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La crisi migratoria sul confine greco

Il dramma umanitario che si sta consumando in questi giorni al confine tra Grecia e Turchia mette di nuovo gli europei di fronte alla questione irrisolta della (non) gestione dei flussi migratori e alle sue terribili conseguenze.

Cinque anni fa, i governi nazionali europei, incapaci di gestire in modo unitario l’emergenza generata dagli ingenti flussi di rifugiati che dalla Turchia si riversavano in Grecia e lungo la rotta balcanica, hanno sottoscritto un accordo con la Turchia di Erdogan, esternalizzando le pratiche di accoglienza o respingimento dei rifugiati. L’Unione europea e gli Stati membri sono stati disposti a spendere miliardi di euro e a fingere di non vedere la precarietà e le conseguenze di questo accordo, pur di non farsi carico del problema. Questa soluzione ha così concesso alla Turchia un’arma di ricatto nei confronti dell’Unione europea, mettendo a nudo il prezzo che gli Europei pagano, in termini morali e politici, per il fatto che l’Unione continua ad essere ostaggio degli interessi nazionali dei suoi Stati membri.

In questi cinque anni gli Stati membri non sono riusciti a fare neanche un minimo passo per superare questa situazione: né per creare gli strumenti necessari ad affrontare congiuntamente una nuova ondata migratoria, né per porre le basi di una politica estera unica in grado di dare all’Europa la capacità di agire per risolvere le crisi ai suoi confini e di essere un attore globale in grado di affermare concretamente i valori della libertà e dei diritti umani. Proprio perché continua a fondarsi sullo strapotere dei governi nazionali all’interno del Consiglio, l’Unione europea arriva al punto di sconfessare sia i propri Trattati (che affiderebbero all’Unione la facoltà di sviluppare una politica comune in materia di diritto di asilo, norme per l’accoglienza dei richiedenti asilo e protezione sussidiaria – artt. 77-79 del TFUE), sia i propri valori fondativi, alimentando la deriva securitaria e venendo meno al dovere del rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale. Le forze nazionaliste non potrebbero sperare in un regalo migliore.

Chi oggi critica l’Europa, anche in buona fede, chiedendo “che faccia qualcosa”, “ che batta un colpo”, dovrebbe pertanto ricordare che è difficile agire senza avere il potere di decidere, o gli strumenti per intervenire. E’ ora di capire che non serve criticare l’Europa perché non fa, ma serve cambiarla perché possa fare. Questo è il senso della Conferenza sul Futuro dell’Europa che si appresta ad essere varata: dovrà essere l’occasione per aprire una stagione costituente e per dare all’Unione gli strumenti necessari per affrontare con responsabilità quelle sfide a cui oggi assistiamo inermi.

(M.F.E.)

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