Era un pensatore libero Giorgio Gaber, omaggiato da più parti in occasione del ventennale dalla sua prematura scomparsa. Ha lasciato la moglie, l’inseparabile Ombretta Colli, la sua musica e l’amato teatro nell’ormai lontano 2003, a soli 63 anni. E nel primo mese dell’anno ricorre la sua morte, esattamente il 1° gennaio 2003, ma anche l’anniversario della sua nascita, il 25 gennaio 1939. Nel 2023 avrebbe festeggiato 84 stagioni e chissà cosa avrebbe detto dell’Italia e del mondo di oggi. Intellettuale ironico e pungente, ha anticipato i tempi con il suo rivoluzionario pensiero e modo di cantare “realista” e disincantato.
Gli inizi della sua carriera musicale, nella seconda metà degli anni ’50, sono segnati da influenze jazz e rock & roll. Lui, diciannovenne studente alla Bocconi, si diletta a suonare la chitarra e cantare in un locale al centro di Milano, il Santa Tecla. Passano da lì Enzo Jannacci, Luigi Tenco, Adriano Celentano e Mogol.
Con gli anni ‘60 arriva il successo, il sodalizio con Sandro Luporini e la tv. Una delle grandi capacità e al tempo stesso intuizione di Gaber è quella di riuscire a non essere risucchiato e schiacciato dai media, ma di comprenderne le potenzialità e di saperle sfruttare. In questo decennio partecipa a Sanremo, Canzonissima, al Festival di Napoli e appare sulla copertina di Sorrisi e Canzoni che celebra il suo matrimonio con Ombretta Colli. La fine degli anni ’60 sono all’insegna delle tournee teatrali con Mina, che lo spingono a esplorare nuovi percorsi artistici.
Decide di lasciare la tv per dedicarsi al teatro, crea il signor G e un nuovo genere, il teatro canzone che alterna canzoni, monologhi e prosa. L’innovazione non è solo nella forma ma penetra nella sostanza. Gli anni ’70 sono il cambiamento, la rivoluzione e l’impegno. Partorisce “Far finta di essere sani”, spettacolo e disco, con gli indimenticabili Shampoo e La libertà.
Passa il tempo ma il tanto agognato cambiamento non avviene o forse non nella direzione sperata e nei testi del signor G irrompe la disillusione, lo sfogo, la denuncia. Dopo l’uccisione di Aldo Moro scrive Io se fossi Dio. Libero da ogni ideologia, ritroviamo la sua acuta capacità di analisi politica e sociale in tutte le composizioni. Da questa nuova visione della vita e dell’uomo nascono capolavori: Destra-sinistra, Il conformista, Qualcuno era comunista, Io non mi sento italiano. Attualissimo e disincantato fino alla fine con “La mia generazione ha perso”.