il fenomeno degli sbarchi illegali sia primariamente una questione umanitaria di cui vanno comprese le cause e ha aggiunto che “permettere la sopravvivenza dei migranti nei loro Paesi è una responsabilità di tutti e la soluzione del fenomeno consiste nella collaborazione tra i vari Paesi”.

Per comprendere meglio il fenomeno dei migranti clandestini e rafforzare la sorveglianza costiera, il presidente Saied ha voluto visitare i porti di Sfax e Mahdia dichiarando che “gli organizzatori di traversate marittime illegali, i trafficanti di esseri umani, compiono crimini che lo Stato non può tollerare”.

Intanto a Lampedusa nella notte del 3 agosto sono sbarcate altre 200 persone. Il premier Conte ha così commentato “Non possiamo tollerare che si entri in Italia in modo irregolare, tanto più non possiamo tollerare che in questo momento in cui la comunità nazionale intera ha fatto tantissimi sacrifici questi risultati siano vanificati da migranti che tentano di sfuggire alla sorveglianza sanitaria”.

Insomma la sicurezza di tutti, prima di tutto.

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